Lezioni
CLASSE III - Testi di Filosofia |
LOGICA
La logica è lo studio dell'ente di ragione, ossia del pensato in quanto pensato.
Ciò significa che la logica studia il pensiero, la conoscenza; ma la conoscenza
può essere considerata in due modi:
- come atto del pensare (l'attività conoscitiva di un soggetto, attività che
sorge e si svolge nel tempo)
- in ciò che essa mette dinnanzi alla mente, cioè nel suo termine, nel suo
oggetto.
Nel primo modo la conoscenza è considerata nel suo essere, infatti, in quanto
attività del soggetto che conosce, la conoscenza è una realtà come un'altra,
come, per esempio, la funzione respiratoria o il battito cardiaco.
Nel secondo modo, invece, cioè in quanto manifestazione di un oggetto, la
conoscenza è considerata nel suo essere ideale o intenzionale; In questo
senso essa è l'oggetto della logica.
Si consideri la proposizione: «Il segmento di retta è la linea più breve fra due
punti».
Un conto è il giudizio, cioè l'atto con cui affermo, l'atto di intelligenza,
altra cosa è il significato della proposizione giudicata.
Il giudizio può essere pronunciato oggi, domani, dopodomani, in tanti atti
diversi, oppure da Tizio, da Caio o da Sempronio, ma il significato resta il
medesimo.
Nel pensato, poi, può esser considerato:
- ciò che è presente allo spirito nel suo contenuto (intentio prima)
- il modo con cui qualcosa è presente allo spirito, il suo modo di essere in
quanto pensato.
In questo secondo senso il pensato è ente ideale (intentio secunda), ed è
l'oggetto della logica.
Si consideri ora la proposizione: «Tutti gli uomini sono mortali».
È possibile occuparsene pensando di costruire ospedali più attrezzati per
ospitare i malati terminali, ma è anche possibile occuparsene osservando che
tale proposizione è affermativa, universale e necessaria.
Nel primo caso non è in gioco una considerazione di ordine logico, nel secondo
caso sì. Nel primo caso si considera l'oggetto pensato per quei caratteri che
esso ha o può avere in se stesso, a fini pratici; nel secondo caso si considera
l'oggetto pensato per quei caratteri che gli sono propri per il fatto di esser
pensato. Infatti, l'esser mortale compete all'uomo in quanto uomo, mentre
l'essere proposizione universale, assertoria, ecc., non compete a nessuna cosa
di questo mondo in se stessa, ma solo ad un oggetto pensato.
Le tre forme del pensare
Tra l'atto di pensare e il termine pensato esiste una corrispondenza: ad ogni
tipo di attività conoscitiva corrisponde un tipo di pensato.
Possiamo distinguere tre tipi di attività conoscitiva intellettuale:
- la pura apprensione (apprehensio simplex)
- il giudizio
- il ragionamento.
La pura apprensione è l'atto di pensiero attraverso il quale un oggetto è
presente alla coscienza, ma senza ancora affermare nulla di esso. "Cavallo",
"firmamento", "virtù" sono apprensioni che ancora non affermano o negano
alcunché.
Se, invece, si dicesse: «il cavallo è una bestia», «il firmamento riempie
l'animo di stupore» o «la virtù deve essere praticata», si formulerebbero dei
giudizi. Il giudizio è l'atto con il quale si afferma o si nega qualcosa.
Il ragionamento è, poi, l'attività con la quale si connettono enunciazioni, con
la quale si passa da una enunciazione ad un'altra, come quando si dica: «Uscendo
da quest'aula ho spento la luce, ora la luce è accesa, dunque qualcuno è entrato
durante la mia assenza in quest'aula».
A tali attività conoscitive fondamentali corrispondono rispettivamente, nell'ordine logico, il concetto, la proposizione o enunciazione, l'argomentazione.
Il concetto si dice anche termine in quanto lo si considera come
elemento della proposizione.
Distinguiamo termine mentale, orale e scritto. Il primo è il termine in quanto
pensato, ossia il concetto, il secondo è la parola che esprime il concetto, il
terzo è il segno grafico esprimente il concetto.
La logica si occupa del termine mentale. Tuttavia, siccome il pensiero si
esprime nella parola orale e nello scritto e siccome noi possiamo studiare il
pensiero solo quando è espresso, così la logica ha a che fare anche col termine
orale e con il termine scritto.
Il termine orale e lo scritto sono segni del termine mentale. Segno è,
infatti, tutto ciò che fa conoscere un'altra cosa.
Il linguaggio è un segno convenzionale; non già perché la capacità di parlare non sia inerente alla natura dell'uomo, ma perché la corrispondenza fra una determinata parola e un determinato oggetto è stabilita dall'intelligenza e dalla volontà umana. Il parlare è, in un certo senso, una creazione dell'uomo. In questo senso il linguaggio è un segno convenzionale.
Concetto ed enunciazione
Il concetto può essere:
- semplice
- complesso.
Concetto semplice è quello che non si può ulteriormente scomporre, come per
esempio "cielo"; complesso è, invece, quel concetto che risulta costituito di
più termini semplici, per esempio, "cielo stellato".
Il concetto complesso non deve essere confuso con la proposizione o
enunciazione. Esso, infatti, non contiene una affermazione o una negazione, la
proposizione sì. Quindi l'espressione "cielo color di porpora all'ora del
tramonto", benché abbastanza lunga, è semplicemente un concetto, mentre
l'espressione "Dio è" costituisce una enunciazione.
Estensione e comprensione
Si chiama estensione di un termine la quantità numerica dei soggetti
dei quali esso è predicabile; si dice comprensione l'insieme degli
aspetti significati dal termine.
L'estensione del termine "uomo" è l'insieme degli uomini, la sua comprensione è
l'insieme dei caratteri disponibili alla mente quando pensa "uomo ": "animale
ragionevole", "mortale", "capace di attività artistiche", "socievole", ecc.
Estensione e comprensione sono inversamente proporzionali: quanto maggiore è
l'una tanto minore è l'altra. Per esempio, il termine "animale", che è più
esteso di "uomo" (perché oltre agli uomini ci sono tanti altri soggetti ai quali
si applica) è meno comprensivo, in quanto non comprende, ad esempio, i caratteri
"ragionevole", "capace di attività artistiche" ecc. che competono soltanto
all'uomo e non a tutti gli altri animali.
Quanto alla estensione il termine si
distingue in:
- singolare
- universale.
Termine singolare è quello che si applica a
un solo soggetto, per esempio "Pietro", "questa tavola"; termine universale
è quello
che si applica distributivamente a più soggetti, vale a dire a tutti e ad ognuno, come per esempio "uomo",
infatti, di tutta l'umanità presa
insieme posso dire "gli uomini", ma anche di ogni individuo preso
singolarmente posso dire che è uomo.
Il termine universale si distingue dal termine collettivo, per esempio
"esercito", che si applica sì a più soggetti, ma solo quando siano presi
insieme.
Quanto alla comprensione il termine si distingue in:
- finito e infinito
Il termine finito dice l'appartenenza di un oggetto ad un determinato insieme;
il termine infinito esclude l'oggetto dall'appartenenza ad un determinato
insieme. È finito il termine "intelligente", è infinito il termine "non
intelligente", da non confondere con il termine negativo, in questo caso "inintelligente".
È possibile dire che una pietra è "non intelligente", ma non è possibile dire
che sia "inintelligente"; inintelligente, infatti, può essere soltanto
l'uomo scemo;
- concreto e astratto
Il termine concreto significa una cosa dotata di un certo carattere, quindi
significa una cosa come composta di soggetto e determinazione. Il termine
"uomo", ad esempio, significa "l'ente umano", "ciò che detiene l'umanità";
analogamente il termine "bianco" significa "la cosa bianca", "ciò che ha la
bianchezza". Il termine astratto, invece, significa la determinazione come
staccata dalla cosa determinata. I termini "umanità" e "bianchezza", per
esempio, sono astratti, in quanto non significano un soggetto singolare,
ma la determinazione comune a tutti i soggetti singolari così caratterizzati;
- assoluto e connotativo
Il primo significa un oggetto come per sé stante, sia
che l'oggetto possa star da sé, sia che l'oggetto non possa in realtà star da
sé. Ad esempio, sono termini assoluti sia "uomo" sia "bianchezza",
perché sebbene
in realtà la bianchezza, staccata dalla cosa bianca, non sussista, tuttavia è
significata come per sé stante. Il termine connotativo invece significa un
oggetto come determinativo di un altro (adiacens alteri), ad esempio
"bianco", "dritto";
- categorematico e sincategoraematico.
Il primo è quello che ha un
significato indipendente, che può esser pensato per sé, per esempio: "rosso",
"sensazione", "gatto", "soffrire", ecc.; il secondo è quello che preso per
sé
non ha un significato, ma va solo a determinare un termine categorematico, ha
solo un significato dipendente, per es.: "con", "qualche", "e". Sono termini
categorematici i nomi, i verbi, gli aggettivi; sono sincategorematici i pronomi,
le preposizioni, le congiunzioni, gli avverbi.
le funzioni proposizionali del concetto
Nella proposizione il termine può fare da soggetto o da predicato.
Soggetto è
il termine di cui si dice qualche cosa, predicato è il termine che dice qualche
cosa, che determina.
Soggetto e predicato stanno fra loro come elemento determinabile ed elemento
determinatone.
Il Predicato. Univoco, equivoco, analogo
Il predicato è univoco se dice la medesima cosa di tutti i soggetti dei quali si predica (praedicatur de diversis secundum rationem totaliter eamdem): per esempio il termine "uomo" predicato dei diversi uomini. Quando infatti dico: «Tizio è uomo», «Caio è uomo», «Sempronio è uomo» intendo dire la medesima cosa di Tizio, di Caio e di Sempronio.
Il predicato è equivoco se dice cose totalmente diverse dei diversi soggetti dei quali si predica: (praedicatur de diversis secundum rationem totaliter diversam). L'esempio ricorrente di termine equivoco è il termine "cane", predicato dell'animale, della costellazione e del percussore della pistola a tamburo.
Il predicato è analogo se dice qualche cosa che in parte è uguale e in parte è diverso nei diversi soggetti dei quali si predica (praedicatur secundum rationem partim eamdem, partim diversam). L'esempio aristotelico di predicato analogo è il termine "sano" predicato del cibo, del colorito, dell'animale: nell'animale la sanità indica un certo stato fisiologico, nel cibo e nel colorito invece non ci può essere uno stato fisiologico, ma solo la capacità di produrre o di manifestare un tale stato.
Naturalmente, lo stesso termine che è univoco rispetto a certi soggetti può essere equivoco e analogo rispetto ad altri. Il termine "cane", ad esempio, è univoco se predicato di diversi cani, equivoco se predicato di un cane (animale), della costellazione e del percussore, analogo se predicato di un cane e di un padrone esoso verso i suoi dipendenti. Quindi, di un termine isolatamente preso non si può dire se sia univoco, equivoco o analogo, ma occorre vederlo nell'esercizio della funzione di predicato.
Categorie o predicamenti
Sono i concetti più universali sotto i quali sono unificati i diversi aspetti
della realtà, i supremi generi dei predicati che si possono attribuire alle
cose. Ciò, sotto il profilo logico.
Le categorie, tuttavia, possono essere considerate anche da un punto di vista
reale o ontologico
Dal punto di vista logico, per esempio, il predicato "sostanza" non interessa in quanto significa l'ente in sé, che sta a fondamento delle determinazioni accidentali, ma in quanto e' il genere supremo dei predicati "corpo", "animale", "gatto", ecc. Da ogni categoria, intesa in senso metafisico, si può poi dedurre una serie di predicati che costituisce la categoria in senso logico. Ad esempio, tutti i predicati che esprimono la sostanza, l'essenza costitutiva di una cosa, come "uomo", "animale", "vivente", "corpo" costituiscono la categoria logica della sostanza.
Secondo Aristotele le categorie sono dieci (in omaggio a Pitagora):
- sostanza
- qualità
- quantità
- relazione
- azione
- passione
- tempo
- luogo
- situs (gr. keîsthai)
- habitus (gr. échein).
Kant, però, rimproverò a questo elenco di categorie di essere «rapsodico», da
cantastorie, ossia senza un filo conduttore, e di esser derivato
dall'esperienza.
Circa le obiezioni di Kant si potrebbero fare alcuni rilevi, ma si rimanda per
questo alla trattazione degli autori in questione.
Categoremi o predicabili
Sono i modi in cui un predicato si predica di un soggetto.
Si può dire di Tizio che è animale, uomo, rosso di capelli, intelligente,
musicista, padre di due figli, ecc.
Secondo Porfirio, nell'Isagoge (=introduzione) alle Categorie di
Aristotele, i predicabili sono cinque:
- genere
- specie
- differenza specifica
- proprio
- accidente.
Parlando di Tizio o di Caio, il genere esprime l'essenza presa
indeterminatamente ("animale", "vivente"), la specie esprime l'essenza in
modo completo ("uomo"), la differenza esprime ancora l'essenza, ma
considerata nell'aspetto che la determina ("razionale"), il proprio è
quel predicato che compete a tutti gli individui di una specie, soltanto ad essi
e sempre ("capace di ridere"), l'accidente è quel predicato che esprime
un carattere non necessariamente connesso con l'essenza, ossia ciò che può
esserci e non esserci senza che tuttavia il soggetto cessi di essere
specificamente quello che è ("biondo", "bruno", "rosso").
Il soggetto: la suppositio dei termini
Sempre se considerato nella proposizione, come soggetto, il termine "suppone"
(supponit) in diversi modi. La suppositio è il modo in cui un
termine tiene il posto di una cosa nel discorso.
Se si dice, per esempio, «l'uomo è una specie del genere animale» e «l'uomo
zappava la terra», il termine "uomo" sta in luogo di soggetti diversi nell'una e
nell'altra proposizione, ossia ha una suppositio diversa nelle due
proposizioni. L'uomo che zappava la terra può essere Tizio, mentre Tizio non può
essere una specie del genere animale. Nella prima proposizione il termine "uomo"
sta in luogo di un concetto, nella seconda sta in luogo di un individuo.
La suppositio di un termine può essere:
- materiale
- formale.
È materiale quando il termine sta in luogo della parola stessa: nella
proposizione: «uomo è una parola di quattro lettere» il termine "uomo" ha una suppositio materiale, espressiva della considerazione del grammatico.
È formale, invece, quando il termine sta in luogo di ciò che è significato dalla
parola.
La suppositio formale si distingue in:
- logica
- reale.
È logica quando il termine sta in luogo del pensato in quanto pensato, del
concetto come intentio secunda; è reale quando il termine sta in luogo
del contenuto reale significato.
Nella proposizione: «uomo è un concetto universale» il termine "uomo" ha una suppositio logica, mentre nella proposizione: «l'uomo è un animale
socievole» il termine "uomo" ha una suppositio reale.
La suppositio reale può essere:
- assoluta
- personale.
È assoluta quando il termine sta in luogo dell'essenza significata, senza che si
abbia riguardo agli individui nei quali tale essenza si realizza; è personale
quando il termine sta in luogo di tutti o di alcuni degli individui ai quali è
applicabile.
Nella proposizione: «gli uomini hanno un'anima immortale» il termine "uomo" ha
una suppositio assoluta perché l'avere un'anima immortale compete a
qualsiasi uomo, per il fatto che ha la natura umana, non è una prerogativa di
questi o questi altri individui. Invece, nella proposizione: «gli uomini vanno
al lavoro» il termine "uomo" ha una suppositio personale, perché con essa
intendo riferirmi ad un certo gruppo di individui umani che si recano al loro
posto di lavoro.
La suppositio personale può essere:
- comune
- discreta
a seconda che il termine stia in luogo di tutti («l'uomo è socievole») o solo di
alcuni degli individui ai quali si applica («l'uomo è musicista»).
La suppositio discreta può essere:
- determinata
- confusa.
È determinata quando indica certi determinati individui, è confusa quando indica
un individuo qualunque di una data specie.
Se si dice: «il cibo è sulla tavola» si intende riferirsi ad un determinato
cibo; se invece si dice: «il cibo è necessario per vivere» non si intende
riferirsi a questo piuttosto che a quell'altro cibo.
È il discorso con il quale significhiamo che cosa è un oggetto.
Quando si ottiene una nozione dall'esperienza, dopo l'imposizione del nome,
occorre poi precisare la nozione stessa e questo si fa con la definizione.
Essa può essere:
- nominale
- reale.
La definizione è nominale quando spiega solo il significato del nome sostituendo
una parola ad un'altra con significato equivalente («il tachimetro è il
misuratore della velocità»).
È reale quando spiega che cosa sia l'oggetto significato dal nome.
La definizione reale può essere:
- essenziale, quando dice ciò che costituisce il definito nella sua essenza
- causale, quando spiega ciò che una cosa è assegnandone la causa o le cause
proprie
- descrittiva, quando spiega ciò che la cosa è, non mediante i costitutivi
della sua essenza, ma mediante certi suoi aspetti esteriori caratteristici.
La definizione essenziale si distingue ancora in:
- fisica, quando esprime i costitutivi fisici dell'essenza di una cosa, cioè le
parti realmente distinte di cui è costituita una cosa
- metafisica, quando esprime i costitutivi metafisici dell'essenza (costitutivi
che non sono realmente distinti) e cioè il genere prossimo e la differenza
specifica; ;
La definizione più perfetta è la definizione essenziale metafisica. Se si
prende questa definizione nel senso stretto, cioè come quella che esprime gli
elementi costitutivi dell'essenza di una cosa, si deve convenire che di ben
poche cose si ha una definizione metafisica.
Non si possono, poi, definire né i generi supremi, che non hanno nessun concetto
più universale del loro, né gli individui, perché le differenze individuali non
sono esprimibili in concetti. L'individuo può sì essere definito, ma come
specie, non come individuo: Socrate può esser definito come uomo, non come
Socrate.
Per essere buona, una definizione deve essere:
- convertibile con il definito, cioè nè più nè meno estesa di esso
(l'automobile non si definisce né "una macchina" nè "una FIAT")
- più chiara del definito, se no è inutile
- breve
- tale che il definito non entri nella definizione (la giustizia non si
definisce "virtù che ci fa essere giusti ")
- possibilmente non costituita di termini negativi.
Per sé una definizione può essere buona o non buona, non già vera o falsa, perché la definizione è un termine complesso, ma non è ancora un giudizio.
È il termine logico corrispondente all'atto psicologico del giudizio. Il
giudizio è l'atto con il quale si afferma o si nega qualcosa.
Caratteristica dell'enunciazione è dunque quella di esprimere una affermazione o
una negazione. Poiché, poi, è una proprietà dell'affermazione o della negazione
quella di essere o vera o falsa, l'enunciazione è definita anche «la frase alla
quale compete di essere vera o falsa».
Non ogni frase è l'espressione di un giudizio: talora noi esprimiamo desideri,
preghiere, comandi ... ed anche in questi casi esprimiamo qualche cosa di più di
semplici concetti staccati, stabiliamo dei legami fra concetti, ma sono legami
stabiliti da un atteggiamento extrateoretico, da un atteggiamento sentimentale o
volitivo, come ad esempio quando diciamo: «Volesse il cielo che domani
piovesse», oppure «Va' nel tal posto», e quindi esulano dalla considerazione
della logica.
L'enunciazione è una particolar specie di frase, è la oratio perfecta, e
di questa si occupa la logica.
Gli elementi dell'enunciazione considerata nella sua espressione mentale sono
il soggetto e il predicato, gli elementi dell'enunciazione considerata nella sua
espressione verbale sono il nome e il verbo.
Il nome esprime una realtà concepita come sostanza, quindi non esprime il tempo,
perché il tempo è la misura del divenire, non dell'ente.
Il verbo invece esprime il divenire e perciò implica una determinazione di
tempo.
Verbo sostantivo è il verbo "essere", quando non fa da copula, ma esprime
l'esistenza. Verbi attributivi sono tutti gli altri e si dicono attributivi non
già perché attribuiscano o aggiungano qualche cosa al nome (questo infatti è
comune anche al verbo sostantivo) ma perché presuppongono il verbo "essere" ed
aggiungono a questo un altro attributo. Per agire o per patire, infatti, bisogna
preliminarmente essere.
Il verbo "essere", poi, può avere due funzioni:
- di predicato
- di copula.
Fa da predicato quando esprime l'esistenza, fa da copula quando unisce
semplicemente il predicato al soggetto, e in tal caso non esprime l'esistenza
reale di una cosa.
Si dice "predicazione" l'attribuzione di un predicato ad un soggetto. La predicazione può essere diretta o indiretta. Essa suppone sempre l'identità fra soggetto e predicato, non però sotto il profilo formale (identità nei concetti), bensì materiale (ossia di ciò che è espresso dai concetti).
Distinzioni relative alla materia dell'enunciazione
Distinguiamo nell'enunciazione forma e materia.
Materia dell'enunciazione sono i termini di cui è costituita, soggetto e
predicato; forma è il nesso fra i termini.
Per la materia una enunciazione può essere:
- necessaria
- impossibile
- contingente.
È necessaria quando il predicato esprime un carattere che appartiene
necessariamente al soggetto («la somma degli angoli interni di un triangolo è
uguale a due retti»); è impossibile quando il predicato esprime qualche cosa che
non può stare col soggetto («il cerchio è quadrato»); è contingente quando il
predicato esprime un carattere che appartiene effettivamente al soggetto, ma che
il soggetto potrebbe anche non avere pur rimanendo essenzialmente tale («questo
triangolo è disegnato sulla lavagna»).
Dalla materia dell'enunciazione e precisamente dall'estensione del soggetto
dipende la sua quantità.
Per la quantità l'enunciazione può essere:
- universale
- particolare
- singolare
- indefinita..
È universale, quando il predicato è attribuito a (o negato di) tutti gli enti ai
quali si estende la nozione che esprime il soggetto («ogni triangolo ha gli
angoli interni uguali a due retti», oppure « nessun triangolo ha quattro lati»);
è particolare, quando il predicato è attribuito a (o negato di) alcuni soltanto
degli enti ai quali si estende la nozione che esprime il soggetto («alcuni
uomini sono filosofi», oppure «alcuni uomini non sono artisti»); è singolare,
quando il predicato è attribuito a (o negato di) un solo individuo («Pietro è
filosofo», «Pietro non è filosofo»); è indefinita, quando il predicato è
attribuito al (o negato del) soggetto, senza che si precisi a quanti enti ai
quali si estende la nozione che esprime il soggetto vada attribuito quel
predicato («il triangolo ha tre lati», «il treno corre»).
La proposizione indefinita equivale ad una universale quando è necessaria o
impossibile, equivale ad una singolare quando è contingente. Per esempio, la
proposizione: «il triangolo ha tre lati» equivale a: «ogni triangolo ha tre
lati», mentre la proposizione: «il treno corre» equivale a: «questo treno
corre». La proposizione singolare, poi, è un caso speciale della particolare,
quindi i due tipi fondamentali di proposizioni per quel che riguarda la
quantità, sono: universale e particolare.
Distinzioni relative alla forma dell'enunciazione
Per la forma le proposizioni o enunciazioni si distinguono in:
- affermative e negative
- assertorie e modali.
La prima distinzione è evidente.
Si chiamano assertorie (de inesse) le proposizioni che connettono o
disgiungono un predicato da un soggetto senza dire però in che modo essi siano
connessi o disgiunti, si chiamano modali quelle che indicano anche il modo della
connessione. Nella proposizione modale si distinguono quindi il dictum e
il modus; il dictum è ciò che è detto, il modus, il modo in
cui è detto, ossia il dictum comprende tutto quello che rimarrebbe nella
proposizione modale se essa fosse trasformata in assertorie. Nella proposizione:
«è necessario che Dio esista», ad esempio, "è necessario" è il modus,
"Dio esista" è il dictum.
Ci sono quattro modi proposizionali:
- necessario
- impossibile
- possibile
- contingente.
La proposizione modale è necessaria, quando afferma che il predicato deve essere
attribuito al soggetto («è necessario che il triangolo abbia tre lati»); è
impossibile, quando nega che il predicato possa essere attribuito al soggetto
(«è impossibile che Dio ci inganni»); è possibile, quando afferma che il
predicato può essere attribuito al soggetto («è possibile che un uomo sia
filosofo»); è contingente, quando afferma che il predicato di fatto è attribuito
al soggetto, ma potrebbe anche non essergli attribuito («è contingente che
Pietro corra», ossia di fatto Pietro corre, ma potrebbe anche non correre).
La forma della proposizione modale dipende dalla copula da cui modus e dictum sono uniti, quindi è affermativa la proposizione «è necessario che Dio non
sia un ingannatore» e
negativa la proposizione: «non è necessario che Dio sia creatore».
Anche verità
e falsità della proposizione modale dipendono dal modus e non dal dictum;
quindi è vera la proposizione «è impossibile che un triangolo abbia quattro lati», mentre è falsa la proposizione «è possibile che un triangolo abbia tre lati» (infatti
è necessario che un triangolo abbia tre lati, non soltanto possibile). Per
giudicare se una modale è vera o falsa, però, bisogna distinguere anche senso
composto e senso diviso: la proposizione «è possibile che un cieco veda»,
infatti, è falsa in senso composto, perché un cieco, mentre è cieco, non può vedere,
ma è vera in senso diviso, perché un cieco può guarire e quindi vedere.
La quantità di una proposizione
modale dipende dall'estensione del modo, quindi la proposizione modale:
- necessaria equivale ad una universale affermativa
- impossibile equivale ad una universale
negativa
- possibile equivale ad una particolare affermativa
- contingente equivale ad una particolare negativa.
Enunciazioni semplici e composte
È semplice la proposizione che consta solo di soggetto, predicato e copula, ossia che esprime una sola affermazione o negazione, è composta la proposizione che consta di più proposizioni semplici unite insieme.
Distinguiamo tre tipi di proposizioni composte:
- condizionale o ipotetica
- disgiuntiva
- copulativa.
La proposizione ipotetica è la più importante delle proposizioni composte: essa
enuncia che una cosa è o non è, se un'altra è o non è. La proposizione ipotetica
consta di due parti : l'ipotesi o condizione e il condizionato; nella
proposizione «se c'è il sole vado a spasso», «se c'è il sole» è la condizione,
«vado a spasso» il condizionato. La verità o falsità della proposizione
condizionale dipendono dalla verità o falsità del nesso fra le due parti, non
dalla verità della condizione e del condizionato singolarmente presi, quindi la
proposizione «se l'uomo è un puro spirito non occupa spazio» è vera, mentre la
proposizione «se il triangolo ha tre lati il fuoco brucia» è falsa.
La proposizione disgiuntiva è quella che esprime una contrapposizione e
un'alternativa, come per esempio: «O Pietro si cura o morirà». Esprime una
contrapposizione, in quanto una parte esclude ciò che l'altra pone; esprime
un'alternativa, in quanto se si pone una parte si esclude l'altra. La
proposizione disgiuntiva è vera se le due parti non possono avverarsi o non
avverarsi insieme, è falsa se le due parti possono avverarsi o non avverarsi
insieme.
La proposizione copulativa è quella in cui due affermazioni o due negazioni sono
poste insieme, come nei casi: «la terra si muove e il sole sta fermo», «né la
terra sta ferma né il sole si muove». La proposizione copulativa è vera se
entrambe le parti di cui è composta sono vere.
Rapporti tra le proposizioni
Due proposizioni sono opposte quando, avendo il medesimo soggetto e il
medesimo predicato, si escludono in qualche modo fra loro. Ci sono diversi modi
di opposizioni: due proposizioni opposte possono essere:
- contraddittorie
- contrarie
- subcontrarie.
Due proposizioni sono contraddittorie quando l'una consiste nella negazione
dell'altra.
Le contraddittorie differiscono per forma e per quantità, ossia debbono essere
una affermativa e l'altra negativa, una universale e l'altra particolare.
Due proposizioni sono contrarie quando l'una non solo nega ciò che
l'altra afferma, ma nega anche qualche cosa di più: se si oppone alla
proposizione «ogni uomo corre» la proposizione «nessun uomo corre» non solo si
nega la prima, ma si nega anche che alcuni uomini corrano.
Le contrarie differiscono per forma, ma non per quantità, perché debbono essere
entrambe universali.
Due proposizioni sono subcontrarie quando l'una non nega proprio ciò
che l'altra afferma, ma nega solo che la prima possa essere presa
universalmente: se si oppongo alla proposizione «alcuni uomini corrono» la
proposizione «alcuni uomini non corrono», non si non nega la prima, si nega solo
che l'affermazione fatta a proposito di alcuni possa estendersi a tutti.
Le subcontrarie differiscono per forma, ma non per quantità perché debbono
essere entrambe particolari.
Non è opposizione logica il rapporto fra le subalterne, ossia fra due proposizioni che hanno la medesima forma e diversa quantità, perché, anziché escludersi, l'una (l'universale) implica l'altra.
L'opposizione massima è quella delle contraddittorie.
Due contraddittorie non possono né essere entrambe vere né entrambe false, ma sono
necessariamente una vera e una falsa.
Opposizione minore è quella delle
contrarie, perché esse hanno comune la quantità. Due contrarie non possono
essere entrambe vere, ma possono essere entrambe false, perché l'una afferma
universalmente, l'altra universalmente nega, ora in materia contingente può
esser vera una particolare affermativa.
Ancora minore è l'opposizione delle
subcontrarie le quali possono essere entrambe vere. Non possono invece essere
entrambe false, altrimenti le loro contraddittorie sarebbero entrambe vere; le contraddittorie di due subcontrarie,
però, sono fra loro contrarie e due
contrarie, come detto sopra, non possono essere entrambe vere.
È il risultato logico della terza operazione dello spirito: il ragionamento.
Il ragionamento è l'attività con la quale lo spirito passa da una proposizione
nota ad un'altra; esso implica dunque un movimento, un dis-cursus, da una
conoscenza ad un'altra.
L'argomentazione è un insieme ordinato di proposizioni, una delle quali è posta
come inferita dalle altre. La proposizione inferita si chiama conseguente,
quella o quelle da cui è inferita si chiama antecedente; il vincolo di
dipendenza fra il conseguente e l'antecedente si chiama conseguenza.
Non si può propriamente parlare di verità o falsità a proposito dell'argomentazione, perché la verità o la falsità competono all'enunciazione, e la bontà dell'argomentazione è indipendente dalla verità o falsità delle proposizioni che la compongono. Per esempio, l'argomentazione: «per tutti i triangoli vale il teorema di Pitagora, ora il triangolo ottusangolo è un triangolo, dunque per il triangolo ottusangolo vale il teorema di Pitagora» è un'argomentazione buona, sebbene la prima proposizione dell'antecedente sia falsa.
Materia e forma
Materia dell'argomentazione sono le proposizioni (e i concetti) di cui è
costituita, forma è la disposizione delle proposizioni e dei termini in modo
tale che da essi risulti il conseguente o la conclusione. È necessaria infatti
una certa disposizione dell'antecedente affinché noi vediamo risultare la
conclusione, perché noi non vediamo immediatamente in una proposizione tutte le
altre che ne possono derivare.
Si dice argomentazione formale quella in cui il conseguente deriva
dall'antecedente in virtù della forma, argomentazione materiale quella in cui il
conseguente deriva dall'antecedente in virtù della materia, cioè solo perché
nell'antecedente ci sono quelle determinate proposizioni. Se si dice: «questo
triangolo ha tre lati, dunque tutti i triangoli hanno tre lati»,
l'argomentazione vale per la materia, non per la forma, tanto è vero che se si
cambia un termine e si dice: «questo triangolo è rettangolo, dunque tutti i
triangoli sono rettangoli», si ha una conclusione falsa.
Solo l'argomentazione formale è vera argomentazione, perché in quella materiale
non c'è nesso fra antecedente e conseguente: il conseguente non è vero perché è
posto l'antecedente, ma indipendentemente da questo.
Regole dell'argomentazione in generale
La regola fondamentale dell'argomentazione è la seguente:
- se l'antecedente è vero il conseguente deve essere vero.
Nella buona argomentazione, infatti, il conseguente è contenuto
nell'antecedente, perché, se il conseguente fosse falso mentre l'antecedente
fosse vero, il falso sarebbe implicito nel vero, ma ciò vorrebbe dire che una
proposizione è nello stesso tempo vera e falsa. Dunque, se un conseguente è
falso (e l'argomentazione è buona), allora l'antecedente è falso.
Un conseguente vero, invece, può derivare anche da un antecedente falso (ex
falso sequitur quodlibet), giacché il conseguente può utilizzare la parte di
verità contenuta nell'antecedente falso; se ad esempio si dice: «l'uomo è pesce,
dunque è animale», siccome l'antecedente può contenere più del conseguente, il
conseguente può non assumere gli aspetti dell'antecedente che lo rendono falso.
Da questa regola fondamentale ne derivano altre:
- Se l'antecedente è necessario, anche il conseguente è necessario, ma il
conseguente può essere necessario anche se l'antecedente è contingente,
possibile e impossibile
- Se l'antecedente è possibile, anche il conseguente è possibile, ma il
conseguente può essere possibile anche se l'antecedente è impossibile
- Il conseguente del conseguente è conseguente dell'antecedente.
- Ciò che contraddice il conseguente contraddice anche l'antecedente, ma non
viceversa, per es., « Tizio è uomo, dunque è animale*. Se io nego che Tizio sia
animale nego anche che sia uomo, ma se nego che sia uomo non nego per questo che
sia animale.
In ragione della materia l'argomentazione può essere
- dimostrativa
- probabile
- sofistica.
Per la forma essa può essere
- deduttiva
- induttiva.
Il sillogismo
È l'argomentazione nella quale, «da un antecedente che unisce (o disgiunge)
due termini ad (o da) un terzo, si inferisce un conseguente che unisce (o
disgiunge) questi due termini fra loro». Il conseguente inferito viene chiamato
anche conclusione; i due termini uniti nella conclusione si chiamano estremo
maggiore (il predicato) ed estremo minore (il soggetto).
Quando si dice: «ogni uomo è mortale, Tizio è uomo, dunque Tizio è mortale», si
formula un sillogismo la cui conclusione è «Tizio è mortale». "Tizio" è
l'estremo minore, "mortale" è l'estremo maggiore.
Poiché nell'antecedente bisogna mettere questi due estremi in rapporto con un
terzo termine, che si chiama termine medio, l'antecedente dovrà essere
costituito di due proposizioni, che si chiamano premesse: in una si mette in
rapporto con il medio l'estremo maggiore, e questa si chiama premessa maggiore;
nell'altra si mette in rapporto con il medio l'estremo minore, e questa si
chiama premessa minore.
Nessuna delle due premesse, presa separatamente, genera la conclusione, ma
quando la minore è vista in rapporto con la maggiore, alla luce della maggiore,
si ha già la conclusione. Se io so già che l'area di un triangolo si ottiene
calcolando il semiprodotto della base per l'altezza (premessa maggiore), nel
momento in cui scopro che un poligono regolare equivale alla somma di tanti
triangoli quanti sono i suoi lati — triangoli che hanno per base il lato del
poligono e per altezza la sua apotema — (premessa minore), scopro anche la
regola per ottenere l'area del poligono regolare (conclusione).
L'induzione
È l'argomentazione con la quale si passa da proposizioni particolari a una
proposizione generale.
Nel sillogismo si afferma la connessione fra due termini in virtù di un termine
medio; nell'induzione si afferma la connessione fra due termini perché si sono
visti connessi quei due termini in tanti casi particolari. Nell'induzione è
dunque l'esperienza dei casi particolari quella che fa da medio. Es.: « Il corpo
B è pesante, il corpo C è pesante, il corpo D è pesante, dunque tutti i corpi
sono pesanti ». L'enumerazione dei particolari deve essere completa ? No,9 basta
che sia sufficiente a farci capire quale è la ragione di quel fatto che abbiamo
constatato tante volte, qual è l'essenza che è il vero soggetto del predicato
che abbiamo trovato nell'esperienza. Per es.: io vedo che un pezzo di rame cade
verso il basso, un pezzo di carta pure, un pezzo di legno pure. Mi domando qual
è la ragione di quel cadere, di quella pesantezza, e rispondo: non è l'esser
legno, rame, o carta, ma l'esser corpo. Ora l'esser corpo è anche il vero
soggetto