Lezioni



CLASSE   III   -   Verifiche di Storia

Da Bonifacio VIII alla caduta di Costantinopoli

 

 

1.

 

a) La Guerra dei cento anni: Carlo VI di Valois ed Enrico V Lancaster.

 

Sotto Carlo VI (1380-1422) la Francia attraversa un nuovo periodo di decadenza, dovuto alle crisi di follia del sovrano che è letteralmente in balia dei principi reali, Luigi di Orléans (Orleanisti, o “Armagnacchi”) e Filippo l'Ardito di Borgogna (Borgognoni), i quali esauriscono le risorse del regno combattendosi. D'altronde, gli inglesi non possono approfittare della situazione di debolezza della Francia, perché nel paese sono in corso disordini sociali e la corona è contesa da un ramo laterale della dinastia Plantageneta, i Lancaster, che, alla fine prendono il sopravvento con Enrico IV che trascura però gli affari francesi. Nel 1413, il figlio Enrico V Lancaster (1413-1422) riprende con vigore la guerra e, sbarcando in Normandia, mette in rotta l'esercito francese presso Azincourt (1415), complice il fatto che i Borgognoni si sono accordati con lui. Il duca di Borgogna si impadronisce di Parigi e fa prigioniero il re Carlo VI; Enrico V è padrone della situazione e detta le condizioni del Trattato di Troyes (1420) imponendosi come erede del Regno di Francia per il suo matrimonio con Caterina di Valois, figlia di Carlo VI. Quasi tutta la Francia del nord e del centro è dominata ora dagli inglesi. Soltanto il territorio a sud della Loira rimane fedele ai Valois. Nel 1422, tuttavia, muoiono sia Carlo VI di Valois sia Enrico V Lancaster. La corona d'Inghilterra e la corona di Francia passano sul capo di Enrico VI Lancaster, un bimbo di pochi mesi.

 

b) La Guerra delle due rose: Edoardo IV di York ed Enrico VI Lancaster.

 

Dopo la sconfitta subita a Wakefield la fazione degli York riusciva comunque a riavere il sopravvento sui Lancaster con Edoardo, figlio di Riccardo di York, il quale, dichiarato decaduto e rinchiuso nella torre di Londra il re legittimo (Enrico VI Lancaster), poté vestire la corona con il nome di Edoardo IV e governare dal 1461 al 1470. In quell'anno, tuttavia, i suoi più stretti collaboratori passarono nel partito avverso: Edoardo fu costretto a fuggire in Olanda ed Enrico VI, tratto dalla prigionia, fu di nuovo insediato sul trono, benché per un solo anno. Nel 1471, infatti, il ritorno in forze di Edoardo coincideva con l'uccisione dei fedifraghi ex collaboratori e con la morte di Enrico VI stesso. Edoardo IV poté di nuovo regnare fino al 1483, cioè fino alla sua morte. La successione al trono del figlio Edoardo V, di soli dodici anni, produsse di nuovo una forte instabilità nel regno.

 

 

 

2. La dottrina di Marsilio da Padova.

 

Nel trattato di filosofia della politica dal titolo Defensor pacis, Marsilio sostiene che la finalità suprema e la giustificazione intima dell'esistenza dello Stato (cioè del potere civile) è il mantenimento della pace fra gli uomini. Il potere laico del Principe, poi, che si esprime nella legge, trova il suo fondamento nel consenso popolare, cioè nell'approvazione da parte dell'intera comunità degli uomini. Analogamente, anche nell'ambito della Chiesa, non la gerarchia dei prelati o il papa hanno valore in ordine all'autorità religiosa, ma l'intera comunità dei fedeli, che si esprime attraverso il Concilio generale, vero depositario di tale autorità. Dal momento che, poi, i vescovi e il papa sono un'istituzione umana, storica, non divina, allora l'organizzazione della Chiesa, la scelta dei papi, la convocazione dei concili, l'uso del potere coercitivo contro gli eretici e i peccatori appartengono di diritto al potere civile, cioè al Principe e allo Stato. Lo Stato è veramente sovrano, libero dal controllo della Chiesa e superiore ad essa, e il Principe è il vero difensore della pace. La dottrina di Marsilio sanciva di fatto la fine della monarchia carismatica, introduceva l'idea del contratto come fondamento dello Stato e negava l'esistenza del diritto naturale.

 

 

 

3.

 

a) Il Grande scisma di Occidente.

 

Nel 1378 moriva Gregorio XI e il conclave, riunitosi in una situazione di sommosse popolari in Roma, elesse papa il vescovo di Bari con il nome di Urbano VI. I cardinali francesi, tuttavia, rifiutando questa decisione, riunitisi di nuovo, elessero papa Clemente VII, creando all'interno della Chiesa la divisione che prese il nome di Grande scisma d'Occidente (1378-1417). Urbano risedette a Roma, Clemente si spostò di nuovo ad Avignone. La convocazione di un Concilio universale che provvedesse a una drastica riforma della struttura della Chiesa si rese perciò necessaria. Nel 1409 l'assemblea dei vescovi si tenne a Pisa, ma il tentativo peggiorò la situazione, perché l'autorità del Concilio pisano non fu riconosciuta dalla maggior parte del mondo ecclesiastico e si ebbero, di conseguenza, tre pontefici invece di due: Gregorio XII a Roma, Benedetto XIII ad Avignone e Alessandro V a Pisa. La situazione poté sbloccarsi soltanto a partire dal 1414, quando, per iniziativa dell'imperatore Sigismondo, il Cconcilio fu convocato nella città di Costanza (1414-1418). Allora si decise di comune accordo la deposizione dei tre papi che si contendevano la tiara (in quel momento: Giovanni XXIII [pisano], Gregorio XII [romano] e Benedetto XIII [avignonese]) e un conclave di brevissima durata elesse Martino V (1417-1431), con la pacifica approvazione di tutte le parti.

 

b) Le vicende del Concilio di Basilea (1431-1449).

 

Dopo Costanza un nuovo concilio fu riunito a Basilea nel 1431. In esso si cercò di portare alle ultime conseguenze il principio conciliarista, implicitamente accettato a Costanza, quello cioè della superiorità del Concilio sul Papa. Morto Martino V, tuttavia, Eugenio IV si adoperò per riportare la maggioranza dell'assemblea su posizioni meno drastiche, riproponendo la tesi monarchica, che sostiene il primato del Papa sull'autorità del Concilio. Di fatto egli, in contrasto con i membri del Concilio basileese, ne ordinò il trasferimento in Italia, a Ferrara e poi a Firenze (1438-1439), e la conseguenza fu un nuovo piccolo scisma, con la nomina dell'antipapa Felice V (il duca Amedeo di Savoia, già dedito alla vita religiosa). Questo piccolo scisma durò una decina d'anni, ma senza conseguenze per l'unità della Chiesa; trasferitosi, infine, il Concilio a Losanna, si finì col riconoscere nuovamente il pontefice romano, mentre l'antipapa di ritirava. Nel frattempo il pontefice Eugenio IV aveva ottenuto, nel periodo fiorentino del Concilio, la riunione tra la Chiesa di Oriente e la Chiesa Romana, unione però rivelatasi di assai breve durata e indotta soprattutto dalla rapida avanzata dei Turchi, che erano giunti ormai a circondare Costantinopoli da ogni parte.

 

 

 

[facoltativo]

 

4.

 

a) La crescita ottomana e la presa di Costantinopoli.

 

A partire dal 1261 l'Impero Romano di Oriente (Bizantino) era stato governato dai Paleologi. La struttura politica e amministrativa dello stato aveva imboccato un percorso di inesorabile declino, sia nella gestione interna sia nell'estensione territoriale, via via ridotta dall'espansione del mondo musulmano. In particolare, dalla metà del secolo XIV, si era imposta nel Medioriente la forte dinastia degli Osmanli (gli “Ottomani”, discendenti di Otman o Osman), resasi indipendente e costituitasi in uno stato forte e ben organizzato, agguerrito e avido di conquiste. A partire dal 1326 tutta la Siria e l'Anatolia erano entrate a far parte del dominio ottomano e nel 1354 i Turchi erano sbarcati a Gallipoli (sui Dardanelli), penetrando poi nella regione balcanica. Distrutto l'esercito serbo nella battaglia di Kossovo, nel 1389, i Turchi ottomani risultavano essere padroni di tutte le terre a nord di Costantinopoli, precedentemente bizantine. Soltanto la spinta dei mongoli di Timur Leng (il Tamerlano) aveva permesso a Costantinopoli di resistere, ma alla sua morte (1405), gli Ottomani poterono di nuovo concentrarsi intorno a Costantinopoli. Il 29 maggio 1453 le mura cedevano all'artiglieria turca e la città veniva saccheggiate dalle truppe del sultano Maometto II, il quale, catturato Costantino IX Paleologo, lo fece decapitare e fece poi affiggere la sua testa su di un palo al centro della città, a titolo di monito per tutti i cristiani.

 

 

 

b) Il Reich e gli Asburgo nel '400.

 

Al centro dell'Europa il Sacro Romano Impero estendeva la propria giurisdizione dalla Pomerania allo Holstein, dalla Lorena al Tirolo, da Trieste alla Boemia; in linea di diritto, poi, erano feudi dell'Impero anche i Paesi Bassi, la Franca Contea il Ducato di Savoia, il Ducato di Milano e il Ducato di Mantova. Il Reich era un complesso eterogeneo, che includeva signorie laiche ed ecclesiastiche, città libere e perfino un regno, di Boemia, e che non aveva unità né amministrativa né politica; l'imperatore, scelto dalla Dieta dei principi elettori tedeschi (sette, secondo la Bolla d'Oro del 1356), era privo sia dell'autorità morale sia delle risorse finanziarie necessarie per imporsi ai principi tedeschi. Gli Asburgo, però, signori dell'Austria, della Stiria, della Carinzia, del Tirolo, di Gorizia, Trieste e Fiume, che si erano assicurati la corona imperiale con Alberto II (1438-1439) e con Federico III (1452-1493), si adoperarono per imporre una certa uniformità alla struttura dell'Impero, cercando di far prevalere gli istituti politici austriaci adatti alla centralizzazione su quelli imperiali, di carattere feudale e federale. Nonostante le invasioni dei Cechi e degli Ungheresi (1477), l'avvicinamento dei Turchi fino ai confini della Stiria e, tra il 1485 e il 1490, la perdita di tutta la Bassa Austria (con Vienna) ad opera di Mattia Corvino re d'Ungheria, Federico III ebbe successo con la sua politica matrimoniale, facendo concludere il matrimonio tra il figlio Massimiliano e Maria di Borgogna e ottenendo così in eredità le Fiandre e i Paesi Bassi, cui si aggiunsero (dopo il 1493) l'Artois e la Franca Contea. Nel 1486, poi, a Massimiliano, eletto «Re dei Romani» alla Dieta di Francoforte, fu assicurata la successione al trono imperiale, consolidando la preminenza della Casa d'Asburgo nell'Europa centrale.

 

 

 

L'Italia tra '300 e '400. L'Umanesimo del Rinascimento e lo Stato moderno

 

 

 

1. La terza fase della Guerra dei cento anni: Carlo di Valois e Giovanna d'Arco

 

Subito dopo il trattato di Troyes (1420), nel 1422 muoiono sia Carlo VI di Valois sia Enrico V Lancaster. La corona d'Inghilterra e la corona di Francia passano sul capo di Enrico VI Lancaster, un bimbo di pochi mesi, ma si risveglia la lealtà dei francesi per la dinastia legittima. Nel marzo del 1429 appare sulla scena Giovanna d'Arco (Domrémy, probab. 1412; Rouen, 1431). Ella, sentendosi guidata dalla volontà di Dio, raggiunge il principe Carlo a Chinon, gli si presenta sotto mentite spoglie, e lo convince a farsi affidare il comando dell'esercito francese, alla testa del quale riesce a liberare progressivamente il territorio francese dagli occupanti inglesi; la prima vittoria è la liberazione di Orléans (1429). Nello stesso anno, il delfino Carlo viene legittimamente incoronato re di Francia in Reims, con il nome di Carlo VII. Giovanna, intanto, prosegue nella sua marcia verso Parigi, ma è ferita durante un fallito attacco a Compiègne e cade nelle mani dei Borgognoni, che la vendono agli inglesi. Tradotta a Rouen, viene processata, ritenuta colpevole di stregoneria e arsa viva sul rogo nel 1431. Carlo VII, nel frattempo, continua a combattere e nel 1436 libera Parigi e tutto il centro della Francia. Nel 1453, alla fine delle ostilità, agli inglesi non rimaneva che il distretto di Calais (che cadrà in mano francese soltanto nel 1558).

 

 

 

2. La concezione della politica in Niccolò Machiavelli

 

Con Niccolò Machiavelli (1467-1527) l'indagine politica tende a staccarsi dal pensiero speculativo, etico e religioso, assumendo come canone metodologico il principio della specificità del proprio oggetto, che deve essere studiato autonomamente, senza essere condizionato da principi valevoli in altri ambiti, indebitamente fatti valere per l'indagine politica: “la politica per la politica”. La riflessione del Machiavelli suppone una forte crisi dei valori morali ormai dilagante. Egli non solo prendeva atto della scissione fra le cose così come stanno effettivamente e il loro dover essere rispetto ai valori morali, ma elevava a principio la scissione medesima e la poneva a base della nuova visione dei fatti politici. È basilare il capitolo XV del Principe (pubblicato nel 1531, la morte dell'autore), in cui viene messo a tema il principio secondo cui bisogna attenersi alla «verità effettuale della cosa» e non perdersi nel ricercare come la cosa “dovrebbe” essere. Al realismo politico è congiunta una forte vena di pessimismo antropologico; di per sé, secondo Machiavelli, l'uomo non è né buono né cattivo, ma di fatto, propende per essere cattivo. Di conseguenza, il politico non può fare affidamento sull'aspetto positivo dell'uomo, ma deve, piuttosto, prendere atto del prevalente aspetto negativo, e agire di conseguenza. L'ideale per il principe sarebbe quello di essere, ad un tempo, e amato e temuto, ma le due cose sono ben difficilmente conciliabili, e dunque il principe farà la scelta più funzionale all'efficace governo dello Stato.

 

 

 

3. La nuova fisionomia degli eserciti tra '300 e '400

 

Tra XV e XVI secolo la fisionomia della guerra si trasformò per diversi motivi. In primo luogo, gli eserciti, diversamente da quelli medievali costituiti prevalentemente dalla cavalleria feudale legata al sovrano per il rapporto di vassallaggio, si configurarono come schieramenti direttamente controllati dal re e costituiti in prevalenza da reparti di fanteria, resi più potenti, con l'andare del tempo dall'impiego delle armi da fuoco. Naturalmente, per mantenere eserciti di tal genere e per assicurarsi armamenti e difese adeguate divennero necessari ingenti mezzi disponibilità finanziarie, procurate attraverso l'estensione del fisco; a motivo poi del crescere numero dei soldati e del complessificarsi delle tecniche di combattimento, divenne necessario da parte dei sovrani istruire appositi quadri di comando (ufficiali e sottoufficiali) e integrare le proprie forze con l'ausilio delle tecniche ingegneristiche e industriali legate all'allestimento di strumenti di difesa e di attacco più efficaci e di materiali bellici sempre più sofisticati.

 

 

 

4. Gli elementi costitutivi del sistema assolutistico di dominio

 

La monarchia assoluta ha la propria matrice nel sorgere delle grandi monarchie territoriali in Francia, Spagna e Inghilterra, nella trasformazione in principati autonomi di grandi feudi imperiali come la Prussia e la Savoia, e nell'emergere delle signorie italiane. Gli elementi essenziali di tale sistema di dominio sono l'assunzione sempre maggiore da parte del monarca delle funzioni pubbliche precedentemente affidate all'aristocrazia feudale, la costituzione di un esercito sotto il diretto controllo regio, la centralizzazione dell'apparato amministrativo, la crescita della professionalità dei funzionari del sistema giudiziario, la riorganizzazione del fisco in vista del mantenimento di tutto l'apparato statale. L'ordinamento giuridico divenne un argano direttamente dipendente dal sovrano, il quale divenne fonte assoluta del diritto. A fronte del sovrano, quindi, titolare della sovranità tutti sono ridotti a sudditi. I nuovi stati non si sarebbero più riconosciuti come parti di un impero, ma si sarebbero sforzati di dare al proprio territorio e alla propria sovranità confini geograficamente precisi.

 

 

 

La seconda metà del '400 in Italia e in Europa

 

 

1. Gli elementi costitutivi del sistema assolutistico di dominio

 

La monarchia assoluta ha la propria matrice nel sorgere delle grandi monarchie territoriali in Francia, Spagna e Inghilterra, nella trasformazione in principati autonomi di grandi feudi imperiali come la Prussia e la Savoia, e nell'emergere delle signorie italiane. Gli elementi essenziali di tale sistema di dominio sono l'assunzione sempre maggiore da parte del monarca delle funzioni pubbliche precedentemente affidate all'aristocrazia feudale, la costituzione di un esercito sotto il diretto controllo regio, la centralizzazione dell'apparato amministrativo, la crescita della professionalità dei funzionari del sistema giudiziario, la riorganizzazione del fisco in vista del mantenimento di tutto l'apparato statale. L'ordinamento giuridico divenne un argano direttamente dipendente dal sovrano, il quale divenne fonte assoluta del diritto. A fronte del sovrano, quindi, titolare della sovranità per diritto divino, tutti sono ridotti a sudditi. I nuovi stati non si sarebbero più riconosciuti come parti di un impero, ma si sarebbero sforzati di dare al proprio territorio e alla propria sovranità confini geograficamente precisi.

 

 

 

2. Luigi XI e Carlo il Temerario duca di Borgogna

 

A Carlo VII successe il figlio Luigi XI (1461-1483), principe spregiudicato, audace simulatore e politico avveduto. Durante il suo regno la monarchia consegui un progresso decisivo per l'estensione e il consolidamento del dominio dello Stato. Impegnativa, in tal senso, fu la lotta che il re dovette intraprendere contro Carlo il Temerario, divenuto nel 1467 duca di Borgogna. Il Ducato di Borgogna apparteneva ad una famiglia cadetta dei Valois dal 1363; una serie fortunata di conquiste e di eredità aveva allargato il ducato fino a includere le Fiandre, l'Olanda, il Brabante, l'Artois, la Franca Contea (o Contea di Borgogna, distinta dal Ducato): si trattava di territori ricchi, situati in una posizione importante per il traffico europeo. La Borgogna aveva avuto una ruolo importante nella Guerra dei Cento Anni, specialmente quando aveva stretto alleanza con l'Inghilterra; con il trattato di Arras (1435), poi, Filippo il Buono aveva stabilito la pace con la Francia alla condizione di essere esentato dal rendere l'omaggio feudale al re. Luigi XI, al fine di impossessarsi dei domini borgognoni, cominciò a tessere intorno al Temerario una rete di inimicizie e di ostilità, e servendosi senza scrupolo dell'arma della corruzione, riuscì a costituire una coalizione, cui aderirono alcune città renane, il duca Renato II di Lorena e i Cantoni svizzeri occidentali (1474). Carlo il Temerario mosse anzitutto contro i Cantoni svizzeri, ma venne sconfitto a Grandson ed a Morat (1476); in seguito cinse d'assedio la città di Nancy, in Lorena, ma trovò la morte in battaglia sotto le mura della città (1477). A Luigi XI rimaneva così da sfruttare le circostanze: egli si affrettò ad occupare il Ducato di Borgogna, ma la maggior parte delle terre (i Paesi Bassi, l'Artois, la Franca Contea) gli sfuggirono perché toccarono a Maria, figlia unica del Temerario, e da lei furono portati in dote al duca Massimiliano d'Austria, erede dell'imperatore Federico III.

 

 

 

3. Firenze dopo la morte di Cosimo de' Medici; la politica del Magnifico Lorenzo

 

La morte di Cosimo (1464) lasciava in eredità alla sua famiglia una tradizione di buon governo, ma il figlio Piero il Gottoso non fu altrettanto abile, pur riuscendo a reprimere un tentativo di ribellione, promosso dagli esponenti di altre famiglie fiorentine (Pitti, Soderini, Acciaiuoli) e favorito dal governo di Venezia (1466). Nel 1469 a Piero successero i figli Lorenzo e Giuliano, che ottennero da un'assemblea di notabili il riconoscimento della loro posizione privilegiata in città. Dopo la congiura dei Pazzi, cui Lorenzo riuscì fortunosamente a scampare, ad opera dello stesso Magnifico (1469-92) ebbe inizio la liquidazione anche esteriore degli istituti comunali: furono ridotte le Arti minori e medie, abolita la Mercanzia, il Consiglio del Popolo e del Comune. I membri della Signoria furono eletti da una ristretta cerchia di collaboratori costituenti il «Consiglio dei Settanta», che controllava, subordinatamente alle direttive del Medici, la vita pubblica e in certi casi anche la vita privata dei Fiorentini. Lorenzo, tuttavia, trascurò in parte gli affari del Banco di famiglia e per sostenerlo dovette ricorrere al denaro pubblico. Seppe peraltro manovrare con astuzia il sistema di tassazione, in modo da rovinare con gravami fiscali i suoi nemici personali e favorire con esenzioni gli amici. La città visse per qualche decennio in pace, infatti l'alleanza con Milano e Napoli e l'amicizia di papa Innocenzo VIII fecero di Firenze il principale fattore d'equilibrio, «la bilancia della politica italiana» nella seconda metà del secolo XV (come nel caso della congiura dei baroni nel napoletano).

 

 

 

4. Polonia e Boemia nella seconda metà del '400

 

Il re Casimiro IV Iagellone (1444-1492) fu impegnato in una lotta contro i Cavalieri dell'Ordine Teutonico, signori feudali della Prussia e della Pomerania orientale, conseguendo successi decisivi, in seguito ai quali la bassa Vistola, compreso il porto di Danzica, venne incorporata nella Polonia (Pace di Thorn, 1466). Ai Cavalieri teutonici restava la Prussia orientale, in condizione di vassallaggio. Ne1 nuovo Stato si svilupparono anche gusti e tendenze intellettuali, che ebbero i loro centri nella Corte e nell'Università di Cracovia, in cui furono ospitati dotti umanisti italiani e tedeschi. In tal modo la Polonia rimase a lungo la potenza marginale dell'Europa verso l'Oriente russo e asiatico. La corona di Boemia, attribuita per qualche tempo all'imperatore Sigismondo, nonostante la violentissima opposizione ussita, passò poi ad un principe di Casa d'Asburgo, la cui autorità fu nulla. Fu pertanto lasciato libero campo a Giorgio Podiebrad, che divenne «Amministratore generale del Regno» e poi ottenne la corona con grande soddisfazione popolare come primo re nazionale boemo (1458). La Boemia era agitata da una duplice controversia, politica, rappresentata da una forte corrente nazionale che si opponeva all'invadenza germanica, e religiosa, rappresentata da una corrente ussita (cioè dei seguaci di Giovanni Hus). Agli occhi del popolo boemo la Chiesa cattolica e l'Impero erano due poteri collegati e la lotta contro l'uno significava anche l'indipendenza dall'altra. Il Podiebrad, esponente di queste forze nazionali, riuscì a mantenere per qualche tempo la pace all'interno e ad avviare buone relazioni con i paesi vicini; incorse però poi nell'accusa di eresia e nella scomunica di papa Paolo II (1465), che gli suscitò contro il vicino re d'Ungheria, Mattia Corvino. Negli anni seguenti si cercò di venire ad un accordo per la mediazione di Casimiro di Polonia, ma senza successo, anche perché contro il Podiebrad si levarono alcuni signori boemi e tedeschi, cattolici, suoi avversari (1467). Nonostante le rivalità interne, però, le risorse del paese (miniere di argento) ne conservarono floride le condizioni, permettendo la fioritura di una civiltà elegante, di transizione tra il Medioevo e il Rinascimento. Morto il Podiebrad nel 1471, la nobiltà ceca proclamò re Ladislao Iagellone, figlio di Casimiro IV di Polonia, a patto che garantisse il mantenimento delle leggi che davano parità di diritti ai cattolici ed agli ussiti.

 

 

 

Viaggi e scoperte. Carlo VIII in Italia

 

 

1. L'Inghilterra sotto Enrico VII Tudor (1485-1509).

 

Vinto a Bosworth nell'agosto 1485 Riccardo III, Enrico Tudor, sposando Elisabetta di York, figlia di Edoardo IV, fu proclamato re col nome di Enrico VII. Nel successivo periodo di stabilità, il Parlamento continuò ad esistere e a riunirsi, perché aveva già raggiunto un grado di notevole solidità nei suoi due rami, la Camera dei Pari e la Camera dei Comuni. Esso aveva il principale compito di approvare i sussidi per la Corona; non aveva il potere di emanare leggi, ma poteva provocarne l'introduzione. Per altro, con l'avvento dei Tudor, che erano in grado di fare a meno dei sussidi finanziari concessi dal Parlamento, il controllo parlamentare sul potere regio fu ridotto quasi a nulla. Il sovrano poté quindi rafforzare le istituzioni monarchiche ed estendere senza ostacoli la competenza giudiziaria di un suo tribunale supremo, la «Camera Stellata», che divenne un organo di sorveglianza e di difesa della monarchia. L'attività preindustriale che stava emergendo venne favorita da misure protezionistiche, che difendevano la produzione nazionale dei tessuti di lana e imponevano tasse sull'importazione dei vini francesi. L'insularità del paese, la posizione dei porti di Bristol, di Plymouth e di Londra costituirono la premessa allo sviluppo della navigazione atlantica, mentre Calais, sulle coste francesi, fungeva ancora da punto d'appoggio sul continente. Difficili erano però i rapporti con la Scozia e con la vicina Irlanda. La prima, ostile all'Inghilterra nonostante una parziale comunanza di lingua, era allora sotto la dinastia degli Stuart, che mantenevano le più amichevoli relazioni con la Francia, potendo, all'occasione, diventare una pericolosa base per i nemici della nazione inglese. La seconda era invece asservita agli Inglesi, ma sempre pronta a insorgere; la popolazione celtica, infatti, resisteva ostinatamente alla colonizzazione inglese, mentre l'odio e il disprezzo vicendevole accrescevano la distanza.

 

 

 

2. Le ragioni economiche, morali e tecniche dei viaggi oceanici tra XV e XVI secolo.

 

La speranza di trovare nuovi depositi di metalli preziosi e la necessità di giungere ai paesi produttori delle spezie, eludendo il monopolio veneto-egiziano, furono i principali moventi dei viaggi oceanici degli ultimi decenni del XV secolo. Le "spezie" e le altre merci esotiche erano cercate e pagate a peso d'oro sui mercati europei per le esigenze dell'industria tessile, della farmacopea, dell'arte di confezionare cibi e medicine e di soddisfare le ambizioni del ceto aristocratico. Questi prodotti rari venivano dal lontano Oriente, dal Catai, dalle isole della Sonda, dalle Molucche, da Celebes, dalla penisola di Malacca; attraverso numerose e costose intermediazioni arrivavano poi sui mercati europei dove il monopolio veneziano imponeva i prezzi senza concorrenza. Per spezzare questo blocco, sovrani, mercanti e marinai dei paesi europei bagnati dall'Atlantico, in primo luogo il Portogallo, concepirono il disegno di raggiungere direttamente per via di mare e senza interruzione i luoghi stessi di origine delle tanto ambite spezie. Al di là delle cause economiche, tuttavia, il fenomeno dei viaggi e delle esplorazioni va visto anche come manifestazione dell'irrequieto bisogno di ricerca, di indagine e di scoperte che si manifestava in ogni campo della vita umanistico-rinascimentale; si aggiungano a ciò motivi di carattere spiccatamente religioso che spingevano taluni a prendere contatto con le popolazioni indigene di luoghi non conosciuti nel passato per il desiderio di recare loro il Vangelo, concedendo anche ad esse la possibilità di ottenere la salvezza spirituale. Al successo dei viaggi concorsero infine ragioni politiche e tecniche: le prime consistettero nel fatto che le nuove monarchie nazionali fecero propri i progetti dei geografi, dei marinai e della borghesia commerciale, come parte del loro programma di espansione e di conquista; la ragione tecnica fu invece data dai progressi compiuti nell'arte della navigazione (alle grandi galeazze a remi si venivano sostituendo le più piccole, ma più robuste caravelle, a trazione eolica; uso della bussola, dell'astrolabio e del quadrante, perfezionamento del timone e della velatura) e della scienza cartografica.

 

 

 

3. La conquista spagnola dei territori americani.

 

La spagna operò una conquista metodica delle Antille e poi della terraferma nella parte centrale e meridionale del nuovo continente. Già negli anni immediatamente successivi ai viaggi di scoperta, appena si era intravista la possibilità di sfruttare in qualche modo le nuove terre, vi erano stati inviati numerosi soldati, artigiani e contadini. Ad Haiti (Hispaniola) si introdusse una specie di feudalesimo, poiché lotti di terreno furono assegnati a soldati, per curarne lo sfruttamento e abituare al lavoro gli indigeni, che si dimostravano indolenti. In cambio gli indios ricevevano protezione, nutrimento e vesti. Conquistatori e coloni europei, tuttavia, animati però dalla convinzione di essere giunti in terre ricche di metalli preziosi, si preoccuparono soltanto di reperire e rastrellare oro e argento, ricorrendo senza scrupoli alla violenza e all'eccidio. Fernando Cortés, sbarcato con qualche centinaio di uomini sulle coste messicane, nel giro di pochi anni si impadronì di un territorio immenso, il Messico Azteco, allora, a quanto pare, abitato da circa 25 milioni di uomini. Tra il 1520 e il 1530 la conquista fu completata annettendo alla sovranità spagnola un milione e mezzo di chilometri quadrati di terre dall'istmo di Panama fino alle zone desertiche del Messico settentrionale. Dopo il 1530 si ebbe la seconda fase di conquista, che ebbe per oggetto l'espansione lungo le coste del Pacifico e particolarmente il Perù. Bastarono le voci relative alle ricchezze di questo Paese a indurre una spedizione di avventurieri spagnoli guidati da Francisco Pizarro a tentarne la conquista. Profittando del vantaggio imprevisto di discordie interne che laceravano in quel momento l'Impero degli Incas, Pizarro ripeté il successo di Cortés nel Messico. Tra il 1532 e il 1535 gli spagnoli divennero padroni del Paese, inaugurando un'età di distruzioni, di saccheggi, di sfruttamento inauditi. Ogni colonia era retta da un Governatore, da cui dipendevano altri funzionari; ogni governatore a sua volta era posto sotto il controllo del Consiglio delle Indie, che aveva sede a Madrid.

 

 

 

4.

 

a) La situazione politica in Italia a fine '400.

 

Nell'aprile del 1492 era morto, a quarantaquattro anni, Lorenzo, il Magnifico signore di Firenze. Nello stesso anno, nel mese di agosto, fu eletto papa, col nome di Alessandro VI, il cardinale spagnolo Rodrigo Borgia (1492-1503), promotore, per il suo desiderio di creare uno Stato al figlio Cesare, di una diretta intesa con la monarchia francese. Contemporaneamente si verificò uno spostamento nelle alleanze tradizionali: Ludovico il Moro, desideroso di liberarsi del nipote Gian Galeazzo Sforza, signore di Milano, ruppe l'amicizia con i sovrani di Napoli (re Ferrante fino al 1494 e poi il figlio Alfonso II) coi quali il duca Gian Galeazzo era imparentato, avendo sposato Isabella, figlia di Alfonso. Rottasi l'alleanza Milano-Firenze-Napoli, che era stata l'asse dell'equilibrio italiano nella seconda metà del Quattrocento, si ebbe un avvicinamento di Venezia a Milano, dal momento che la città marinara, impegnata contro i Turchi, non sembrava più in grado di allargarsi verso il territorio milanese, fatto che eliminava il principale motivo di antagonismo tra i due Stati. Il papa Alessandro VI, a sua volta, si accostò a Ludovico il Moro e a Venezia, stabilendo con essi una lega che per diversi motivi aveva un carattere nettamente ostile agli Aragonesi di Napoli, a motivo dell'inimicizia tra Lodovico il Moro e gli Aragonesi, per il contrasto tra Venezia e Napoli (la Serenissima possedeva alcuni scali portuali nelle Puglie), per gli incerti rapporti tra il papa e il re di Napoli, dovuti al fatto che Rodrigo Borgia era stato eletto pontefice contro la volontà di re Ferrante. L'atmosfera di diffidenza creata dal gioco delle diplomazie furono le condizioni che resero possibile l'instaurazione del predominio straniero in Italia.

 

b) I preparativi della spedizione di Carlo VIII.

 

Prima di intraprendere la guerra, il cui obiettivo immediato sarebbe stato certamente la conquista del Regno di Napoli, per poi, a partire di lì, imbarcarsi per compiere una nuova grande crociata nel Vicino Oriente, a Gerusalemme o a Costantinopoli, Carlo VIII volle assicurarsi contro eventuali tentativi di aggressione alle frontiere francesi, concludendo con gli Stati confinanti alcuni importanti trattati, che sono tra i primi della storia diplomatica europea: con il Trattato di Étaples (1492), si assicurò anzitutto la neutralità di Enrico VII d'Inghilterra, mediante il pagamento di un'ingente somma di denaro; con il Trattato di Barcellona si accordò con Ferdinando il Cattolico di Spagna, a cui cedette le provincie pireneiche del Rossiglione e della Cerdagna; con il Trattato di Senlis (1493), infine, riconobbe a Massimiliano d'Austria, sposo di Maria di Borgogna, il possesso dell'Artois e della Franca Contea (parte dell'eredità di Maria che era oggetto di contesa tra Francia e Impero).

 

 

 

 

 

28 aprile 2009

 

 

 

1.

 

a) La crisi politica italiana a fine XV secolo.

 

Nell'aprile del 1492 moriva Lorenzo, il Magnifico e nel mese di agosto, fu eletto papa, col nome di Alessandro VI, il cardinale spagnolo Rodrigo Borgia (1492-1503), promotore, per il suo desiderio di creare uno Stato al figlio Cesare, di una diretta intesa con la monarchia francese. Contemporaneamente si verificò uno spostamento nelle alleanze tradizionali: Ludovico il Moro, desideroso di liberarsi del nipote Gian Galeazzo Sforza, che era il signore legittimo del Ducato di Milano, ruppe l'amicizia con i sovrani di Napoli coi quali il duca Gian Galeazzo era imparentato. Rottasi l'alleanza Milano-Firenze-Napoli, asse dell'equilibrio italiano nella seconda metà del Quattrocento, si ebbe un avvicinamento di Venezia a Milano, dal momento che la città marinara, impegnata contro i Turchi, non sembrava più in grado di allargarsi verso il territorio milanese. Il papa Alessandro VI, a sua volta, si accostò a Ludovico il Moro e a Venezia, stabilendo con essi una lega ostile agli Aragonesi di Napoli (la Serenissima possedeva alcuni scali portuali nelle Puglie; Rodrigo Borgia era stato eletto pontefice contro la volontà di re Ferrante). Sul Regno di Napoli potevano vantare diritti sia il sovrano spagnolo Ferdinando il Cattolico, che apparteneva alla stessa famiglia aragonese del cugino Ferrante, sia il re di Francia Carlo VIII, succeduto a Luigi XI nel 1483, che aveva raccolto le pretese dinastiche degli Angiò, famiglia estintasi da poco tempo.

 

b) Le differenze tra l'impero coloniale portoghese e quello spagnolo e il trattato di Tordesillas.

 

.

 

 

 

2. Giulio II, la lega di Cambrai e la lega Santa.

 

Dopo la pace di Blois, il centro della politica europea rimase ancora l'Italia ed in particolare Roma, dove occupava il soglio pontificio il cardinale Giuliano della Rovere (Giulio II; 1503-1513). Avversario dei Borgia, egli si propose di restaurare lo Stato pontificio. Tolse Perugia ai Baglioni e Bologna ai Bentivoglio, spingendosi verso nord; venne però a urtare contro la Repubblica di Venezia, che si rifiutava di restituire Cervia e Faenza, occupate dopo il crollo del dominio di Cesare Borgia. Con l'adesione di Giulio II si costituì allora la Lega di Cambrai (1508-9) contro Venezia, dichiarata nemica della cristianità perché alleata coi Turchi. Alla lega parteciparono l'imperatore Massimiliano, per Trieste e Fiume, Luigi XII, per le terre oltre l'Adda cedute ai Veneziani, Ferdinando il Cattolico, per i porti pugliesi in possesso di Venezia, Alfonso d'Este, Francesco II Gonzaga e Carlo III di Savoia. Scomunicata nell'aprile del 1509, Venezia chiese la convocazione di un concilio ecumenico, ma nelle operazioni di guerra i Francesi vincevano i Veneziani ad Agnadello sull'Adda (maggio 1509), mentre gli Imperiali invadevano il Friuli penetrando fino a Padova, che resistette. Venezia riuscì però a concludere paci separate, soddisfacendo le richieste del papa, della Francia e della Spagna; dopodiché gli Imperiali furono costretti a ritirarsi. Quando Giulio II, assolta  Venezia, cominciò a rendersi conto che, indebolita la Repubblica, aumentava la potenza francese in Italia, non soltanto la Lega di Cambrai fu disciolta, ma si costituì un nuovo fronte antifrancese. Il Pontefice (1511) trovò alleati in Venezia, nei Cantoni Svizzeri (che cominciarono a militare sotto la bandiera pontificia), nel re di Spagna e nel re d'Inghilterra. Luigi XII riuscì a sconfiggere i confederati presso Ravenna (1512), ma la situazione per le armi francesi si aggravò per l'afflusso in Italia di cospicui contingenti di Svizzeri, venuti in soccorso del papa. I Francesi perdettero Milano, dove poté rientrare Massimiliano Sforza, figlio di Ludovico il Moro.

 

 

 

3. I capisaldi della dottrina di Lutero.

 

.

 

 

 

4. L'ultima fase del conflitto franco-asburgico: 1552-1559.

 

.