Lezioni



CLASSE   IV   -   Verifiche di Storia

Da Carlo V alla guerra dei Trent'anni

 

 

1.

 

a) Il Concilio di Trento (1545-1563) e le sue fasi.

 

Nel 1542 Paolo III annunciò la convocazione del concilio ecumenico a Trento, feudo dell'impero governato da un principe-vescovo, località chiave per i rapporti tra mondo germanico e mondo romano. Il 13 dicembre del 1545 se ne ebbe la solenne apertura; vi parteciparono un numero eccezionale di personalità ecclesiastiche in maggioranza italiani e spagnoli, mentre una delegazione francese fu presente solo nell'ultima fase e i protestanti vi fecero una fugace comparsa tra il 1551 e il 1552. Il pontefice non intervenne di persona, ma si fece rappresentare da propri legati, che evitarono il riemergere dei principi conciliaristi; alla fine dei lavori, però, tutti i decreti furono sottoposti all'approvazione del papa, cui fu riservata anche la loro interpretazione. I diversi problemi venivano esaminati a parte da commissioni o congregazioni speciali che presentavano poi i risultati del proprio lavoro all'assemblea generale, la quale, approvandoli, ne ordinava la promulgazione. Il Concilio si svolse attraverso varie fasi: 1) aperto a Trento nel 1545, fu trasferito a Bologna nel '47 in occasione di una pestilenza e temporaneamente sospeso nel '49, mentre era ancora papa Paolo III; 2) ripreso a Trento per volontà di Giulio III nel 1551, venne nuovamente interrotto nel 1552 a causa della guerra; 3) riaperto da Pio IV all'inizio del 1562, fu solennemente concluso il 4 dicembre 1563. I decreti del Concilio furono approvati da Pio IV con la bolla Benedictus Deus et Pater e pubblicati nella Professio fidei Tridentina (1564).

 

b) I risultati del Concilio di Trento in materia dottrinale e disciplinare.

 

I decreti formulati dai Padri del Concilio tridentino furono approvati dal papa Pio IV con la bolla Benedictus Deus et Pater e pubblicati nella Professio fidei Tridentina (1564). Tra i risultati in materia di fede: fu affermata la necessità delle opere della carità per ottenere, insieme con la fede, la giustificazione e la salvezza spirituale; fu riconosciuto il valore della tradizione, ossia dell'insegnamento secolare della Chiesa come fonte di rivelazione insieme con la Scrittura; furono riaffermati l'origine divina e il valore carismatico dei tradizionali sette sacramenti, la validità del culto della Vergine e dei Santi, la funzione mistica del sacerdozio; fu stabilito l'elenco dei Libri canonici della Scrittura; fu accettata la Volgata di S. Gerolamo come edizione ufficiale della Bibbia, di cui fu riconosciute interprete autorevole soltanto la Chiesa. In materia di disciplina e morale: fu riconfermata la necessità del celibato ecclesiastico; fu proibito il cumulo dei benefici ecclesiastici; fu imposto ai vescovi l'obbligo di residenza; furono migliorate le condizioni dei parroci e sollecitata la riforma dei vecchi ordini religiosi; si previde la creazione di appositi seminari diocesani per risolvere il problema della preparazione morale e culturale dei sacerdoti; venne stabilito un più accurato controllo della sincerità e libertà delle vocazioni religiosa.

 

 

 

2.

 

a) La guerra dei tre Enrichi.

 

Poiché Enrico III non aveva figli, Enrico di Navarra-Borbone era destinato a succedergli sul trono per la discendenza del suo casato (i Borboni) da un figlio cadetto di Luigi IX il Santo. Egli, però, era ritornato al calvinismo e la tradizione costituzionale del regno di Francia non avrebbe permesso che il trono di S. Luigi fosse occupato da un eretico, tanto più che il papa Sisto V l'aveva dichiarato decaduto dai suoi diritti di successione alla corona. Enrico di Borbone, peraltro, era un buon condottiero, amato dai suoi seguaci, cosicché il Valois finì con l'avvicinarsi a lui. Nel 1588 fu assassinato Enrico di Guisa, capo della Lega cattolica; per vendicarlo un frate domenicano, Jacques Clément, pugnalò ed uccise il re, ritenuto responsabile dell'assassinio precedente. In punto di morte, Enrico III riconobbe Enrico di Borbone-Navarra come suo successore (1589). La popolazione di Parigi, però, rifiutò di accogliere il nuovo candidato al trono perché protestante; Enrico IV, dal canto suo, pur bloccando la città da ogni parte e potendo contare sull'aiuto dei politici in genere, giuristi e parlamentari che volevano un sovrano nazionale e respingevano ogni intrusione straniera, spagnola o papale, si convinse della necessità di accettare la religione della maggioranza di Francesi e si fece cattolico. Nel marzo del 1594 poté così entrare in Parigi; poco dopo gli giungeva da Roma l'assoluzione conciliatoria del papa.

 

b) L'Impero turco a metà '500 e la battaglia di Lepanto.

 

Sotto il sultano Solimano II il Magnifico l'Impero ottomano era al vertice della sua potenza. Nel 1562, infatti, con la Pace di Praga, gli Ottomani avevano perfino imposto un tributo annuale all'imperatore Ferdinando II; nel Mediterraneo, dopo la conquista di Rodi (1552), l'obiettivo principale dei musulmani era stata Malta, difesa dai Cavalieri dell'Ordine di San Giovanni, profughi da Rodi, che poté resistere agli assalti degli ottomani fino al 1565. Nel 1570, però, il sultano Selim II rivolse le sue forze contro Cipro, possesso veneziano, che aveva grande importanza per il controllo del Levante. I Veneziani, mentre la roccaforte di Famagosta ancora resisteva, chiesero l'aiuto di una lega di Stati cristiani, che si costituì grazie all'energico intervento di papa Pio V con il contributo del regno di Spagna, del ducato di Savoia e del granducato di Toscana. Benché la flotta cristiana potesse prendere il mare quando ormai anche Famagosta era caduta nelle mani dei Turchi, l'impresa della Lega non fu inutile, perché le navi cristiane, sotto il comando di don Giovanni d'Austria (fratellastro di Filippo II), affrontarono la flotta turca a nord della penisola di Morea, nelle acque di Lepanto, riportando una clamorosa vittoria: era il 7 ottobre 1571. La vittoria non costituì un risultato decisivo per il controllo del Mediterraneo (ben presto i Turchi avrebbero ripreso Tunisi che era passata nelle mani degli spagnoli), ma fu comunque un segnale decisivo della curva discendente che di lì a qualche decennio l'impero turco avrebbe intrapreso verso una progressiva decadenza.

 

 

 

3.

 

a) La rivolta anti-spagnola nei Paesi Bassi.

 

Diversamente da Carlo V, Filippo II considerava i suoi domini borgognoni della costa atlantica come territori coloniali, sfruttandoli con una tassazione eccessiva e imponendo gli interessi e le finalità della politica spagnola; le sue preoccupazioni religiose, poi, lo inducevano a favorire l'introduzione dell'Inquisizione e la creazione di collegi tenuti da Gesuiti. La resistenza e l'ostilità delle popolazioni locali si manifestarono anzitutto negli ambienti che avevano aderito al calvinismo, come quello degli operai delle industrie tessili della Fiandra e del Brabante, ma anche la nobiltà cattolica, che aveva servito lealmente Carlo V, cominciò a nutrire idee di indipendenza e di autogoverno. Assolutamente contrario a ogni concessione di libertà religiosa e di autonomia politica, Filippo II inviò in Fiandra il duca d'Alba, investito dei supremi poteri per ristabilire l'ordine e l'obbedienza. Ad Anversa il duca d'Alba, giunto con cospicue forze militari, procedette a condanne e confische imponendo anche nuove tasse per il mantenimento del contingente spagnolo occupante. Rivelatasi inutile la mediazione dell'imperatore Massimiliano II, il capo dell'opposizione alla dominazione spagnola, Guglielmo d'Orange (Guglielmo il Taciturno) con l'aiuto di soldati mercenari tedeschi iniziò una guerra di logoramento contro le guarnigioni spagnole. Sul mare, intanto, i corsari inglesi, con la tacita approvazione di Elisabetta, e gli ugonotti francesi delle coste della Bretagna e del Poitou intercettavano i convogli di rifornimento spagnoli, sequestrando merci e denaro. Poi Filippo II richiamò il duca d'Alba, forse per tentare la strada della conciliazione, ma i soldati spagnoli, privi di controllo, si abbandonarono al saccheggio di Anversa (1576), generando un'alleanza tra le province cattoliche del sud e quelle calviniste del nord (Unione di Gand), che richiese l'allontanamento delle truppe straniere. Nel 1578, invece, Filippo II inviò nei Paesi Bassi il condottiero italiano Alessandro Farnese, che riuscì a separare l'Unione riconducendo alla Spagna le province meridionali cattoliche; rottasi, quindi, l'Unione di Gand, tra le province settentrionali protestanti si costituì l'Unione di Utrecht (1579), da cui poi sorse la Repubblica delle Province Unite (1581).

 

b) La politica interna ed estera di Elisabetta Tudor.

 

Dopo i regni di Edoardo VI e di Maria Tudor detta “la Cattolica” (1553-1558), consorte di Filippo d'Asburgo, con l'avvento al trono d'Inghilterra di Elisabetta Tudor (1558-1603), figlia di Enrico VIII e Anna Bolena, l'anglicanesimo venne ripristinato in una forma mediana che manteneva la gerarchia episcopale e parte del rito cattolico, con un fondamento dottrinario protestante (i Trentanove articoli del 1563); anzi, la regina, per evitare di scontentare troppo i sudditi cattolici, non volle accettare il titolo di “Capo” della Chiesa Anglicana (che il padre si era attribuito), ma assunse semplicemente quello di “Reggente supremo”. La guerra contro la Spagna di Filippo II, d'altronde, avrebbe conferito alla persona della Regina, e alla confessione anglicana cui ella apparteneva, il valore simbolico di forze d'indipendenza nazionale contro l'invadenza straniera (di Filippo II o del Pontefice romano). All'inizio del suo regno, intelligentemente, evitò di lasciarsi coinvolgere apertamente nei dissidi politico-religiosi del continente europeo, preferendo dare il suo impulso personale allo sviluppo marinaro del paese, favorendo e finanziando le spedizioni oceaniche dei cosiddetti mercanti di ventura (John Hawkins, Francis Drake, ed altri). Le loro imprese, consistenti nella tratta degli schiavi neri dalla Sierra Leone ad Haiti, nell'attacco ai galeoni spagnoli carichi di metalli preziosi che tornavano verso la madrepatria e nel saccheggio delle località costiere delle colonie spagnole in America, assicuravano consistenti vantaggi finanziari, che garantivano alla regina l'indipendenza dal Parlamento e le rendevano possibile seguire una politica propria. Da paese agricolo l'Inghilterra si avviava a diventare paese marittimo e commerciale, mentre l'afflusso di profughi protestanti dalla vicina Fiandra spagnola favoriva lo sviluppo delle industrie, soprattutto tessili. Nel contempo, preoccupata di spezzare il monopolio commerciale spagnolo con l'America, Elisabetta favoriva l'allargamento del raggio d'azione della marina inglese, indirizzandolo alla scoperta di paesi nuovi nelle inesplorate regioni costiere dell'America settentrionale. Incominciarono così a sorgere le Compagnie commerciali formate da mercanti e nobili finanziatori, che traevano da tali viaggi marittimi elevati profitti.

 

 

 

4.

 

a) La Francia sotto il Richelieu.

 

Dopo la morte di Enrico IV, avvenuta per mano assassina nel 1610, si riaprì una crisi di quindici anni durante i quali rinacquero i contrasti tra ugonotti e cattolici. Per far fronte alle rinate difficoltà economiche, sotto la reggenza di Maria de' Medici (seconda moglie di Enrico IV), per conto del figlio Luigi XIII, il governo decise nel 1614 la convocazione degli Stati Generali del Regno, ma il provvedimento non ottenne alcun risultato e l'assemblea fu disciolta. Nel 1624 entrò a far parte del Consiglio regio il cardinale Armando Duplessis di Richelieu, che fino alla morte, avvenuta nel 1642, dominò la politica interna ed estera del paese aumentandone il prestigio e la potenza. Il programma del Richelieu mirava al rafforzamento del governo centrale e monarchico, e all'affermazione della potenza francese ai danni degli Asburgo d'Austria e di Spagna. Dapprima il Richelieu non forzò la situazione interna e si limitò, all'estero, a fare opposizione agli Spagnoli, che tentavano di insediarsi stabilmente nella Valtellina con il pretesto che quella regione, di lingua italiana e di religione cattolica, era dominata dalla popolazione dei Grigioni, svizzera e protestante (Guerra della Valtellina, 1620-1626). Poi il Richelieu affrontò gli Ugonotti e la nobiltà che contrastavano all'interno dello Stato l'esercizio di un potere assoluto da parte della monarchia. Con estrema energia egli fece attaccare per terra e per mare la cittadella degli Ugonotti, La Rochelle, che dovette capitolare per fame (1628); con l'anno successivo gli altri punti fortificati dei calvinisti nella Francia meridionale furono conquistati e il cattolicesimo ristabilito. Intanto il Richelieu veniva sviluppando la sua azione anti-asburgica in campo internazionale, dapprima fomentando ostilità e guerre contro la Spagna e l'Impero senza parteciparvi direttamente, poi, dal 1535, assumendo una parte di primo piano nella Guerra dei Trent'Anni (ultima fase).

 

b) Rodolfo II d'Asburgo († 1612) e Mattia d'Asburgo († 1619); le cause e lo scoppio della Guerra dei trent'anni.

 

Al tempo di Rodolfo II (1576-1612), una crisi interna divise la dinastia asburgica in tre rami, ma il successore Mattia (1612-1619), fratello di Rodolfo, ritornò a governare con fermezza su tutti i territori costituenti l'eredità asburgica. Con ciò, tuttavia, tornò a delinearsi il dissidio religioso e il contrasto tra protestanti (soprattutto calvinisti) e cattolici all'interno dell'Impero, che fece così da sottofondo e costituì il pretesto della guerra dei Trent'anni, accompagnandone le fasi, senza però esserne una vera e propria causa. Allo scoppio del conflitto, di fatto,  concorsero altri contrasti di ordine economico e politico: l'opposizione insanabile tra le tendenze autonomistiche dei principi tedeschi e quelle accentratrici ed egemoniche degli Asburgo, le aspirazioni della Danimarca e della Svezia all'egemonia sul Baltico, il ritorno della Francia a una politica europea di prestigio e naturalmente di opposizione ai due rami regnati degli Asburgo, quello spagnolo e quello imperiale. La guerra, però, ebbe dapprima il carattere di una contesa interna all'Impero, quasi di un dissidio feudale tra principi e imperatore; dall'imperatore Rodolfo II, infatti, era stata concessa una certa libertà di culto agli hussiti-calvinisti boemi con la Lettera di Maestà del 1609, ma la tendenza successivamente palesata dall'imperatore Mattia a un maggiore accentramento politico e a una più energica azione controriformistica in Germania, aveva suscitato la diffidenza e l'ostilità dei calvinisti tedeschi e cechi; tali sentimenti si acuirono quando si seppe che a Mattia sarebbe succeduto sul trono d'Austria e di Boemia (e probabilmente anche su quello imperiale) l'arciduca Ferdinando di Stiria, cugino di Mattia, di cui erano noti i sentimenti di cattolico intransigente. Questa atmosfera di inquietudine, fomentata non solo dal timore religioso ma anche dall'antico contrasto tra l'elemento nazionale slavo e quello germanico che tendeva a dominare in territorio boemo, condusse presto alla guerra. Clamoroso fu l'episodio del 23 maggio 1618, segnale della rivolta antiasburgica: due messi imperiali furono gettati dalla finestra di una stanza del Castello di Praga (senza peraltro conseguenze mortali).

 

 

 

La pace di Westfalia e le rivoluzioni inglesi

 

 

1.

 

a) Il Concilio di Trento (1545-1563) e le sue fasi.

 

Nel 1542 Paolo III annunciò la convocazione del concilio ecumenico a Trento, feudo dell'impero governato da un principe-vescovo, località chiave per i rapporti tra mondo germanico e mondo romano. Il 13 dicembre del 1545 se ne ebbe la solenne apertura; vi parteciparono un numero eccezionale di personalità ecclesiastiche in maggioranza italiani e spagnoli, mentre una delegazione francese fu presente solo nell'ultima fase e i protestanti vi fecero una fugace comparsa tra il 1551 e il 1552. Il pontefice non intervenne di persona, ma si fece rappresentare da propri legati, che evitarono il riemergere dei principi conciliaristi; alla fine dei lavori, però, tutti i decreti furono sottoposti all'approvazione del papa, cui fu riservata anche la loro interpretazione. I diversi problemi venivano esaminati a parte da commissioni o congregazioni speciali che presentavano poi i risultati del proprio lavoro all'assemblea generale, la quale, approvandoli, ne ordinava la promulgazione. Il Concilio si svolse attraverso varie fasi: 1) aperto a Trento nel 1545, fu trasferito a Bologna nel '47 in occasione di una pestilenza e temporaneamente sospeso nel '49, mentre era ancora papa Paolo III; 2) ripreso a Trento per volontà di Giulio III nel 1551, venne nuovamente interrotto nel 1552 a causa della guerra; 3) riaperto da Pio IV all'inizio del 1562, fu solennemente concluso il 4 dicembre 1563. I decreti del Concilio furono approvati da Pio IV con la bolla Benedictus Deus et Pater e pubblicati nella Professio fidei Tridentina (1564).

 

b) L'Impero turco a metà '500 e la battaglia di Lepanto.

 

Sotto il sultano Solimano II il Magnifico l'Impero ottomano era al vertice della sua potenza. Nel 1562, infatti, con la Pace di Praga, gli Ottomani avevano perfino imposto un tributo annuale all'imperatore Ferdinando II; nel Mediterraneo, dopo la conquista di Rodi (1552), l'obiettivo principale dei musulmani era stata Malta, difesa dai Cavalieri dell'Ordine di San Giovanni, profughi da Rodi, che poté resistere agli assalti degli ottomani fino al 1565. Nel 1570 il sultano Selim II rivolse le sue forze contro Cipro, possesso veneziano, che aveva grande importanza per il controllo del Levante. I Veneziani, mentre la roccaforte di Famagosta ancora resisteva, chiesero l'aiuto degli Stati cristiani, che si strinsero in una Lega santa grazie all'energico intervento di papa Pio V con il contributo del regno di Spagna, del ducato di Savoia e del granducato di Toscana. Benché la flotta cristiana potesse prendere il mare quando ormai anche Famagosta era caduta, l'impresa della Lega non fu inutile, perché le navi cristiane, sotto il comando di don Giovanni d'Austria (fratellastro di Filippo II), intercettarono e affrontarono la flotta turca a nord della penisola di Morea, nelle acque di Lepanto, riportando una vittoria clamorosa (7 ottobre 1571). La vittoria non costituì un risultato decisivo per il controllo del Mediterraneo (ben presto i Turchi avrebbero ripreso Tunisi agli spagnoli), ma fu un segnale inequivocabile dell'ormai prossima e progressiva decadenza dell'impero turco.

 

 

 

2. Pace di Westfalia: il trattato di Osnabrück e i nuovi rapporti all'interno del mondo germanico

 

Con gli accordi di Osnabrück (ottobe 1648), tra l'Impero e la potenza protestanti, il mondo germanico risultò significativamente trasformato. Il figlio di Federico V, Carlo Luigi, riebbe parte del Palatinato e la dignità elettorale, che fu però riconosciuta anche al duca di Baviera; Federico Guglielmo di Hohenzollern, marchese di Brandeburgo, che aveva abilmente preso parte alle ultime vicende del conflitto, otteneva un allargamento territoriale, annettendo parte della Pomerania orientale e alcune località della Renania e dell'Elba; alla Svezia veniva concessa la Pomerania occidentale, con le città di Stralsunda e di Stettino, i vescovadi di Brema e di Verden e la facoltà di partecipare alla Dieta imperiale. L'uguaglianza religiosa e della libertà di culto venivano riconosciute dall'imperatore ai luterani (come nel 1555) e anche ai calvinisti; l'anno per la restituzione dei beni ecclesiastici fu portato al 1624 e infine la norma del cuius regio eius et religio venne attenuata con la concessione ai dissidenti di poter emigrare senza perdere i propri beni. All'interno dell'Impero si confermavano i poteri della Dieta imperiale e si riconoscevano ai principati e alle città libere tali facoltà da renderli Stati indipendenti. Il “Sacro Romano Impero della nazione tedesca” non aveva più in realtà nulla di sacro e figurava come una confederazione di Stati priva di coesione e di unità politica.

 

 

 

3. La dittatura di Oliviero Cromwell

 

Dal 1653 Cromwell raccolse nelle proprie mani tutti i poteri dello Stato, assumendo il titolo di Lord Protettore del Commonwealth d'Inghilterra, Scozia e Irlanda e avvalendosi soltanto di un Consiglio formato in gran parte da suoi ufficiali. Perseguendo una politica interna di unificazione nazionale, attuò una dura repressione in Irlanda, costringendo una parte della popolazione cattolica a trasferirsi nelle regioni povere dell'Ovest e assegnando le terre rimaste disponibili ai veterani della guerra civile; in Scozia, poi, combatté e disperse i seguaci del futuro Carlo II, che infine dovette riparare in Francia; si adoperò, infine, per frenare gli estremimi dei suoi stessi seguaci, reprimendo le manifestazioni dei Levellers di John Lilburne, che premevano per una ridistribuzione della proprietà terriera e per l'attuazione dell'uguaglianza politica. Mirando ad affermare il prestigio dell'Inghilterra sul continente, sul mare e nelle colonie, conseguì rilevanti successi in politica estera anzitutto nella difesa del commercio marittimo inglese contro la concorrenza degli Olandesi, che assorbivano gran parte del traffico marittimo tra il continente, le colonie e i porti britannici. In tal senso, nel 1651 impose con un Atto di Navigazione che il traffico commerciale avvenisse solo per mezzo di naviglio inglese o appartenente ai paesi produttori, escludendo quindi la mediazione degli olandesi. La guerra navale che ne seguì, dopo alterne vicende, si concluse favorevolmente per l'Inghilterra, divenendo così definitive le clausole dell'Atto di Navigazione. La forma di governo repubblicano instaurata dal Cromwell e i risultati politici da lui ottenuti non furono duraturi e in gran parte andarono perduti con la sua morte (1658).

 

 

 

La prima guerra del Nord e Luigi XIV

 

1.

 

a) Il regno di Carlo II Stuart.

 

Nel maggio del 1660 Carlo II veniva riportato al trono dopo che il Generale scozzese George Monk, marciando su Londra, aveva imposto al parlamento di richiamare sul trono l'erede legittimo. Dimostrandosi nettamente reazionario, ristabilì la Camera dei Lords, liquidò l'esercito degli Indipendenti e restituì i beni confiscati durante il periodo repubblicano; seguirono leggi contro i Puritani e le sette non conformiste. Governò con il sussidio del Consiglio privato, in cui prevalse nei primi tempi il cancelliere lord Clarendon, francofilo, ricorrendo al Parlamento solo per ottenere consistenti somme di denaro. A fronte della manifesta volontà del sovrano di assecondare i disegni imperialistici di Luigi XIV e di restituire al cattolicesimo inglese la parità rispetto alle confessioni riformate, il Parlamento non permise a Carlo II l'attuazione della direttiva politica per la quale si era di fatto accordato con Luigi XIV col trattato segreto di Dover (1670), né accettò di emanare una Dichiarazione di indulgenza (proposta nel 1672) a favore dei cattolici d'Inghilterra e d'Irlanda e neppure di collaborare con i francesi in funzione anti-olandese (1672-1674). Per contro, la parte protestante del Parlamento ottenne un successo decisivo con l'introduzione di un Atto di prova (1673), per il quale tutti i funzionari pubblici inglesi dovevano prestare un giuramento contro la dottrina cattolica dell'eucaristia. Non avendo figli maschi legittimi, gli sarebbe dovuto succedere il fratello Giacomo, duca di York, cattolico; il Parlamento, allora, propose un disegno di legge che avrebbe escluso dal trono proprio il duca di York (1679). Il sovrano tentò invano di mitigare l'ostilità dell'opposizione permettendo che fosse emanata una legge detta Habeas corpus (1679), poi, per denaro, accettò che si votasse il Bill di Esclusione, che tuttavia, benché approvato dai Comuni, fu respinto dai Lords e decadde (1681). Morì nel 1685.

 

b) La pacifica rivoluzione parlamentare.

 

Con la morte di Carlo II la successione toccò, come previsto, al fratello Giacomo II, che regnò dal 1685 al 1688 (morì nel 1701). Egli insistette nel voler rafforzare l'assolutismo monarchico e ristabilire il cattolicesimo, la collaborazione con il Parlamento divenne dopo pochi anni impossibile e tutte le forze avverse agli Stuart si collegarono per effettuare la cosiddetta «pacifica rivoluzione parlamentare» in contrapposizione alla «grande ribellione puritana». Anche gli esponenti della Chiesa anglicana e dell'aristocrazia terriera abbandonarono gli Stuart, e in tale situazione la rivoluzione del 1688 fu l'opera concorde delle diverse forze nazionali, dei whigs e dei tories; nessuno voleva un mutamento radicale, ma soltanto un parziale cambiamento di dinastia. Si fece perciò appello a Guglielmo III d'Orange, principe protestante olandese, che aveva sposato Maria, figlia di Giacomo II. Il principe d'Orange venne in Inghilterra nel novembre del 1688 e senza difficoltà tolse il trono al suocero che fuggì in Francia. Il Parlamento inglese acclamò i nuovi sovrani, ma impose loro, con un giuramento, l'osservanza di una Dichiarazione dei Diritti (1689) che affermava la supremazia della legge sulla volontà arbitraria del sovrano. In tal modo la monarchia assumeva l'aspetto di monarchia costituzionale.

 

 

 

2. Mazzarino: la fronda dei principi e la guerra con la Spagna.

 

Non molto dopo la fine della Fronda parlamentare, mentre era già in corso la guerra con la Spagna, furono i maggiori esponenti dell'aristocrazia, tra cui il principe di Condé, a ribellarsi al governo di Anna d'Asburgo (1650-53). Dapprima il cardinale sembrò dominare la situazione riuscendo a fare imprigionare il Condé, ma poi, essendosi coalizzati tra loro i sostenitori delle due Fronde, fu costretto a lasciare il governo, allontanandosi. Non esistendo, tuttavia, comunanza di interessi e di aspirazioni tra la grande aristocrazia francese, il ceto dei magistrati e la plebe parigina, la regina, che fece leva sull'appoggio del clero e sulla fedeltà dell'esercito, rese possibile al figlio Luigi XIV, ormai uscito di minorità, di riprendere con sovrana autorità il controllo della situazione nella capitale. La Fronda si sciolse, il principe di Condé fuggì presso gli Spagnoli e il Mazzarino poco più tardi, poté ritornare al suo posto di Primo ministro (1653) per far fronte con maggior tranquillità alla guerra contro la Spagna. Ottenuto l'appoggio di Oliviero Cromwell, un'offensiva condotta nelle Fiandre dal Turenne, con il sostegno della flotta britannica, portò alla vittoria delle Dune (1658), dopo di che la Spagna fu indotta ad accettare la Pace dei Pirenei (1659), cedendo alla monarchia francese gran parte dell'Artois, alcune piazzeforti ai confini coi Paesi Bassi spagnoli e le regioni montuose del Rossiglione e della Cerdagna. Veniva inoltre stipulato il matrimonio tra l'infanta di Spagna, Maria Teresa, figlia di Filippo IV, e il giovane Luigi XIV. L'Inghilterra, intanto, a titolo di premio per l'alleanza con la Francia, otteneva l'importante base continentale di Dunquerque.

 

 

 

3.

 

a) Lo sviluppo della potenza marittima olandese nella prima metà del '600.

 

Fonte di prosperità furono le le iniziative dei commercianti di Rotterdam e di Amsterdam, i quali cominciarono ad arricchirsi col trasporto dei prodotti del Baltico ai porti inglesi e con la distribuzione all'interno del continente europeo delle spezie che giungevano al porto di Lisbona e che venivano inoltrate nei territori germanici e francesi attraverso le vie fluviali. Dalla fine del secolo XVI, furono però le stesse navi olandesi a spingersi alle isole della Sonda, per procurarsi direttamente i preziosi carichi di coloniali. Nel 1598-1600 l'olandese Van Noort compì un nuovo viaggio di circumnavigazione del globo e nel 1602 sorse la Compagnia olandese delle Indie orientali. L'annessione del Portogallo da parte della Spagna costituì un fattore decisivo per la costituzione di un impero coloniale olandese, in quanto le Provincie Unite si impadronirono delle maggiori colonie portoghesi dell'Oriente: Giava, Sumatra e le Molucche. Attrezzata una fitta rete di agenzie, fattorie e piantagioni, empori e basi navali, il porto di Batavia, nell'isola di Giava, divenne il centro di una navigazione intensissima che si spingeva lungo le coste dell'Insulindia, della penisola di Malacca, fino al Giappone ed alla Tasmania (raggiunta nel 1642 da Abele Tasman). Nei primi decenni del secolo XVII almeno due terzi delle navi mercantili europee appartenevano alle Provincie Unite. La Compagnia olandese delle Indie orientali, che deteneva il monopolio di tutto il commercio a est del Capo di Buona Speranza, aveva un fortissimo capitale sociale ed oltre ad attribuire agli azionisti dividendi che si aggiravano in media sul 15-25% (raggiungendo un massimo del 75 % nel 1606) forniva un ingente contributo al bilancio federale delle Provincie Unite, assumendo così il carattere di una vera impresa di Stato. Dal 1621 entrò in funzione anche una Compagnia delle Indie occidentali, che tuttavia fu sciolta intorno agli anni '50 con grave danno degli azionisti. La caratteristica fondamentale del traffico marittimo olandese consisteva soprattutto nel fatto che esso era commercio di commissione: esso traeva larghi profitti dal basso costo dei noli, grazie ad un sistema di assicurazioni, alla perfezione dei mezzi nautici ed alla possibilità di disporre di un'amplissima e ben distribuita rete di scali marittimi che andavano dall'una all'altra costa dell'Atlantico, toccando il Mediterraneo con Smirne e i mari orientali con Batavia; scali che consentivano di compiere ininterrotti viaggi sempre a carico completo. I capitali ricavati affluivano soprattutto ad Amsterdam, divenuta la metropoli del capitalismo europeo e dotata di una solidissima Banca internazionale (1609) che usava il fiorino come moneta di scambio.

 

b) Carlo X di Svezia

 

Dopo la reggenza dell'Oxenstierna, ritiratasi a vita privata la regina Cristina (1654), figlia di Gustavo Adolfo, il trono di Svezia fu ereditato dal cugino, Carlo (1654-1660), il quale, approfittando del fatto che il re Giovanni Casimiro di Polonia (1648-68) era impegnato a difendersi dall'attacco combinato dei Cosacchi e dei Russi, mosse contro la Polonia giungendo ad occupare Varsavia (1655) senza incontrare una grande resistenza e costringendo il re polacco alla fuga. Ripresasi, però, la Polonia, il re Giovanni Casimiro poté rientrare dall'esilio e con opportune concessioni ridare libertà ed indipendenza al paese; particolarmente importante fu il trattato da lui concluso con l'Elettore del Brandeburgo a cui, in cambio dell'aiuto militare contro la Svezia, riconobbe la piena sovranità sul Ducato di Prussia, sciogliendolo da ogni vincolo feudale (Trattato di Wehlau, 1657). Così gratificato, quindi, l'elettore Federico Guglielmo attaccò allora in direzione dello Holstein, ducato alleato degli Svedesi, mentre il re di Danimarca scendeva egli pure in guerra contro la Svezia, muovendo dalle sue basi norvegesi. Carlo X dovette rapidamente rientrare per difendere il paese e dirigere una pronta controffensiva sul fronte norvegese, che condusse alla conquista di Trondheim, importante scalo marittimo; in seguito attaccò direttamente, ma senza successo, la capitale danese, Copenaghen. L'intervento diplomatico della Francia, allora, condusse alle paci di Oliva e di Copenaghen (1660), con le quali Carlo X si assicurava il possesso della Livonia, cedutale dalla Polonia, ma abbandonava i territori conquistati in Norvegia intorno a Trondheim.

 

 

 

4.

 

 

a) Luigi XIV e il Giansenismo.

 

Giansenio, vescovo di Ypres nelle Fiandre (1585-1638), propugnava l'osservanza di una morale austera, assai più rigida di quella insegnata dai Gesuiti; nel complesso essi tendevano a diminuire l'importanza dell'alta gerarchia ecclesiastica (vescovi e papa) nei confronti dei semplici fedeli e del basso clero, e a diffondere l'uso di una liturgia più semplice, basata sulla lingua francese. Questa dottrina si era rapidamente diffusa in Francia, trovando seguito nel convento femminile di Port-Royal, presso Parigi, ed ottenendo l'approvazione di moralisti e scrittori come il poeta Jean Racine e il filosofo Blaise Pascal. Luigi XIV, in parte per le pressioni del confessore, il gesuita La Chaise, ma sopra tutto per non perdere l'appoggio dell'episcopato francese, adducendo la ragione che le teorie giansenistiche si avvicinavano molto a quelle dei protestanti, ordinò la soppressione del Convento di Port-Royal (1710) ed ottenne la condanna del giansenismo con la bolla Unigenitus (1713) di papa Clemente XI. La bolla sanzionò anche i buoni rapporti che si erano venuti a stabilire fra Luigi XIV e la Santa Sede negli ultimi anni del regno, laddove in precedenza erano sorti gravi contrasti a causa delle tendenze gallicane del clero francese, che avevano trovato una condizione favorevole nell'assolutismo del monarca.

 

b) L'atteggiamento dell'Inghilterra a fronte dell'espansionismo di Luigi XIV.

 

Dopo la Pace di Breda i rapporti tra Olanda e Inghilterra si erano stabilizzati, mentre di fronte ad entrambe si profilava la minaccia francese lungo la Manica. In occasione della Guerra di devoluzione, pertanto, Inghilterra e Olanda si allearono con la Svezia per arrestare l'avanzata francese (Prima Lega dell'Aia, 1668). In seguito il re di Francia era riuscito a trarre dalla sua parte Carlo II Stuart (Trattato segreto di Dover, 1670) e così le Provincie Unite si trovarono, all'inizio della Guerra d'Olanda, quasi isolate di fronte all'attacco francese. L'avvento al trono inglese di un sovrano protestante, invece, mutò il rapporto delle forze sul continente a danno dei disegni imperialistici di Luigi XIV. A fronte delle successive aggressioni perpetrate dal re di Francia, si costituì ad Augusta l'omonima lega (1686), alla quale aderirono oltre all'imperatore, l'Olanda, la Spagna, i principi della Germania renana, il duca di Baviera e il duca Vittorio Amedeo II di Savoia; quando poi ebbero inizio le ostilità, a capo dell'alleanza fu scelto Guglielmo d'Orange, divenuto da poco sovrano d'Inghilterra, il quale, alla testa di un esercito anglo-olandese, fu in grado di arrestare le colonne francesi che avanzavano lungo la Mosa. Con la Pace di Ryswick (1697), questi fu riconosciuto re d'Inghilterra da Luigi XIV, che abbandonò la causa degli Stuart. Dopo il testamento di Carlo II di Spagna, infine, di fronte alle pretese del re di Francia, si formò una grande coalizione europea (Seconda Alleanza dell'Aia, 1701) con l'adesione dell'Inghilterra, diretta ad impedire che Francia e Spagna formassero un blocco compatto e strapotente in Europa; i sovrani della coalizione antiborbonica si accordarono quindi per sostenere i diritti dell'arciduca Carlo al trono di Spagna. Il conflitto ebbe inizio nel 1702, pochi mesi dopo che era morto Guglielmo III d'Inghilterra, promotore della coalizione; ciò, però, non mutò lo schieramento delle forze alleate perché la successione al trono inglese era già stata fissata in precedenza a favore di Anna, principessa protestante figlia di Giacomo II, e la regina proseguì con impegno nella guerra. La flotta inglese occupava la rocca di Gibilterra (1704), chiave delle comunicazioni tra l'Atlantico e il Mediterraneo, e grazie all'alleanza col Portogallo (Trattato di Methuen, 1703) l'Inghilterra poteva creare un terzo fronte nella stessa Penisola iberica, inviando un corpo di spedizione fin nei pressi di Madrid. Morto però l'imperatore Giuseppe I, di fronte alla possibilità dell'unione dell'Impero con il Regno di Spagna, l'Inghilterra, per iniziativa del partito tory, richiese subito accordi di pace, che vennero stipulati al congresso di Utrecht (1713) e in quello di Rastadt (1714).

 

 

 

 

Dai trattati di Utrecht e Rastadt alla Reggenza in Francia

 

 

1. La guerra d'Olanda (1672-78).

 

Luigi XIV era riuscito a trarre dalla sua parte Carlo II Stuart (Trattato segreto di Dover, 1670) e così le Provincie Unite si trovarono quasi isolate. Il Reno fu superato dai francesi presso la foce e gran parte del territorio della Repubblica invaso (1672). Il governo del De Witt cadde ed i poteri civili e militari passarono allo statholder Guglielmo III d'Orange, che ricostituì le forze armate e fece abbattere le dighe che arginavano i terreni strappati al mare per arrestare, con l'allagamento, l'avanzata nemica. Nel frattempo si era venuta formando una nuova coalizione antifrancese: Spagna, Impero, Brandeburgo e Danimarca. Con la Francia rimase la Svezia, mentre l'Inghilterra concludeva una pace separata (1674). La guerra, divenuta europea, vide i Francesi, postisi sulla difensiva nei Paesi Bassi, avanzare nella Franca Contea e penetrare in Germania vincendo a Salzbach (1675); sul mare, mentre nell'Atlantico la superiorità navale olandese poté imporsi, nel Mediterraneo la flotta francese ottenne notevoli successi presso le isole Lipari ed accolse sotto la sua protezione la città di Messina, ribellatasi agli Spagnoli nel 1674; nel Nord-europa, l'elettore del Brandeburgo riportava sugli Svedesi la vittoria di Fehrbellin (1675), dimostrazione dell'efficienza raggiunte dall'esercito del Brandeburgo in pochi decenni. Dopo queste vicende, ovunque, non risolutive, si concluse la pace a Nimega nel 1678-79: l'Olanda salvava indipendenza e territorio, ottenne l'abolizione di alcune tariffe protezionistiche imposte dal Colbert; la Francia conservava gran parte dei territori occupati in precedenza e otteneva dalla Spagna la cessione della Franca Contea. Nel Nord, invece, venne ristabilita la situazione precedente.

 

 

 

2.

 

a) Vittorio Amedeo II di Savoia.

 

Succeduto a Carlo Emanuele II, Vittorio Amedeo II (1675-1730) rimase fino al 1684 sotto la reggenza della madre Giovanna Battista di Nemours. Maggiorenne, dovette accettare le imposizioni di Luigi XIV, che aveva acquisito Casale Monferrato dai Gonzaga (1681), e assecondarlo nella sua politica religiosa perseguitando i Valdesi delle vallate alpine occidentali. Solo durante la guerra della Lega di Augusta attuò una politica indipendente, grazie al contrasto tra il re di Francia e gli Asburgo. La questione apertasi poi con la morte di Carlo II di Spagna (1700) interessava anche Vittorio Amedeo II, discendente dalla principessa spagnola Caterina, figlia di Filippo II e andata sposa nel 1585 al duca Carlo Emanuele I, benché, rispetto agli altri candidati potesse sperare soltanto in qualche ingrandimento territoriale. Alleato dapprima con la Francia, che aveva inviato nella pianura padana un esercito, Vittorio Amedeo ruppe poi l'intesa con Luigi XIV e si accostò all'imperatore (1703) sperando di ottenere acquisti territoriali non solo nel Monferrato ma anche nella Francia orientale (Delfinato e Provenza). I francesi, però, riuscirono a occupare diverse città della Savoia e del Piemonte vincendo gli imperiali del principe Eugenio di Savoia-Soissons e disarmando i piemontesi ex alleati. Rimasto all'esterno della città di Torino, essa pure assediata per quattro mesi dai francesi (1706), Vittorio Amedeo attese l'arrivo dell'esercito del principe Eugenio e poté poi liberare la capitale (Battaglia di Torino, 7 settembre). Coi trattati di pace di Utrecht (1713) e di Rastadt (1714) Vittorio Amedeo II ebbe, per la mediazione inglese, la Sicilia col titolo regio ed inoltre il territorio del Monferrato con Casale, la città di Alessandria, la Lomellina e la Valsesia. Dalla Francia fu ceduta ai Savoia la Valle di Fenestrelle sul versante italiano delle Alpi, in cambio di quella di Barcellonette, sul versante francese.

 

b) Le guerre di Candia e Morea

 

Dal 1644 la Repubblica di Venezia riuscì per alcuni anni, grazie alla superiorità delle sue squadre navali, ad impedire la conquista totale dell'isola di Candia, assalita dai Turchi, per i quali la resistenza della piazzaforte dell'isola, sotto il comando di Francesco Morosini, apparve in un primo tempo insuperabile. Tra l'altro, in alcuni scontri navali le squadre turche furono sconfitte, al punto che l'ammiraglio Lazzaro Mocenigo osò tentare di forzare i Dardanelli per portare l'attacco alla stessa capitale turca, Istanbul (1657). Quando però i Turchi riuscirono a stabilire il controllo marittimo dell'Egeo e a Venezia non fu più possibile rifornire i difensori di Candia, la fortezza, ormai un cumulo di rovine, dovette capitolare (1669). Dopo la battaglia di Vienna (settembre 1683), invece, e la vittoriosa controffensiva della Lega santa patrocinata da papa Innocenzo XI, la Repubblica di Venezia, approfittando delle circostanze, fece compiere uno sbarco in Morea (Peloponneso) ad opera dell'ammiraglio Francesco Morosini (poi detto il «Peloponnesiaco»), che condusse all'occupazione dell'intera penisola (1687). Così, con la Pace di Carlowitz (1699), facente seguito ad operazioni imperiali in Ungheria e Transilvania, Venezia vide riconosciuta l'acquisizione della Morea. Soltanto dopo pochi anni, tuttavia, in conseguenza di una nuova guerra antiturca condotta dalla Serenissima insieme con l'Austria, la Morea fu di nuovo perduta, restando Venezia in possesso delle sole isole Ionie (Corfù, Cefalonia, Zante), di alcune località della costa albanese e di una buona parte di quella dalmata (con Zara, Sebenico, Spalato e Cattaro), come definito dalla successiva pace di Passarowitz (1718).

 

 

 

3. Le riforme di Pietro il Grande.

 

Dopo il viaggio in Europa del 1697-98, le prime riforme attuate da Pietro I ebbero carattere esteriore, anche se furono ispirate a scopi civili e umanitari: lo zar impose che si mutassero le fogge asiatiche dei vestiti adottando quelli occidentali, e giunse perfino ad imporre il taglio della barba (che aveva un significato religioso) ai notabili; ordinò che si diffondesse la consuetudine di fumare il tabacco, di cui lo Stato esercitò il monopolio; fece riformare il calendario sul modello di quello europeo; proibì l'inumana usanza di uccidere gli infermi e i bastardi e castigò severamente i responsabili di risse e di ferimenti. Al volgere a favore della Russia della seconda guerra del nord, poi, progredì rapidamente l'attuazione di riforme interne più profonde e sistematiche: il territorio russo fu diviso in grandi circoscrizioni e in provincie, affidate a governatori (voivodi) responsabili verso lo zar, che dal canto suo si occupò direttamente dell'amministrazione centrale; venne razionalizzata la riscossione delle imposte in base alla raccolta di un testatico per l'accrescimento delle entrate pubbliche; si ammodernò l'armamento e si organizzò l'arruolamento dei soldati; furono aperti scuole ed ospizi. Sotto il profilo economico furono emanati decreti per la protezione del patrimonio forestale, per l'incremento dell'allevamento delle pecore nelle zone steppose, per la ricerca di minerali utili, ferro, argento e stagno. Pietro cercò di abbozzare una politica protezionistica (con scarsi risultati), avviò una forma di governo centralizzato e moderno di tipo europeo, vide la necessità di formare una classe dirigente adatta al servizio di stato, traendola dai figli cadetti della nobiltà con apposite leggi sulla successione, esautorò completamente l'antica Duma (il consiglio dei Boiari) sostituendola con un Senato controllato da lui direttamente (1711), istituì un Santo Sinodo, vigilato attentamente dal potere politico (1721). Questa trasformazione radicale dei costumi e della mentalità russa fu realizzata con metodi drastici e talvolta con brutali e selvagge repressioni, lasciando il paese stanco e scontento; l'opposizione si fece particolarmente viva tra il clero conservatore e tra la nobiltà. Il governo di Pietro il Grande (morto nel 1725) lasciò tuttavia un'impronta indelebile nella vita del paese.

 

 

 

4.

 

a) La seconda guerra del Nord a partire dalla battaglia della Poltava.

 

Nella battaglia di Poltava (1709), poco oltre il fiume Dniepr, l'esercito svedese fu annientato dai Russi ed il re dovette cercare scampo, ferito, presso il sultano. Negli anni seguenti Carlo XII tentò senza successo di trascinare la Turchia in una guerra a fondo contro la Russia, ma dopo alcuni scontri lungo il fiume Prut (1711), Pietro il Grande seppe abilmente liberarsi da questo pericolo cedendo al sultano la base di Azov, in cambio del ristabilimento della pace. A questo punto Carlo XII abbandonò la Turchia rientrando, con un'avventurosa cavalcata attraverso i territori tedeschi, nella cittadella svedese di Stralsunda, sul Baltico; vi si rinchiuse e resistette un anno, finché dovette capitolare (1715). Nel frattempo lo zar aveva ripreso larghi territori dell'Estonia ed aveva trasferito la capitale a Pietroburgo; in Polonia il Leszczynski, travolto nella rovina dell'alleato svedese, era fuggito (1709), permettendo il ritorno di Federico Augusto II; infine, anche le truppe del re di Prussia, Federico I (1688-1713), entrate a far parte della coalizione antisvedese, avanzavano in Pomerania. Perduta completamente la sponda sud del Baltico, Carlo XII dovette rientrare in Svezia, dove riprese la lotta attaccando in Norvegia, ma cadde in battaglia (1718). Sulle rive del Baltico si determinava allora una situazione di equilibrio tra i diversi Stati che vi si affacciavano: coi trattati di pace di Stoccolma (1720 - tra Svezia, Brandeburgo e Danimarca) e di Nystadt (1721 - tra Russia e Svezia), che ponevano fine alla Seconda guerra del Nord, il Brandeburgo otteneva quasi tutta la Pomerania, la Russia annetteva la Livonia, l'Estonia, l'Ingria e la Carelia, mentre al Regno di Polonia restava una fascia di terra comprendente la Curlandia (o Lettonia occidentale) e la foce della Vistola con Danzica. Si trattava di una situazione di equilibrio, analoga a quella creatasi in Occidente con i trattati di Utrecht e di Rastadt, che durerà per tutto il secolo XVIII.

 

b) L'esperimento del Law.

 

Il clima inquieto della Reggenza, che spingeva alla ricerca di guadagni rapidi, dette modo di affermarsi in Francia allo scozzese John Law, avventuriero e audace economista, che seppe acquistarsi la fiducia di Filippo di Orléans fino a ottenere la carica di Controllore Generale. Partendo dal presupposto che la moneta dovesse essere concepita come puro mezzo di scambio, senza valore intrinseco proprio, e che l'abbondanza della circolazione monetaria costituisse uno stimolo alla produzione e agli scambi, il Law ottenne l'autorizzazione a creare una Banca generale (1716), poi trasformata in Banca regia, la quale emetteva moneta cartacea che, largamente immessa nella circolazione economica, avrebbe dovuto in breve tempo ridare alla Francia benessere e ricchezza. Per dare una garanzia all'emissione di tale valuta, il Law fece sorgere nel 1717 una Compagnia d'Occidente, che si proponeva di attuare lo sfruttamento delle risorse economiche della Luisiana e che nelle intenzioni del fondatore avrebbe dovuto assorbire anche i privilegi ed i possedimenti delle già esistenti Compagnie del Senegal e delle Indie orientali, dando vita ad un consorzio di affari capace di realizzare guadagni colossali. Fatto appello al credito pubblico, fu consentito l'uso di banconote cartacce per il pagamento delle azioni e si promisero interessi elevatissimi. Si verificò allora una vera corsa all'acquisto delle azioni, ma la necessità di anticipare, per il pagamento degli interessi, profitti che in realtà non erano stati ancora realizzati, portò in breve all'inevitabile bancarotta, che si verificò in modo precipitoso quando nei creditori della Compagnia cominciò ad insinuarsi il dubbio che le azioni avrebbero perso valore e si volle ottenerne rapidamente il rimborso. Il panico divenne generale e ne conseguì il crollo dell'intero sistema del Law. Gli sforzi del governo del Reggente per arrestare la svalutazione completa delle banconote e delle azioni della Compagnia fallirono ed il Law stesso dovette riparare all'estero (1720).

 

 

 

 

Dalle rivendicazioni dei Farnese al dispotismo illuminato

 

 

1. La Francia sotto la Reggenza (1715-1723).

 

Luigi XIV morì il 1° settembre 1715. Le sue disposizioni testamentarie non furono integralmente applicate e si costituì un Consiglio di Reggenza, con a capo il duca Filippo d'Orleans (il Reggente), che governò per conto del legittimo sovrano, Luigi XV, pronipote del Re Sole ed ancora minorenne. Poiché il giovanissimo re era debole di salute, il duca d'Orleans sperava di poterne occupare presto il trono e per garantirsi il successo iniziò una larga politica di conciliazione con tutti quei gruppi sociali che la personalità autocratica del Re Sole aveva oppresso e umiliato. Il periodo della Reggenza (1715-23) ebbe così il carattere di una restaurazione aristocratica e di una rivincita dei giansenisti e dei parlamentari. Anche nella politica estera vi fu all'inizio un cambiamento radicale: abbandonato ogni proposito imperialistico, si cercò l'alleanza delle potenze marittime, l'Olanda e l'Inghilterra, ed il duca di Orleans avviò personalmente relazioni di amicizia con Giorgio I di Hannover. In Francia, come in Inghilterra, il capitalismo finanziario si impadronì per qualche tempo delle leve di comando ed esercitò il suo influsso preminente anche nelle combinazioni diplomatiche internazionali. La Reggenza fu poi sconvolta da una crisi finanziaria dovuta alle manovre speculative dello scozzese John Law, che seppe acquistarsi la fiducia del Reggente fino a ottenere la carica di Controllore Generale.

 

2. Le vicende in area mediterranea dal 1717 al Trattato dell'Aja (1720).

 

Approfittando della ripresa delle ostilità sul fronte danubiano, gli Spagnoli attaccarono la Sardegna austriaca e la Sicilia (1717-18) dei Savoia. Temendo, allora, che la questione italiana potesse apportare modifiche all'assetto di Utrecht (nel Mediterraneo gli inglesi aveva acquistato le importantissime basi di Gibilterra e Minorca) la diplomazia  britannica fece concludere a Londra la Quadruplice Alleanza (agosto 1718) tra Inghilterra, Austria, Francia e Provincie Unite: una squadra navale inglese distrusse una flotta spagnola presso Capo Passero, truppe austriache sbarcarono in Sicilia, mentre Vittorio Amedeo II era indotto a rinunciare all'isola in cambio della Sardegna. Dapprima Filippo V tentò di resistere, mentre l'Alberoni tentava invano di suscitare opposizioni e rivolte negli Stati avversari; quando però anche i Francesi attaccarono sui Pirenei, la Spagna dovette cedere e l'Alberoni fu licenziato. Con il Trattato dell'Aia (febbraio 1720) Filippo V rinunciò definitivamente al trono di Francia, a Gibilterra e alla Sardegna riconciliandosi con l'imperatore. Al figlio don Carlo Borbone-Farnese venne riconosciuto il diritto di successione al Ducato di Parma e Piacenza e a Vittorio Amedeo II fu assegnata la Sardegna in cambio della Sicilia. Il sistema instaurato coi trattati di Utrecht e di Rastadt, basato sull'equilibrio delle forze tra le maggiori potenze nei punti nevralgici dell'Europa, Impero, Mar Baltico e Mar Mediterraneo, veniva così completato e consolidato.

 

3. Il rovesciamento delle alleanze alla vigilia della Guerra dei Sette anni.

 

L'antica rivalità tra la Monarchia francese e la Casa d'Asburgo si era esaurita con il cambiamento dinastico avvenuto in Spagna all'inizio del Settecento, per cui era cessato il pericolo di un attacco combinato alla Francia su due fronti. Si era anche allentata l'amicizia tra Inghilterra e Austria da quando la prima aveva ostacolato il progetto di Carlo VI di creare una base navale e commerciale nelle Fiandre e aveva sventato il tentativo dell'imperatore di stabilire il suo completo dominio sulla Penisola italiana. Tra i contendenti, inoltre, si era inserita una quarta potenza di recente formazione, la Prussia, che esercitava una notevole influenza sugli stati tedeschi dell'Europa centrale. Quindi, alla metà del secolo XVIII si ebbe un'alleanza tra le secolari rivali Austria e Francia, dall'altra un avvicinamento tra Inghilterra e Prussia. L'Inghilterra trovò nella solida monarchia prussiana un punto d'appoggio per conservare l'equilibrio europeo e nel contempo uno strumento per umiliare la Francia, dal momento che Francia e Inghilterra continuavano ad essere rivali in campo marittimo-coloniale, mentre nasceva l'inimicizia tra Francia e Prussia per l'egemonia sui territori renano-germanici. Questo nuovo schieramento di forze fece la sua prova durante la Guerra dei Sette Anni (1756-63), l'ultimo dei grandi conflitti internazionali del secolo XVIII.

 

4. Il dispotismo illuminato.

 

A partire ancora dalla coincidenza degli interessi del Terzo Stato con i disegni assolutistici dei Principi, viene elaborata nel sec. XVIII una dottrina che conferì un carattere nuovo al governo monarchico, consentendo di intraprendere una vasta e radicale opera di riforma dello Stato. Alla base sta la nozione che gli uomini siano per natura uguali; pertanto, essi possiedono tutti un patrimonio di diritti naturali, che non possono essere soppressi e che è compito precipuo del monarca tutelare e realizzare. L'attività di governo del principe diventa in tal modo azione consapevole e filosoficamente illuminata che si propone come fine il conseguimento della massima felicità per il maggior numero. Altro elemento caratteristico è la svalutazione della tradizione, che viene anche violentemente cancellata per la realizzazione dello Stato nuovo; si ha grande fiducia nelle buone leggi, nei buoni istituti, che possano da soli, insieme con la diffusione della scienza, sanare tutti i mali, elevare moralmente gli uomini e garantire loro la felicità naturale: in ciò consistette l'ottimismo giuridico proprio dell'illuminismo riformatore. Dato il carattere spiccatamente laico della cultura, dopo la guerra condotta contro la nobiltà i sovrani attaccarono i privilegi del clero, rinunciando in linea di massima al carattere sacro della loro funzione regale (l'idea della sovranità per diritto divino) e sostituendolo con quello contrattualistico di derivazione giusnaturalistica, per cui essi si sentivano delegati dal popolo a governare per la felicità dei sudditi. A fondamento dello Stato, infatti, si riteneva ora stesse un patto sociale volontario; per esso, il popolo, vero depositario della sovranità, investiva irreversibilmente il principe dei sommi poteri. In tal modo, proprio dal contrattualismo, ben diversamente da quanto attuato in Inghilterra nel 1689, derivava sul continente la giustificazione teorica dell'assolutismo illuminato.