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CLASSE   IV   -   Sintesi di Storia (2)

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Terminologia storica


Carlo II Stuart e il rinnovato conflitto con il parlamento

 

La restaurazione degli Stuart

 

La forma di governo repubblicano instaurata dal Cromwell e i risultati politici da lui ottenuti non furono duraturi e in gran parte andarono perduti con la sua morte (1658). Dopo un breve periodo di governo di Riccardo Cromwell, figlio del Protettore, la popolazione, stanca dei rigori del regime puritano, che si era imposto in tutte le forme della vita, compresi il costume privato e le forme dell'arte (erano stati proscritti dalla vita pubblica il canto, il gioco e gli spettacoli teatrali), si mostrò favorevole alla restaurazione della monarchia con Carlo II Stuart e alla ricostituzione della Chiesa anglicana.
Nel maggio del 1660 Carlo II veniva riportato al trono dopo che il Generale scozzese George Monk, marciando su Londra, aveva imposto al parlamento di richiamare sul trono l'erede legittimo.
I primi atti di governo del nuovo monarca, tuttavia, furono improntati da un carattere nettamente reazionario: fu ristabilita la Camera dei Lords (abolita dal Cromwell), fu liquidato l'esercito degli Indipendenti e furono restituiti i beni confiscati durante il periodo repubblicano. Seguirono leggi contro i Puritani e le sette non conformiste (molti gruppi di dissenzienti furono costretti a emigrare delle Americhe).
Carlo II governò col sussidio del Consiglio privato, in cui prevalse nei primi tempi il cancelliere lord Clarendon, di tendenza francofila, e ricorse al Parlamento solo per ottenere la concessione di larghe somme di denaro.
Ciò che maggiormente urtò gli interesse e le aspirazioni di larghi strati della popolazione inglese fu però la manifesta volontà del sovrano di assecondare i disegni imperialistici di Luigi XIV e di restituire al cattolicesimo inglese la parità rispetto alle confessioni riformate. Il Parlamento, tuttavia non permise a Carlo II l'attuazione della direttiva politica per la quale si era di fatto accordato con Luigi XIV col trattato segreto di Dover (1670), né accettò di emanare una Dichiarazione di Indulgenza (proposta nel 1672) a favore dei cattolici d'Inghilterra e d'Irlanda e neppure di collaborare con i francesi in funzione anti-olandese (1672-1674).
Per contro, la parte Protestante del Parlamento ottenne un successo decisivo con l'introduzione di un Atto di prova (1673), per il quale tutti i funzionari pubblici inglesi dovevano prestare un giuramento contro la dottrina cattolica dell'eucaristia.
Si aprì, invece, una nuova crisi interna quando, al prospettarsi di una successione cattolica al trono (Carlo II non aveva figli maschi legittimi e gli sarebbe dovuto succedere il fratello Giacomo, duca di York, notoriamente cattolico), il Parlamento propose un disegno di legge che avrebbe escluso dal trono proprio il duca di York (1679).

 

 

 

Carlo II e Giacomo II. La rivoluzione parlamentare

 

 

In quella occasione acquistarono rilievo nelle due Camere e nel paese i partiti storici inglesi dei whigs, favorevoli all'approvazione del Bill (progetto di legge) di Esclusione e quindi inclini ad affermare la superiorità della volontà popolare espressa dal Parlamento, e dei tories rispettosi delle prerogative sovrane (le espressioni Whig e Tory significano entrambe «brigante e ladro di bestiame» rispettivamente nel dialetto scozzese e irlandese; gli avversari se li attribuivano vicendevolmente per dileggio).
I ceti progressisti, commercianti e simpatizzanti per le sette non conformiste aderirono al partito whig, i ceti conservatori, la grande aristocrazia e gli anglicani ligi alla dottrina della non-resistenza ed obbedienza passiva inculcata dalla Chiesa inglese, inclinarono per la parte tory. Carlo II tentò invano di mitigare l'ostilità dell'opposizione permettendo che fosse emanata una legge detta Habeas corpus (1679), che assicurava la difesa della libertà personale dagli incarceramenti arbitrari; poi, per denaro, accettò che si votasse il Bill di Esclusione, che però, approvato dai Comuni, fu respinto dai Lords e decadde (1681).

 

La rivoluzione parlamentare del 1688

 

Con la morte di Carlo II la questione della successione si impose in tutta la sua gravità. La successione toccò, come previsto, al fratello Giacomo II, che regnò dal 1685 al 1688 (morì nel 1701). Poiché però egli insistette nel voler rafforzare l'assolutismo monarchico e ristabilire il cattolicesimo, la collaborazione con il Parlamento divenne dopo pochi anni impossibile e tutte le forze avverse agli Stuart si collegarono per effettuare un colpo di stato che passò alla storia come la «pacifica rivoluzione parlamentare» in contrapposizione alla «grande ribellione puritana».
Anche gli esponenti della Chiesa anglicana e dell'aristocrazia terriera abbandonarono la causa degli Stuart, cosicché la rivoluzione del 1688 fu l'opera concorde delle diverse forze nazionali, dei whigs e dei tories; in realtà nessuno voleva un mutamento radicale della costituzione politica (già negativamente sperimentato nel 1648), ma soltanto un parziale cambiamento di dinastia, e perciò si fece appello a Guglielmo III d'Orange, principe protestante olandese, che aveva sposato Maria, figlia di Giacomo II.
Il principe d'Orange venne in Inghilterra nel novembre del 1688 e senza difficoltà tolse il trono al suocero Giacomo II che, abbandonato anche dai suoi ufficiali, fuggì in Francia.
Il Parlamento inglese acclamò come sovrani Guglielmo e Maria, ma impose loro, con un giuramento, l'osservanza di una Dichiarazione dei Diritti (1689) che affermava la supremazia della legge sulla volontà arbitraria del sovrano. In tal modo la monarchia riconosceva i propri limiti e sottoscriveva un patto fondamentale con la nazione britannica assumendo l'aspetto di monarchia costituzionale. I diritti del popolo inglese (diritto di proprietà, di libertà personale, di petizione, di libertà di stampa e di parola), che la tradizione nazionale (common law) aveva elaborato durante i secoli senza mai codificarli, erano riconosciuti e garantiti.

 

 

 

La Francia sotto il Mazzarino; la fronda parlamentare

 

 

La Francia sotto il governo di Mazzarino; la guerra con la Spagna

 

La Francia era uscita veramente vittoriosa dalla guerra dei Trent'Anni: essa infatti aveva ottenuto la conferma del possesso dei vescovati di Toul, Metz e Verdun, e l'annessione di numerose città e terre dell'Alsazia che, con formula piuttosto generica e tale da fornire pretesto in seguito a molteplici contestazioni, erano state sottratte alla sovranità imperiale. Richelieu e Mazzarino avrebbero preferito ottenere vantaggi territoriali verso le Fiandre, servendosi dei possessi alsaziani come eventuale mezzo di scambio, ma avevano urtato nell'opposizione della giovane Repubblica delle Provincie Unite che, allontanato il pericolo spagnolo, cominciava a temere quello francese.
Del resto, strategicamente l'Alsazia era importante perché tagliava la via di comunicazione tra due provincie spagnole, la Franca Contea e il Lussemburgo, e costituiva un'ottima base per la penetrazione nella Germania occidentale, dove la Francia si atteggiava a protettrice e garante delle libertà politiche dei principi tedeschi.

 

Il cardinale italiano Giulio Mazzarino (1602-61), già intelligente collaboratore del Richelieu, assunse la direzione del governo francese nel 1643, poco dopo la morte di Luigi XIII, e la mantenne col favore e la fiducia della regina vedova Anna d'Asburgo, reggente per conto del giovanissimo principe Luigi.
Al Mazzarino toccò il compito di governare la Francia in un momento particolarmente difficile per il rinascente spirito di autonomia feudale che, soffocato dal ferreo governo del Richelieu, trovava ora nelle condizioni di disagio e di miseria della popolazione francese (conseguenze della guerra) il momento e l'occasione propizia per manifestarsi in violente ribellioni contro la Corona.
Dapprima furono i magistrati e gli ufficiali del Regno a sollevare una violenta protesta contro il controllo della corte sui loro uffici e contro l'imposizione di gravami fiscali che sembrava compromettere il loro prestigio e benessere: a questa Fronda parlamentare (1648-49) parteciparono anzitutto i giudici dei tribunali e del Parlamento (organismo di carattere giudiziario) di Parigi, che sollevarono la popolazione e costrinsero la corte, con Anna d'Asburgo e il figlio Luigi, ad abbandonare la città. Il richiamo dal fronte fiammingo del principe di Condé in difesa della monarchia e qualche scontro armato risoltosi a danno dei Parlamentari convinsero però i rivoltosi a sottomettersi, mentre il Mazzarino concedeva una generale amnistia.

 

 

 

La guerra con la Spagna e l'avvento al trono di Luigi XIV

 

Non molto dopo, mentre era già in corso la guerra con la Spagna, furono i maggiori esponenti dell'aristocrazia, tra cui lo stesso principe di Condé, a ribellarsi al governo di Anna d'Asburgo, dando luogo alla cosiddetta Fronda dei principi (1650-53). Dapprima il cardinale sembrò dominare la situazione riuscendo a fare imprigionare il Condé, ma poi, essendosi coalizzati tra loro i sostenitori delle due Fronde, fu costretto a lasciare il governo, allontanandosi. Non esistendo, tuttavia, comunanza di interessi e di aspirazioni tra la grande aristocrazia francese, il ceto dei magistrati e la plebe parigina, la regina, che fece leva sull'appoggio del clero e sulla fedeltà dell'esercito comandato dal visconte di Turenne (1611-1675), rese possibile al figlio Luigi XIV, ormai uscito di minorità, di riprendere con sovrana autorità il controllo della situazione nella capitale. La Fronda si sciolse, il principe di Condé fuggì presso gli Spagnoli e il Mazzarino poco più tardi, poté ritornare al suo posto di Primo ministro (1653).
Domate le rivolte interne, il cardinale Mazzarino potè far fronte con maggior tranquillità alla guerra contro la Spagna, volgendola favorevolmente al proprio paese, specie dopo che nel 1657 ebbe ottenuto l'alleanza di Oliviero Cromwell, Lord Protettore d'Inghilterra. Un'offensiva condotta nelle Fiandre dal Turenne, con l'appoggio della flotta britannica, portò così alla vittoria delle Dune (1658), dopo di che la Spagna fu indotta ad accettare la Pace dei Pirenei (1659), cedendo alla monarchia francese gran parte dell'Artois, alcune piazzeforti ai confini coi Paesi Bassi spagnoli e le regioni montuose del Rossiglione e della Cerdagna. Veniva inoltre stipulato il matrimonio tra l'infanta di Spagna, Maria Teresa, figlia di Filippo IV, e il giovane Luigi XIV. La principessa spagnola avrebbe dovuto portare in dote una somma ingentissima in cambio della quale Luigi XIV avrebbe rinunciato a qualsiasi diritto di successione alla corona di Spagna; ma poiché l'erario spagnolo, perennemente in passivo, non era in grado di pagare la dote promessa, sussisteva la possibilità di una riunione delle due corone di Francia e di Spagna e si apriva la prospettiva di una politica imperialistica francese.
L'Inghilterra, intanto, a titolo di premio per l'alleanza con la Francia, otteneva l'importante base continentale di Dunquerque.

 

I problemi dell'Europa settentrionale

 

L'altro Stato che si era assicurato larghi vantaggi con i trattati di Westfalia era la Svezia. Essa infatti aveva ottenuto il dominio del Baltico col possesso della Pomerania occidentale da Stettino a Stralsunda e dei vescovati di Brema e di Verden.
Dopo la morte di Gustavo Adolfo (1632) e durante la minorità della regina Cristina, aveva retto le sorti dello Stato svedese il cancelliere Axel Oxenstierna, che aveva condotto una politica di pace, intesa a conservare alla Svezia i vantaggi acquistati recentemente e soprattutto a mantenere l'alleanza con la Francia.
Nel paese si era stabilito un proficuo accordo tra la nobiltà (rappresentata dal Senato o Riksrad), il clero (in Svezia, la riforma non aveva abolito la gerarchia ecclesiastica) e la popolazione rurale, e prospettive di un largo sviluppo economico erano rappresentate dall'afflusso in Svezia di capitali stranieri, per mezzo dei quali sarebbe stato possibile sfruttare adeguatamente le ricche risorse di legname e di ferro richiesti in tutta Europa per le costruzioni navali.

 

Avversaria diretta e naturale della Svezia restava la Danimarca, in cui regnava Federico III di Oldenburg (1648-70), successo al padre Cristiano IV.
Intento essenziale dei sovrani danesi era di conservare il controllo marittimo del Sund, che costituiva una larga fonte di entrate per i diritti doganali imposti al commercio di transito anglo-olandese. Al predominio effettivo nel Baltico, però, la Danimarca aveva dovuto rinunciare a vantaggio della Svezia che, in seguito a una fortunata spedizione militare dell'Oxenstierna (1643), aveva ottenuto l'esenzione dal pagamento dei tributi degli Stretti e l'acquisto della Scania, appendice meridionale della penisola svedese che apparteneva da secoli alla Danimarca (1645).

 

Al problema del Baltico si interessava direttamente anche la Polonia, che si affacciava su quel mare per un largo tratto di territorio.
Il Regno di Polonia era un baluardo del cattolicesimo posto in una ben difficile posizione tra la Moscovia di religione ortodossa all'est, il vastissimo dominio dei Turchi a sud e gli Stati luterani di Germania e del Baltico. I confini naturali erano incerti e vulnerabili e il potere monarchico continuamente ostacolato dalla nobiltà. Solo il pericolo pressante di una invasione musulmana costituiva un motivo di unione, estrinseca però e temporanea, che cessava immediatamente col dileguarsi del pericolo stesso. I cavalieri polacchi, così valorosi in guerra secondo una gloriosa tradizione nazionale, in periodo di pace divenivano per le loro incessanti controversie, causa di un progressivo e irrimediabile indebolimento del Regno e facile pretesto ad interventi stranieri.
Dal 1572 la monarchia era elettiva e il re, al momento dell'elezione, doveva accettare i pacta conventa, norme che ne limitavano il potere sopra tutto in campo militare, mentre il potere legislativo era esercitato dalle assemblee o Diete della nobiltà, in cui tuttavia la prassi del liberum veto (per cui le decisioni dovevano esser prese all'unanimità e bastava talora l'opposizione di uno dei partecipanti per rompere la dieta) rendeva di fatto impossibile ogni attività effettiva di governo.
Al disgregamento si aggiunse un peggioramento dei rapporti sociali interni, perché la maggior ricchezza del paese, costituita dalla terra e dai prodotti agricoli, oggetto di larga esportazione, era nelle mani delle grandi famiglie magnatizie e della nobiltà minore costituente la slazchta, mentre i contadini erano asserviti alla terra ed oppressi dalle corvées. Perennemente ribelli e insofferenti delle pretese feudali della nobiltà polacca, poi, erano i cosacchi dell'Ucraina, che abitavano tra il Dniepr e il Donez ed erano soggetti alla sovranità del re di Polonia, benché di fatto costituissero una repubblica di contadini, allevatori e piccoli proprietari terrieri.
In Polonia, infine, l'industria restava essenzialmente domestica e assai meno efficiente che nel secolo XVI; le città si erano impoverite salvo Varsavia che, posta sulla media Vistola navigabile, era divenuta assai più fiorente e popolosa dell'antica capitale rinascimentale Cracovia, ormai in declino. Poiché, poi, il commercio era sopra tutto in mano degli Ebrei, non si era formato né poteva formarsi un ceto medio borghese che, come nell'Occidente europeo, fornisse i mezzi al monarca per restaurare l'ordine interno e promuovere il funzionamento dell'apparato statale.

 

Estremamente salda era invece la struttura politica di un quarto Stato che aveva motivo di partecipare alle contese per il predominio nel Baltico, la Marca elettiva di Brandeburgo. Questo principato tedesco luterano, dopo essere stato uno dei campi di battaglia europei durante la guerra dei Trent'anni, tanto da essere ridotto in rovina, aveva cominciato a riprendersi con Federico Guglielmo di Hohenzollern (1640-88), detto il Grande elettore, principe formatosi in Olanda a contatto degli Orange, che aveva rinforzato lo Stato con metodi energici e che, con opportuni interventi nell'ultima fase della guerra, si era assicurato notevoli acquisti territoriali nella Pomerania orientale.
Egli non poteva disporre di un dominio veramente compatto, in quanto consistente principalmente di tre parti staccate: il Marchesato di Brandeburgo, il Ducato renano di Cleve e il Ducato della Prussia orientale, ereditato per l'estinzione di un ramo cadetto degli Hohenzollern (1618). Attuati numerosi provvedimenti atti a porre rimedio alla povertà delle campagne brandeburghesi, spopolate e in gran parte occupate da foreste e paludi, e a regolare la pacifica convivenza dei sudditi con spirito di tolleranza religiosa e senso di opportunità, favorì l'immigrazione di esuli perseguitati da altri paesi, calvinisti francesi, luterani tedeschi, ebrei o cattolici, portando al Brandeburgo un prezioso contributo per il miglioramento dell'agricoltura, la bonifica delle terre paludose e il sorgere di una nuova attività industriale.
Federico Guglielmo, poi, dedicò particolari cure alla costituzione di un solido, agguerrito e ben disciplinato esercito, che si rivelò presto uno dei più validi strumenti di guerra degli Stati dell'Europa centrale.

 

La Prima guerra del Nord

 

In questo quadro generale delle condizioni politiche ed economiche dell'Europa centro-settentrionale si inseriscono gli avvenimenti della Prima guerra del Nord (1655-60), evento di importanza considerevole nella storia secolare della lotta per l'egemonia nel Mar Baltico. Questo conflitto fu diretto principalmente contro il predominio nel Baltico detenuto dalla Svezia dopo i trattati di Westfalia; perseguirono anzitutto tale intento antisvedese la Polonia e la Danimarca e, con minor insistenza ma con risultati più favorevoli, il Brandeburgo.
In Svezia, dopo la reggenza dell'Oxenstierna, regnò la regina Cristina (1644-54), figlia di Gustavo Adolfo, la quale infine, stanca delle cure del governo e convertitasi al cattolicesimo, si trasferì a Roma dove trascorse il resto della vita proteggendo e incoraggiando letterati e artisti. Il trono di Svezia fu così ereditato dal cugino di Cristina, Carlo (1654-1660), principe audace fino all'imprudenza.

 

Carlo X, approfittando del fatto che il re Giovanni Casimiro di Polonia (1648-68) era impegnato a difendersi dall'attacco combinato dei Cosacchi e dei Russi, mosse contro la Polonia giungendo ad occupare Varsavia (1655) senza incontrare una grande resistenza e costringendo il re polacco alla fuga. In Occidente, però, dove era in corso la fase conclusiva del duello franco-spagnolo, il Mazzarino cominciò a preoccuparsi per la sorte della cattolica Polonia, la cui regina era una principessa francese, Maria Luisa Gonzaga-Nevers, moglie di Giovanni Casimiro, e tentò di interporre i suoi buoni uffici, benché, dapprima, senza successo. Ripresasi, però, la Polonia per uno slancio di ardore patriottico, il re Giovanni Casimiro poté rientrare dall'esilio e con opportune concessioni ridare libertà ed indipendenza al paese; particolarmente importante fu il trattato da lui concluso con l'Elettore del Brandeburgo a cui, in cambio dell'aiuto militare contro la Svezia, riconobbe la piena sovranità sul Ducato di Prussia, sciogliendolo da ogni vincolo feudale (Trattato di Wehlau, 1657). Così gratificato, quindi, l'elettore Federico Guglielmo attaccò allora in direzione dello Holstein, ducato alleato degli Svedesi, mentre il re di Danimarca scendeva egli pure in guerra contro la Svezia, muovendo dalle sue basi norvegesi.
Carlo X dovette rapidamente rientrare per difendere il paese e dirigere una pronta controffensiva sul fronte norvegese, che condusse alla conquista di Trondheim, importante scalo marittimo; in seguito attaccò direttamente, ma senza successo, la capitale danese, Copenaghen. Vi fu allora un nuovo intervento diplomatico della Francia in funzione di mediatrice, che condusse alle paci di Oliva e di Copenaghen (1660), con le quali la Svezia si assicurava il possesso della Livonia, cedutale dalla Polonia, ma abbandonava i territori conquistati in Norvegia intorno a Trondheim. L'Elettore del Brandeburgo otteneva vantaggi territoriali, mentre all'Olanda, che era intervenuta per la difesa di Copenaghen, venivano garantite ampie concessioni per il passaggio del Sund.

 

Il decennio dal 1648 al 1660, dunque, si chiudeva con il successo della politica del Mazzarino, intesa ad assicurare lo status quo sia al centro dell'Europa (con la frantumazione politica dell'Impero e l'umiliazione militare degli Asburgo) sia nel nord, dove veniva sostanzialmente conservata l'egemonia svedese nel Baltico.

 

L'ascesa economica delle Provincie Unite e la rivalità con l'Inghilterra

 

La giovane Repubblica delle Provincie Unite, sorta dall'Unione di Utrecht del 1579, era stata riconosciuta come stato indipendente alla pace di Westfalia nel 1648 dopo una lunga resistenza al tentativo della Spagna di ristabilire la sua dominazione.
La Repubblica risultava dall'unione di sette provincie, differenti per risorse economiche, struttura sociale e organizzazione politica: i territori verso l'interno (Gheldria, Overijssel) conservavano una organizzazione prevalentemente feudale; altre provincie erano abitate da una popolazione rurale che si dedicava all'allevamento (Frisia e Groninga); altre erano popolate da una borghesia cittadina che viveva delle risorse della pesca e del commercio (Olanda, Zelanda); c'era infine l'ex arcivescovato di Utrecht, secolarizzato dal Capitolo protestante.
Superati i particolarismi, nonostante la diversità delle condizioni economico-sociali e la limitatezza del territorio, la Repubblica delle Provincie Unite poté divenire alla metà del secolo XVII un paese molto progredito, civile ed economicamente fiorente, che venne lentamente elaborando una costituzione di tipo federale e rappresentativo: le singole province nominavano i deputati agli Stati Provinciali, che erano i veri organismi di governo, mentre gli Stati Generali (riunitisi una prima volta all'Aia nel 1585) non costituivano un'assemblea legislativa, ma solo la riunione di delegati delle provincie che si consultavano sui problemi comuni di politica estera, di economia e di religione. Vi era poi l'importante carica di statholder, comandante militare ed ammiraglio, che era divenuta ereditaria nella famiglia dei principi d'Orange, discendenti di quel Guglielmo il Taciturno che aveva avuto una parte di prim'ordine nella rivolta antispagnola.
La Casa d'Orange dominò nelle Provincie Unite dapprima con Maurizio di Nassau (1585-1625) e poi coi suoi successori, che continuarono la guerra contro la Spagna fino al riconoscimento ufficiale dell'indipendenza della Repubblica (1648). Si verificò allora un cambiamento di regime interno per la prevalenza della fazione repubblicana e mercantile rappresentata da Giovanni De Witt, Gran Pensionario d'Olanda, che attuò la smobilitazione dell'esercito facendo abolire la carica di Statholder generale.
Ne poté però approfittare il Cromwell che, dopo aver invano proposto alle Provincie Unite di unirsi al Commonwealth britannico, attraverso una unione doganale che sarebbe tornata a danno degli Olandesi, emanò il primo Atto di navigazione (1651), che portò inevitabilmente alla guerra.
La flotta olandese, condotta dall'ammiraglio Tromp, seppe affrontare quella inglese dell'ammiraglio Blake conseguendo non pochi successi, ma il governo delle Provincie Unite fu infine costretto ad accettare la Pace di Westminster (1654), con cui gli Olandesi rinunciarono alla funzione preminente di intermediari nel commercio con l'Inghilterra e riconobbero la supremazia navale britannica nei mari circostanti l'isola.
Fondamento della prosperità raggiunta dalle Provincie Unite era la loro incessante attività commerciale e marinara: oltre alle attività di pesca nel Mare del Nord e nei mari artici, un'altra fonte di prosperità furono le le iniziative dei commercianti di Rotterdam e di Amsterdam, i quali cominciarono ad arricchirsi col trasporto dei prodotti del Baltico (legname, grano, lino) ai porti inglesi e con la distribuzione all'interno del continente europeo delle spezie che giungevano al porto di Lisbona e che venivano inoltrate nei territori germanici e francesi attraverso le vie fluviali della Schelda-Reno-Mosa. In un secondo momento, dalla fine del secolo XVI, furono le stesse navi olandesi a spingersi alle isole della Sonda, per procurarsi direttamente i preziosi carichi di coloniali da portare in Europa: così nel 1598-1600 il navigatore olandese Van Noort compì un nuovo viaggio di circumnavigazione del globo e nel 1602 sorse la Compagnia olandese delle Indie orientali. Riguardo a ciò, lo sviluppo del conflitto con la Spagna (che aveva annesso il Portogallo) costituì un fattore decisivo per la costituzione di un impero coloniale olandese, in quanto le Provincie Unite poterono approfittare della propria superiorità navale per impadronirsi delle maggiori colonie portoghesi dell'Oriente: Giava, Sumatra e le Molucche.
Furono pertanto attrezzata una fitta rete di agenzie, fattorie e piantagioni, empori e basi navali e il porto di Batavia, nell'isola di Giava, divenne il centro di una navigazione intensissima che si spingeva col piccolo cabotaggio lungo le coste dell'Insulindia, della penisola di Malacca, fino al Giappone ed alla Tasmania (raggiunta nel 1642 da Abele Tasman), mentre altre flotte compivano la lunga navigazione da Giava alla madrepatria, facendo scalo dal 1652 al Capo di Buona Speranza, tolto esso pure ai Portoghesi.
Nei primi decenni del secolo XVII almeno due terzi delle navi mercantili europee appartenevano alle Provincie Unite. La Compagnia olandese delle Indie orientali, che deteneva il monopolio di tutto il commercio a est del Capo di Buona Speranza, aveva un fortissimo capitale sociale ed oltre ad attribuire agli azionisti dividendi che si aggiravano in media sul 15-25% (raggiungendo un massimo del 75 % nel 1606) forniva un ingente contributo al bilancio federale delle Provincie Unite, assumendo così il carattere di una vera impresa di Stato.
Dal 1621 entrò in funzione anche una Compagnia delle Indie occidentali, che operò sulle coste dell'America penetrando nelle colonie spagnole e portoghesi e favorendo il commercio di contrabbando; il tentativo di insediarsi stabilmente nel Brasile (a Pernambuco e a Santos) fallì però perché il territorio brasiliano fu riconquistato dai Portoghesi (1654) e poco più tardi la Compagnia dovette sciogliersi con grave danno degli azionisti. Alle Province Unite rimasero solo la località di Surinam (nella Guiana) e l'isola di Curaçao. Anche la colonia olandese costituitasi presso la foce del fiume Hudson col nome di Nuova Amsterdam ed in seguito allargatasi per l'annessione dei territori del Delaware, fu poi ceduta all'Inghilterra (nel 1667), che riuscì così ad eliminare un pericoloso cuneo tra le colonie britanniche del sud e del nord nell'America settentrionale.
La caratteristica fondamentale del traffico marittimo olandese consisteva soprattutto nel fatto che esso era commercio di commissione: esso traeva larghi profitti dal basso costo dei noli, grazie ad un sistema di assicurazioni, alla perfezione dei mezzi nautici ed alla possibilità di disporre di un'amplissima e ben distribuita rete di scali marittimi che andavano dall'una all'altra costa dell'Atlantico, toccando il Mediterraneo con Smirne e i mari orientali con Batavia; scali che consentivano a questi «carrettieri del mare» di compiere ininterrotti viaggi sempre a carico completo. I capitali ricavati dal commercio marittimo olandese affluivano soprattutto ad Amsterdam, divenuta la metropoli del capitalismo europeo e dotata di una solidissima Banca internazionale (1609) che usava il fiorino come moneta di scambio.
La fortuna delle Provincie Unite era dovuta per altro non soltanto all'intraprendenza dei suoi abitanti, ma anche alla particolare situazione geografica, che ne faceva un nodo di comunicazione tra il Nord europeo, l'Inghilterra, la Germania e la Francia; al temporaneo disinteresse dell'Inghilterra degli Stuart per i problemi marittimi coloniali, al duello franco-spagnolo che aveva rovinato le Fiandre e il porto d'Anversa e infine al rialzo generale dei prezzi, che permetteva di ricavare larghi guadagni dai noli marittimi. La congiuntura favorevole, tuttavia, non avrebbe potuto durare a lungo: già la politica protezionistica di Cromwell costituì un colpo gravissimo per il commercio di commissione olandese, poi sopravvennero l'invasione delle truppe francesi di Luigi XIV e l'ascesa commerciale e industriale della Francia e dell'Inghilterra, stati ben più popolati e più ricchi di risorse naturali dei piccoli Paesi Bassi.

 

 

 

l'epoca di luigi XIV

 

 

 

L'avvento al trono del Re Sole

 

Nella seconda metà del secolo XVII il Regno di Francia assurse ad una posizione egemonica per la politica di espansione attuata da Luigi XIV; tale politica portò, alla fine del secolo, alla formazione di una coalizione avversa composta da gran parte degli Stati europei, che riuscì a prevalere sulla Francia creando in Europa una situazione di equilibrio.
La posizione di primato politico-militare ottenuta dalla Francia negli ultimi decenni del '600 fu il risultato di una serie di provvedimenti attuati da Luigi XIV e dai suoi collaboratori che resero possibile l'utilizzazione estrema, ai fini della guerra, di tutte le risorse economiche e morali della nazione francese; essa, tuttavia, fu favorita da una particolare situazione internazionale per cui si ebbero contemporaneamente il declino della monarchia spagnola, la momentanea paralisi della Casa d'Austria, fortemente impegnata in Oriente nella difesa dei propri Stati contro la rinnovata minaccia turca, e infine la rinuncia temporanea da parte dei sovrani d'Inghilterra ad una politica attiva sul continente.

 

Luigi XIV, chiamato le Roi Soleil (Il Re Sole) per la potenza e lo splendore del suo regno, aveva ereditato il trono alla morte del padre Luigi XIII nel 1643, ma assunse di fatto il potere solo nel 1661, dopo la scomparsa del cardinale Mazzarino.
Giovane di 23 anni, aveva un'elevata coscienza della sua funzione di monarca, che non intendeva abdicare in favore di nessuno, né dei ministri, considerati come semplici strumenti della Corona e pubblici funzionari, né di alcuna rappresentanza del popolo o dell'aristocrazia. Dei suoi atti di sovrano doveva rispondere solo a Dio attraverso la propria coscienza, poiché era re per diritto divino e tutto lo Stato gli apparteneva: territorio, sudditi, risorse economiche, esercito e clero.
Luigi XIV realizzò una forma di monarchia assoluta che fu presa come modello da altri sovrani dell'Europa secentesca, in un'età in cui il senso dell'autorità e della tradizione prevaleva sulle libertà degli individui e delle istituzioni.
Assumendo il governo della Francia, Luigi XIV trovò nel paese, dopo i turbamenti interni della Fronda e le rovine della guerra, un intenso bisogno di ordine e di pace che disponeva la popolazione all'obbedienza completa. Anche la nobiltà, fiaccata moralmente e impoverita, sembrava disposta a rinunciare alla propria secolare indipendenza in cambio di un reddito sicuro o di una onorifica carica di corte, mentre il ceto borghese era ansioso di acquistare, al servizio della monarchia, terre ed uffici pubblici, elevandosi a quella nobiltà di toga che andava sostituendo la nobiltà di sangue.
Complessivamente lo Stato francese contava circa diciannove milioni di abitanti e si era di recente allargato con l'inclusione di parte dell'Alsazia (1648), dell'Artois, del Rossiglione e della Cerdagna (1659). Svigorita ormai l'opposizione aristocratica, era possibile superare anche gli eventuali ostacoli frapposti dai Parlamenti cittadini, corti competenti nel campo della giustizia, che talvolta, come il Parlamento di Parigi, potevano opporsi alla registrazione degli editti regi. Nelle provincie, senza sopprimere del tutto l'autonomia delle città, delle corporazioni artigiane e le immunità e i privilegi feudali, il sovrano poteva esercitare un governo diretto attraverso i suoi funzionari dei Bureaux des finances, incaricati della riscossione delle imposte, le cui competenze potevano essere accresciute ed estese al campo giuridico; inoltre esisteva già un diritto tradizionale del sovrano di emanare ordinanze generali ed editti specifici, con effetti di legge, e persino di ottenere l'imprigionamento arbitrario di sudditi con le lettres de cachet.
L'opera di Luigi XIV non fu che la sistemazione di un assetto politico e sociale già in parte realizzato dall'opera unificatrice e centralizzatrice del Richelieu e del Mazzarino. Ciò che costituì il carattere peculiare dell'attività del Re Sole fu la sua capacità di raccogliere e concentrare le diverse forze materiali e morali della Francia per sottometterle ad un'unica volontà e dirigerle ad un unico fine di potenza.

 

 

 

Luigi XIV: strumenti del suo potere

 

 

La monarchia assoluta di Luigi XIV

 

Luigi XIV si servì nel suo governo dell'aiuto di alcuni ministri tratti generalmente dalla classe borghese e sopra tutto di Giovan Battista Colbert, che tenne la carica di Controllore generale delle finanze dal 1665 alla morte nel 1683, ma che si interessò di moltissime altre attività riguardanti lo sviluppo interno del paese, la sua economia e le colonie.
Diversamente però da quanto era accaduto al tempo del Richelieu e del Mazzarino questi ministri rimasero sempre e soltanto strumenti nelle mani del sovrano, che non si lasciò sopraffare dalla loro personalità neppure durante i primi anni di regno.
Con una serie di ordinanze emanate da Luigi XIV d'intesa con il Colbert fu attuata una maggiore uniformità nella legislazione dello Stato francese, imponendo la superiorità del diritto regio — ossia del diritto statale secondo il motto attribuito a Luigi stesso: l'état c'est moi — sui diritti feudali e cittadini. Tali ordinanze, particolarmente frequenti dal 1666 al 1681, riguardarono la procedura giudiziaria, che fu semplificata, il funzionamento della giustizia feudale, gli istituti di istruzione, il commercio, la marina mercantile e il patrimonio dello Stato, particolarmente quello forestale, che fu difeso dalle devastazioni compiute allo scopo di ottenere combustibile per le fonderie. Le disposizioni regie miravano a rendere uniforme la condizione dei sudditi di fronte al re senza tuttavia intaccarne la divisione in classi e senza mutare la distribuzione dei beni terrieri o dei capitali mobili.
La realizzazione di queste misure fu possibile per l'opera degli Intendenti, funzionari nominati e stipendiati dal re che agivano nelle più lontane province, curando l'esecuzione dei decreti governativi; la carica di intendente assunse col passare degli anni sempre maggiore importanza ed un significato politico più accentuato: ad essi venne affidato il controllo delle amministrazioni municipali e la vigilanza sui parlamenti, sugli ospizi, le corti di giustizia, le scuole ed anche il clero delle parrocchie. In tal modo sia i governatori di provincia (che provenivano dal ceto nobiliare, mentre gli intendenti erano dei borghesi) sia le assemblee o «Stati provinciali» furono in gran parte esautorati a vantaggio del potere regio.
La nobiltà francese, privata di ogni carica di governo, venne perdendo la sua funzione e fu abilmente indotta da Luigi XIV a divenire una semplice nobiltà cortigiana, aristocrazia servile ed adulatrice che riempì di eleganza e di frivolezze le splendide sale del Palazzo reale di Versailles. Restavano ancora ai nobili le cariche maggiori dell'esercito, ma esse erano assegnate direttamente dal re ed assoggettate ad una severa disciplina militare.

 

Di importanza forse maggiore fu l'attuazione di riforme organiche nel campo economico-finanziario, in cui maggiormente si sentì l'impronta personale del Colbert. Il Controllore generale, infatti, volle instaurare in Francia un sistema economico mercantilistico inteso a proteggere e a sviluppare al massimo le industrie francesi, col frapporre ostacoli doganali all'importazione di manufatti stranieri e col favorire invece l'afflusso di materie prime. Sorsero manifatture nuove sovvenzionate o costituite direttamente dallo Stato, che permisero lo sfruttamento più intenso della mano d'opera francese ed accolsero anche la mano d'opera specializzata proveniente dall'estero e attratta da condizioni di lavoro particolarmente favorevoli. Ad altre industrie furono concessi premi di fabbricazione ed esenzioni fiscali così da ottenere un incremento considerevole nella produzione di manufatti, specialmente in determinati campi come le stoffe di lusso di Sedan, le tappezzerie delle manifatture Gobelin, le seterie di Tours e di Lione, i pizzi di Chantilly e i saponi di Marsiglia e di Parigi.

 

Nei possedimenti coloniali Colbert cercò le materie prime adatte allo sviluppo delle industrie francesi: zucchero di canna, tabacco e legni pregiati e più tardi anche cotone; a loro volta le colonie potevano diventare ottimi mercati dei manufatti nazionali, particolarmente dei tessuti e dei vini.
Sorsero così e furono rafforzate le compagnie commerciali marittime, tra cui principalmente la Compagnia delle Indie Orientali (1664), che pose depositi e uffici a Pondichery (1674) e a Chandernagore (1686) sulla costa orientale dell'India, la Compagnia del Senegal, che tenne per qualche tempo il monopolio della tratta dei neri, e la Compagnia del Levante, che diresse i suoi traffici nel Mediterraneo facendo concorrenza a Venezia ed alle altre città italiane nel commercio con il Marocco e con la Turchia.

 

La Francia attuò pure una larga politica di espansione in America.
Nel 1665 i Francesi si stabilirono a San Domingo ed in altre isole delle Antille, dove svilupparono le piantagioni di canna da zucchero; nell'America settentrionale le terre costituenti la Nuova Francia, cioè il Canadà, l'isola di Terranova e l'Acadia, presso Capo Breton, divennero possesso diretto della Corona (1663) e vi affluirono coloni e soldati francesi, che oltre ad aumentare la popolazione delle già esistenti città di Montreal e Quebec penetrarono sempre più verso l'interno e nella zona dei Grandi Laghi, giungendo a stabilire un presidio militare a Detroit. Di lì alcuni audaci mercanti o missionari scesero lungo il Mississippi fino al mare, che fu raggiunto la prima volta nel 1682 da un mercante di Rouen, Cavelier de La Salle. Così si venne costituendo una nuova colonia francese, la Luisiana, che si estendeva alle spalle delle colonie anglosassoni, ad occidente dei monti Allégani.

 

Poiché, tuttavia, il regime assolutistico imposto dalla Francia di Luigi XIV e l'economia protezionistica del Colbert erano stati attuati in funzione di una larga politica di espansione e di primato in Europa, ingenti somme e cure particolari furono dedicate dal governo francese alla costituzione di un esercito che fosse uno strumento formidabile di conquista.

 

Le riforme militari furono attuate sopra tutto dal Marchesé di Louvois, che curò il riordinamento dei quadri degli ufficiali, l'introduzione di una più severa disciplina militare e l'adozione di armi e uniformi regolari.
L'esercito era reclutato secondo il sistema tradizionale dagli ingaggiatori, che percorrevano le provincie raccogliendo soldati, ed era composto in gran parte di francesi, salvo pochi mercenari svizzeri. Solo più tardi (1688), per le crescenti esigenze belliche, fu introdotta una forma di coscrizione obbligatoria a sorteggio per la formazione di truppe di riserva.
L'armamento migliorò molto, specialmente durante la Guerra di Successione spagnola: fu in questo periodo che, come negli altri più efficienti eserciti europei, furono adottate carabine rigate per la cavalleria e fucili relativamente maneggevoli con la baionetta innestata, in luogo dei vecchi archibugi, per la fanteria.
Negli anni di maggiore impegno l'esercito di Luigi XIV raggiunse i 230.000 uomini, sostenuti da una poderosa artiglieria; lo comandarono abili generali come il Turenne, il Vauban e il Vendóme.

 

 

 

La politica religiosa di Luigi XIV

 

La politica religiosa

 

Per interesse politico più che per zelo religioso Luigi XIV difese in Francia l'ortodossia cattolica cercando di realizzare l'unità religiosa del suo popolo come base e fondamento dell'unità dello Stato; perciò contrastò in ogni modo l'esistenza e l'attività dei gruppi anticattolici, specialmente degli Ugonotti.
Questi avevano potuto fino allora praticare con una certa libertà il culto calvinista secondo la concessione fatta da Enrico IV nel 1598 con l'Editto di Nantes; sotto il regime di Luigi XIV, però, ciò non fu più possibile e il calvinismo francese, dapprima ostacolato con ogni mezzo legale, fu infine espressamente proibito con la revoca dell'Editto di Nantes (1685) e l'ordine di demolizione delle chiese riformate.

 

Gli Ugonotti francesi, che erano alcune centinaia di migliaia, abbandonarono allora in gran numero il paese rifugiandosi in Olanda, in America e nel Brandeburgo, dove portarono il contributo prezioso della loro abilità tecnica e artigiana.

 

Il re intervenne anche in una contesa di ordine teologico sorta tra i Gesuiti e i Giansenisti, i fautori delle teorie morali e teologiche dì Giansenio, vescovo di Ypres nelle Fiandre (1585-1638).
Giansenio propugnava l'osservanza di una morale austera, assai più rigida di quella insegnata dai Gesuiti; nel complesso essi tendevano a diminuire l'importanza dell'alta gerarchia ecclesiastica (vescovi e papa) nei confronti dei semplici fedeli e del basso clero, e a diffondere l'uso di una liturgia più semplice, basata sulla lingua francese.
Questa dottrina si era rapidamente diffusa in Francia, trovando seguito nel convento femminile di Port-Royal, presso Parigi, ed ottenendo l'approvazione di moralisti e scrittori come il poeta Jean Racine e il filosofo Blaise Pascal.
Il re, in parte per le pressioni del confessore, il gesuita La Chaise, ma sopra tutto per non perdere l'appoggio dell'episcopato francese, adducendo la ragione che le teorie giansenistiche si avvicinavano molto a quelle dei protestanti, ordinò la soppressione del Convento di Port-Royal (1710) ed ottenne la condanna del giansenismo con la bolla Unigenitus (1713) di papa Clemente XI. La bolla sanzionò anche i buoni rapporti che si erano venuti a stabilire fra Luigi XIV e la Santa Sede negli ultimi anni del regno, laddove in precedenza erano sorti gravi contrasti a causa delle tendenze gallicane del clero francese, che avevano trovato una condizione favorevole nell'assolutismo del monarca.
Gli interventi di Luigi XIV nelle questioni ecclesiastiche, infatti, non si limitavano al campo puramente temporale, quale poteva essere quello della rendita dei benefici vacanti, ma si estendevano anche al campo spirituale con la nomina dei vescovi e dei superiori dei conventi. In cambio egli assicurava al cattolicesimo francese protezione contro l'eresia e favorevoli condizioni per la diffusione delle pratiche religiose.
Questa politica trovò un'accoglienza favorevole in alcuni esponenti dell'episcopato francese che, raccolti in una assemblea a Parigi, formularono una Dichiarazione affermante l'indipendenza del re in materia temporale, la superiorità del Concilio sul pontefice e la legittimità delle tradizioni religiose gallicane.
Il pontefice comasco Innocenzo XI (papa Odescalchi, 1676-89), energico assertore dei secolari diritti del Papato, reagì prontamente e colpì con le opportune censure canoniche i prelati partecipanti all'assemblea. Luigi XIV, per rappresaglia, fece allora invadere il territorio e la città di Avignone, appartenente alla Santa Sede (1688). In seguito però, nel 1693, fu indotto ad abbandonare le terre occupate e accordarsi col pontefice Innocenzo XII (1691-1700), rinunciando alle cosiddette «regalie spirituali» (nomina dei vescovi ed abati), accordandosi su quelle «temporali» (redditi dei benefici vacanti) e respingendo la Dichiarazione dei vescovi gallicani.
Il miglioramento dei rapporti tra Versailles e Roma era dovuto in gran parte al fatto che il re francese si trovava impegnato nella Guerra della Lega di Augusta (1689-97) contro una coalizione di stati diretti da due potenze protestanti (Inghilterra e Olanda) ed aveva quindi un forte interesse ad avviare relazioni più amichevoli con il capo del cattolicesimo europeo.

 

 

 

La politica espansionistica

 

 

La politica espansionistica

 

Le riforme politiche ed economiche introdotte da Luigi XIV in Francia per realizzare la prosperità economica e l'unità dello Stato, costituivano l'indispensabile preparazione ad una politica di espansione nell'Europa occidentale.
L'assetto politico dell'Europa, del resto, favoriva i disegni del re Sole:
 - il trattato di Wesfalia (1648), infatti, aveva tolto ogni possibilità al Sacro Romano Impero di ricostituirsi come organismo unitario, lasciando via libera alla penetrazione francese nei territori del sud e dell'ovest (Palatinato e Baviera soprattutto);
 - il trattato dei Pirenei (1659), per l'unione matrimoniale di Luigi XIV con l'infanta di Spagna, offriva la possibilità di una fusione parziale o totale dei due regni;
 - il trattato di Oliva (1660) manteneva nel Nord dell'Europa il primato della Svezia, alleata tradizionale della Francia.
Il giovane Luigi XIV, di temperamento audace ed ambizioso, non intendeva perdere alcuna occasione per affermare la preminenza europea della Francia conquistando quanti più territori fosse possibile in direzione del Reno, sia dalla parte delle Fiandre spagnole sia verso la Germania.

 

In complesso, le guerre combattute da Luigi XIV furono:
 - la Guerra di Devoluzione (1667-1668)  —>  pace di Aquisgrana (Aix-la-Chapelle);
 - la Guerra di Olanda (1672-1678)  —>  pace di Nimega;
 - la Guerra della Lega di Augusta (1686-1697)  —>  pace di Ryswick;
 - la Guerra di Successione spagnola (1702-1714)  —>  paci di Utrecht e di Rastadt.

 

luigi

 

La Francia di Luigi XIV

 

Non mancando di accortezza, prima di intraprendere la guerra si assicurò l'amicizia dell'Inghilterra riottenendo da Carlo II Stuart, per una grossa somma, la base di Dunquerque (1662). La Francia strinse inoltre legami di alleanza con la Polonia e si assicurò l'appoggio dei principi tedeschi dell'ovest, che costituivano una Lega renana (sorta nel 1658 grazie all'abilità diplomatica del cardinale Mazzarino, che in tal modo aveva creato per la Francia un punto di appoggio al di là del Reno). Ma questa alleanza germanica presto fu perduta e alla Francia non rimase che l'appoggio del duca elettore di Baviera e di alcuni principi vescovi (di Colonia, di Münster), mentre si andava formando, ad iniziativa delle Dieta imperiale di Ratisbona, un fronte antifrancese inteso a salvare l'integrità territoriale dei paesi tedeschi dalle mire di conquista, ormai evidenti, di Luigi XIV. Questo peggioramento dei rapporti tra la monarchia francese ed i principi tedeschi della zona renana costituì una delle ragioni per cui . le grandi offensive militari di Luigi XIV raggiunsero solo in parte i risultati che il re si era prefisso.

 

 

 

La guerra di devoluzione e la guerra d'Olanda

 

 

La Guerra di Devoluzione (1867-68)
Il primo conflitto scoppiò quando Filippo IV di Spagna, morendo, lasciò come erede un fanciullo natogli dal secondo matrimonio, Carlo II (1665-1700); l'infanta Maria Teresa, andata sposa a Luigi XIV nel 1660, era nata invece da una prima unione.
Il re di Francia approfittò subito di questa circostanza per avanzare diritti sui Paesi Bassi spagnoli (Fiandre, Hainaut, Brabante, Limburgo) appellandosi ad una norma del diritto privato del Brabante, detta diritto di devoluzione, per cui i figli del primo matrimonio avevano la precedenza, nell'eredità, sui figli anche maschi dei matrimoni successivi. Ne nacque la cosiddetta Guerra di Devoluzione (1667-1668).
I Francesi attaccarono subito nei Paesi Bassi occupando alcune località strategiche (Lilla, Charleroi, Douai) e ad ovest invasero la Franca Contea. Mentre l'imperatore si manteneva neutrale, Inghilterra, Olanda e Svezia si allearono per arrestare l'avanzata francese (Prima Lega dell'Aia, 1668).
La Repubblica delle Provincie Unite, rimasta alleata della Francia durante la prima metà del secolo finché aveva dovuto lottare contro la dominazione spagnola, considerava ora con crescente ostilità un allargamento del territorio francese verso i propri confini; così, dopo una seconda guerra navale con l'Inghilterra (1665-67) conclusasi con la Pace di Breda, si fece promotrice di un'alleanza antifrancese: i rapporti tra le due potenze marittime, Olanda e Inghilterra, si erano ormai stabilizzati con l'accettazione e il riconoscimento della superiorità navale e dell'autonomia commerciale britannica, mentre di fronte ad entrambi gli stati si profilava minacciosa l'avanzata francese lungo la Manica.
Con la rottura dell'alleanza franco-olandese e la resistenza tenace, e talora disperata, opposta all'espansione francese dalla popolazione delle Provincie Unite sorse un altro formidabile ostacolo all'attuazione dei disegni imperialistici di Luigi XIV. La Guerra di Devoluzione si concluse rapidamente con la Pace di Aix-la-Chapelle (Aquisgrana) nel 1668: Luigi XIV dovette accontentarsi dell'annessione di alcune località delle Fiandre, tra cui Lilla.
Alla guerra seguirono poi vicendevoli rappresaglie economiche tra Francia e Provincie Unite con l'imposizione da parte del Colbert di elevate tariffe doganali sul commercio di importazione dall'Olanda e col rifiuto da parte olandese di commerciare i prodotti provenienti dalla Francia, principalmente sale e vini.

 

La guerra di Olanda (1672-78)
Non trascorse molto tempo che una nuova guerra di aggressione fu intrapresa da Luigi XIV e questa volta direttamente contro la Repubblica delle Provincie Unite (Guerra d'Olanda, 1672-78).
Il re di Francia era riuscito a trarre dalla sua parte Carlo II Stuart (Trattato segreto di Dover, 1670) e così le Provincie Unite si trovarono, all'inizio delle ostilità, quasi isolate di fronte all'attacco francese. L'esercito organizzato dal Louvois ottenne subito brillanti successi: il Reno fu superato presso la foce e gran parte del territorio della Repubblica invaso (1672).
L'invasione straniera provocò un mutamento decisivo nel regime interno delle Provincie Unite: il governo del De Witt cadde ed i poteri civili e militari furono affidati allo statholder Guglielmo III d'Orange, che ricostituì le forze armate e indusse la popolazione ad abbattere le dighe che difendevano i terreni, faticosamente strappati al mare, pur di arrestare, con l'allagamento di vaste campagne, l'avanzata francese.
Nel frattempo si era venuta formando una nuova coalizione antifrancese costituita da Spagna, Impero, Brandeburgo e Danimarca. Alleata della Francia rimase invece la Svezia, mentre l'Inghilterra usciva dal conflitto concludendo una pace separata (1674).
La guerra era ormai divenuta europea, benché gli epicentri rimanessero le valli del Reno, della Mosa e della Saar, e i Francesi, postisi sulla difensiva nei Paesi Bassi, avanzarono rapidamente, condotti dal Turenne, nella Franca Contea e penetrarono in Germania vincendo a Salzbach (1675), dove il Turenne cadde combattendo.
La guerra si svolse anche sul mare e mentre nell'Atlantico la superiorità navale olandese poté imporsi, nel Mediterraneo la flotta francese ottenne notevoli successi presso le isole Lipari ed accolse sotto la sua protezione la città di Messina, ribellatasi agli Spagnoli nel 1674.
Nel Nord, invece, l'elettore del Brandeburgo otteneva contro gli Svedesi la schiacciante vittoria di Fehrbellin (1675), che costituì per tutta l'Europa una dimostrazione della potenza e dell'efficienza raggiunte dall'esercito del Brandeburgo nel volgere di pochi decenni.
Dopo queste vicende, ovunque, non risolutive, si avviarono trattative di pace, concluse a Nimega nel 1678-79: l'Olanda, che aveva salvato la propria indipendenza e l'integrità del suo territorio, ottenne dai Francesi l'abolizione parziale delle tariffe protezionistiche del Colbert; la Francia conservò gran parte dei territori occupati durante la guerra nei Paesi Bassi spagnoli ed ottenne dalla Spagna la cessione dell'intera Franca Contea. Nel Nord, invece, cessate le ostilità, tra Svezia e Danimarca-Brandeburgo, dopo un fallito tentativo danese di invadere la Scania, venne ristabilita la situazione precedente.

 

 

 

La guerra della Lega di Augusta e la guerra di Successione spagnola; i trattati di Utrecht e di Rastadt

 

 

La guerra della Lega d'Augusta (1686-97)
L'avvento al trono inglese di un sovrano protestante mutò considerevolmente il rapporto delle forze sul continente a danno dei disegni imperialistici di Luigi XIV e costituì un nuovo fattore atto ad impedirne la realizzazione.
Il Re Sole, pur essendo soddisfatto dei risultati raggiunti a Nimega (1679), trovò nuovi pretesti giuridici per conseguire altri allargamenti territoriali in direzione del Reno. Così, traendo motivo dalle genericità della formula con cui nel trattato di Westfalia si era sancita la sovranità parziale della Francia sulle città e i territori alsaziani, nel 1681 fece attaccare e occupare il Vescovato di Strasburgo e nel 1684 fece invadere il Lussemburgo. Per giustificare queste occupazioni di territori imperiali e per prepararne altre, Luigi XIV istituì apposite Camere di riunione, formate da giuristi che avevano il compito di identificare le città e i territori aventi carattere di dipendenze feudali dalle regioni annesse coi trattati precedenti (ad es. la Franca Contea), affinché si potesse procedere, mantenendo una forma di legalità, alla loro inclusione nel territorio francese.
Un importante acquisto fu ottenuto anche in Italia, dove il duca di Mantova vendette a Luigi XIV la piazzaforte di Casale Monferrato, posizione chiave della regione subalpina (1681). D'altra parte la città di Genova, ancora legata da rapporti di amicizia con la Spagna, fu sottoposta ad un bombardamento di alcuni giorni finché fu costretta a fare atto di sottomissione, rinunciando a costruire navi per gli Spagnoli (1684).
Mentre Luigi XIV compiva questi atti di aggressione e di violenza, di fronte ad una Europa inquieta e impotente, l'imperatore Leopoldo d'Asburgo si trovava impegnato contro i Turchi, che erano giunti a cingere d'assedio la città di Vienna. Solo l'intervento del valoroso re Giovanni Sobieski di Polonia rese possibile la liberazione della città, dopo una schiacciante vittoria cristiana ottenuta nella battaglia di Vienna (1683).
In seguito ebbe inizio la ritirata delle forze musulmane che abbandonarono anche la città di Budapest e quasi tutto il territorio dell'Ungheria e della Transilvania (1686).
Questi fortunati avvenimenti militari liberarono la monarchia asburgica dall'ossessione del pericolo turco e permisero all'imperatore Leopoldo di dare tutto il suo contributo alla coalizione antifrancese che si costituì allora ad Augusta (Lega di Augusta, 1686). Venne a cessare, in tal modo, l'altra delle circostanze (quella della pressione turca in Oriente) che avevano favorito le mire espansionistiche della Francia.
Alla coalizione aderirono oltre all'imperatore, l'Olanda, la Spagna, i principi della Germania renana, il duca di Baviera e il duca Vittorio Amedeo II di Savoia; quando poi ebbero inizio le ostilità, a capo dell'alleanza fu scelto Guglielmo d'Orange, divenuto da poco sovrano d'Inghilterra.
Si svolse subito un'efficace azione militare che paralizzò in parte la forza d'urto dell'esercito francese, portato al massimo dei suoi effettivi con arruolamenti obbligatori, ma si ebbero successi da ambo le parti, perché Guglielmo III, alla testa di un esercito anglo-olandese, fu in grado di arrestare le colonne francesi che avanzavano lungo la Mosa, mentre in Spagna gli alleati persero la città di Barcellona ed in Piemonte Vittorio Amedeo di Savoia dovette accettare una pace separata col re di Francia (Trattato di Pinerolo, 1696).
Il conflitto terminò infine per l'esaurirsi delle forze dei contendenti senza che ci fosse un vero vincitore e con la Pace di Ryswick (1697) la Francia acconsentì alla restituzione dei territori annessi dopo Nimega, salvo Strasburgo che essa conservò; Guglielmo III d'Orange fu riconosciuto re d'Inghilterra da Luigi XIV, che abbandonò la causa degli Stuart, e le Provincie Unite fruirono di larghi vantaggi nel commercio con la Francia.
Luigi XIV, poi, che di recente si era pacificato con il papa, richiese però, ed ottenne, garanzie di libertà per i cattolici dei territori restituiti all'Impero.

 

La guerra di Successione spagnola (1702-14)
Una delle ragioni più forti che avevano spinto i belligeranti a concludere la pace di Ryswick era stata, oltre l'esaurimento delle forze in campo, la prevista estinzione del ramo della Casa d'Asburgo regnante in Spagna, per cui Luigi XIV, l'imperatore ed altri sovrani europei si prospettavano la possibilità di una proficua spartizione dei territori spagnoli, madrepatria e terre annesse, anche nelle colonie.
Il declino della monarchia spagnola nella seconda metà del Seicento era chiaro: con la pace dei Pirenei (1659) erano stati perduti l'Artois, il Rossiglione e la Cerdagna, e nelle guerre seguenti anche la Franca Contea e una decina di città delle Fiandre e del Brabante erano state cedute ai Francesi; si era spezzata l'unione, peraltro precaria, con il Regno del Portogallo, cui si era dovuto riconoscere l'indipendenza (1668), mentre aveva resistito nel suo complesso l'impero coloniale, il Messico, il Venezuela, il Perù e le principali isole del Mar dei Caraibi, salvo la Giamaica, conquistata dagli Inglesi nel 1655, e parte di S. Domingo, occupata dai Francesi nel 1665. Restavano ancora spagnole le Canarie nell'Atlantico, la base di Ceuta sulla costa del Marocco e l'arcipelago delle Filippine nell'Oceano Pacifico.
La debolezza della Spagna era sopra tutto dovuta all'esaurimento della capacità di governo dei suoi sovrani, al peso di una burocrazia indolente e venale e all'insufficienza di una economia basata quasi esclusivamente sull'apporto delle colonie. Anche l'esercito, il primo in Europa fino alla sconfitta di Rocroi (1643), era ormai in gran parte composto di mercenari mal pagati e male equipaggiati.
Dal 1665 regnava sul trono di Spagna Carlo II, sovrano malato e privo di discendenza diretta; si prospettava quindi la fine prossima di questo ramo spagnolo degli Asburgo e molti erano i candidati all'eredità:
 - Filippo di Borbone duca d'Angiò, di cui sosteneva le aspirazioni lo zio Luigi XIV, che considerava nulla la rinuncia ai diritti di successione sul trono si Spagna fatta dalla moglie Maria Teresa (sorella di Carlo II) all'atto del matrimonio, in quanto non era stata interamente pagata la dote che tale rinuncia condizionava;
 - l'arciduca Carlo, i cui diritti erano difesi dal padre, l'imperatore Leopoldo II d'Asburgo (di cui era secondogenito), che pure aveva sposata una sorella di Carlo II, Margherita Teresa;
 - il duca Vittorio Amedeo II di Savoia;
 - l'elettore Massimiliano Emanuele di Baviera.
Era poi inevitabile che, data l'ampiezza e la ricchezza dei possedimenti coloniali spagnoli, anche l'Olanda e l'Inghilterra intervenissero in questa contesa per la successione.
Già un piano di spartizione era stato concertato tra il Re Sole ed altre potenze europee, per cui la corona spagnola sarebbe toccata ad un principe di Baviera, mentre alla Francia sarebbero stati assicurati larghi vantaggi territoriali specialmente in Italia (1698).
Invece, nel novembre del 1700, Carlo II di Spagna morendo lasciò un testamento in cui proibiva la spartizione dei suoi Stati e lasciava unico erede Filippo di Borbone duca d'Angiò. Il testamento fu accettato e Filippo V poté insediarsi a Madrid, ma, avendo il re di Francia manifestato il proposito di assumere direttamente il governo dei territori rimasti a formare i Paesi Bassi spagnoli ed eventualmente di impadronirsi anche del monopolio commerciale con le colonie d'oltreoceano, si formò una grande coalizione europea (Seconda Alleanza dell'Aia, 1701) con l'adesione dell'Inghilterra, delle Provincie Unite, della Dieta imperiale, dell'imperatore e dell'elettore del Brandeburgo, diretta ad impedire che Francia e Spagna formassero, sotto principi della medesima Casa di Borbone, e forse anche in seguito, sotto un unico sovrano, un blocco compatto e strapotente in Europa.
I sovrani della coalizione antiborbonica si accordarono quindi per sostenere i diritti dell'arciduca Carlo al trono di Spagna.
Dalla parte di Luigi XIV, invece, si schierarono l'elettore Massimiliano Emanuele di Baviera, l'arcivescovo di Colonia e per qualche tempo (dal 1701 al 1703) il duca di Savoia, Vittorio Amedeo II.
Il conflitto ebbe inizio nel 1702, pochi mesi dopo che era morto Guglielmo III d'Inghilterra, promotore della coalizione; ciò, però, non mutò lo schieramento delle forze alleate perché la successione al trono inglese era già stata fissata in precedenza a favore di Anna, principessa protestante figlia di Giacomo II, con la definitiva esclusione dal trono del ramo cattolico degli Stuart.
La regina Anna (l702-14) proseguì con impegno nella guerra, affidando il comando del corpo spedizione inglese a John Churchill duca di Marlborough, condottiero di grandi capacità militari.
Nei primi anni (1702-1706) la Francia ebbe l'iniziativa militare: i suoi eserciti attaccarono nei Paesi Bassi, occupando alcune piazzeforti olandesi di sicurezza dette La Barriera, e svolsero una manovra a tenaglia in direzione di Vienna, con l'invio di un corpo d'armata al comando del maresciallo di Villars nella Germania meridionale, d'intesa con i Bavaresi, e di un altro comandato dal duca di Vendóme nella pianura padana. Ma la vittoria degli Imperiali ed Inglesi a Blenheim (1704) e quella degli Anglo-olandesi a Ramillies (1706) arrestarono le puntate offensive dei Francesi sia in Baviera che nel Belgio, costringendo gli invasori ad abbandonare gran parte del territorio conquistato.
Nel frattempo la flotta inglese occupava la rocca di Gibilterra (1704), chiave delle comunicazioni tra l'Atlantico e il Mediterraneo, e grazie all'alleanza col Portogallo (Trattato di Methuen, 1703) l'Inghilterra poteva creare un terzo fronte nella stessa Penisola iberica, inviando un corpo di spedizione fin nei pressi di Madrid.
Anche in Italia la guerra assunse un aspetto sfavorevole ai Francesi, in quanto l'esercito di Vittorio Amedeo II, abbandonato Luigi XIV e unitosi agli Imperiali del principe Eugenio di Savoia-Soissons, riportò, dopo l'insuccesso di Cassano d'Adda (1705), una decisiva vittoria nella Battaglia di Torino (sett. 1706).
Così ormai da ogni parte gli eserciti alleati convergevano sulla Francia. Lo stesso territorio nazionale francese era minacciato direttamente di invasione; il paese era stremato, l'agricoltura soffriva per mancanza di contadini, arruolati nei corpi ausiliari dell'esercito, il commercio europeo era completamente paralizzato e il governo dovette ricorrere ad aggravi fiscali e a sempre nuovi espedienti per far fronte alla situazione; e cominciavano anche a manifestarsi alcune proteste contro l'assolutismo regio da parte di autorevoli scrittori, come il vescovo Fénelon e il duca di Saint-Simon.
Inutilmente Luigi XIV, ancora energico benché settantenne, aveva tentato di suscitare una controcoalizione facendo appello al re di Svezia Carlo XII, il quale però, dopo aver condotto una fortunata campagna in Polonia, si lasciò attrarre dall'idea di un attacco contro i Russi e subì una disastrosa sconfitta in Ucraina (1709).
Gli ultimi anni di guerra (1707-12) furono contrassegnati dalla resistenza dei Francesi sul loro stesso territorio; le vittorie del maresciallo di Villars (a Malplaquet, nel 1709, e poi non lontano dalla stessa Parigi) impedirono che la guerra si risolvesse per la Francia in un completo disastro.
Nel 1711, tuttavia, morì l'imperatore Giuseppe I (successo al padre Leopoldo nel 1705); erede del trono d'Austria e della corona imperiale era il fratello arciduca Carlo, quello stesso che gli alleati sostenevano come candidato al trono di Spagna; tale evento avrebbe creato le condizioni per l'unione dell'Impero con il Regno di Spagna (come ai tempi di Carlo V), il che avrebbe costituito per l'equilibrio europeo una minaccia non meno grave di quella della riunione di Francia e Spagna sotto l'unica dinastia dei Borboni.
L'Inghilterra, allora, per iniziativa del partito tory che aveva ottenuto la maggioranza in Parlamento nelle ultime elezioni, richiese subito accordi di pace, che vennero stipulati al congresso di Utrecht (1713) tra gli alleati (escluso l'imperatore) e la Francia, e in quello di Rastadt (1714) cui aderì anche l'imperatore Carlo VI.

 

I trattati di Utrecht e di Rastadt

 

In base ai due trattati di pace:
 - Filippo V di Borbone fu riconosciuto re di Spagna e delle Indie a condizione che rinunciasse ad ogni pretesa sul trono di Francia;
 - rinuncia simile nei confronti di un'altra eventuale successione spagnola fu richiesta a Luigi XIV in nome dei suoi eredi diretti;
 - la Repubblica delle Provincie Unite, che durante tutto il periodo della guerra era stata abilmente governata dal Gran Pensionario Heinsius, ottenne la sicurezza dagli attacchi francesi con la ricostituzione della serie di fortezze della Barriera;
 - all'elettore del Brandeburgo fu riconosciuto il titolo di re di Prussia (concessogli dall'imperatore nel 1701) e furono assegnati alcuni territori dell'Alta Gheldria spagnola;
 - il duca di Savoia Vittorio Amedeo II ottenne il titolo regio, collegato con l'acquisto della Sicilia, e l'annessione di Casale Monferrato e di altre terre piemontesi.
I due Stati che trassero i maggiori vantaggi dalla guerra di Successione spagnola furono: la Casa d'Austria, che ottenne l'annessione dei territori spagnoli in Italia (salvo la Sicilia) e nei Paesi Bassi, e l'Inghilterra che acquistò alcune basi francesi intorno alla baia di Hudson, l'Acadia e l'isola di Terranova, mantenne il possesso di Gibilterra e di Minorca, occupate durante la guerra, e ottenne il privilegio di inviare ogni anno una nave mercantile nelle colonie spagnole e di partecipare alla tratta degli schiavi neri.

 

Nel 1715 morì il Re Sole, lasciando lo Stato carico di debiti ed un passivo annuale tale che faceva prospettare il pericolo di una bancarotta.
La fine delle guerre imperialistiche di Luigi XIV vide l'Europa ormai orientata verso il mantenimento dell'equilibrio delle forze fra i diversi Stati; equilibrio di cui l'Inghilterra si faceva promotrice e garante.

 

Il Ducato di Savoia

 

Lo Stato italiano che trasse vantaggi territoriali cospicui dalle guerre europee della fine del '600 fu il Ducato di Savoia.

 

1714

 

L'Italia settentrionale dopo il 1714

 

Dopo la morte di Vittorio Amedeo I (1637) e il brevissimo periodo di governo del figlio Francesco Giacinto (1637-38), la corona passò a Carlo Emanuele II (1638-1675), che tuttavia per la sua giovane età rimase per una decina d'anni sotto la reggenza della madre, la duchessa Cristina di Francia, sorella di Luigi XIII e soprannominata Madama Reale. Fu un periodo di disordini e di contrasti interni a causa della lotta tra due partiti avversi, i «madamisti» sostenitori della duchessa, che godevano dell'appoggio del cardinale di Richelieu, ed i «principisti» favorevoli alla Spagna e capeggiati dal principe Tommaso di Savoia Carignano e dal cardinale Maurizio.
In complesso, però, la Francia, che possedeva dal 1631 la base di Pinerolo, fu in grado di esercitare una pesante protezione sul Ducato.
Una volta assunto direttamente il governo (1648), Carlo Emanuele II iniziò un'intensa opera di restaurazione e di consolidamento del Ducato, aumentando le fonti di entrata, rafforzando l'esercito con la costituzione del Corpo dei granatieri e provvedendo opportunamente al miglioramento delle condizioni del ceti meno abbienti (i cui mali venivano segnalati alla corte dal cosiddetto «Avvocato dei poveri» istituito da Amedeo VIII nel secolo XV).
La capitale, Torino, fu largamente abbellita e subì una vera trasformazione edilizia. Lo Stato rimase tuttavia caratterizzato da un largo frazionamento feudale e l'agricoltura continuò a costituire la principale risorsa economica.
Il figlio e successore Vittorio Amedeo II (1675-1730) rimase egli pure (fino al 1684) sotto la reggenza della madre Giovanna Battista di Nemours. Uscito di minorità, dovette dapprima accettare le imposizioni di Luigi XIV, che aveva acquistato anche la piazzaforte di Casale Monferrato dai Gonzaga (1681), ed assecondarlo nella lotta contro i calvinisti (l'Editto di Nantes era già stato revocato). Per questo il governo sabaudo infierì contro i Valdesi delle vallate alpine occidentali, che erano stati perseguitati anche da Carlo Emanuele II.
In seguito, tuttavia, il duca ebbe la possibilità di attuare una politica indipendente, giovandosi del contrasto tra il re di Francia e gli Asburgo durante la guerra della Lega di Augusta. Vittorio Amedeo II, non avendo ottenuto favorevoli condizioni di alleanza da Luigi XIV, si unì alla coalizione antifrancese; le ostilità non si svolsero però favorevolmente per i Piemontesi, che furono dapprima sconfitti a Staffarda presso Saluzzo nel 1690 dall'esercito del generale Catinat e solo più tardi poterono riprendere l'offensiva penetrando nel Delfinato (1692). Ma di nuovo i Francesi del Catinat, scendendo da Fenestrelle in direzione di Pinerolo, riportarono una importante vittoria contro l'esercito sabaudo nella battaglia campale della Marsaglia (1693). La caduta di Casale nel 1695 indusse Luigi XIV a scendere a patti con Vittorio Amedeo e a restituirgli, in cambio della sua neutralità, la città di Pinerolo; gli accordi furono conclusi con il Trattato di Pinerolo (1696), dopo di che, non avendo voluto gli alleati, almeno in un primo momento, riconoscere la neutralità del Ducato, Vittorio Amedeo unì le sue armi a quelle francesi attaccando il Milanese. Presto, però, la pace fu ristabilita in Italia (ott. 1696) e l'anno seguente anche in Europa col trattato di Ryswick.
Un nuovo e ancor più importante intervento del Ducato di Savoia nelle contese europee avvenne durante la Guerra di Successione spagnola.
La questione apertasi con la morte di Carlo II di Spagna (1700) interessava direttamente l'Italia, perché dalla sua soluzione dipendeva la sorte dei possessi spagnoli della Penisola. Per giunta, anche Vittorio Amedeo II aveva qualche diritto di successione da avanzare, discendendo dalla principessa spagnola Caterina, figlia di Filippo II e andata a sposa nel 1585 al duca Carlo Emanuele I; gli altri candidati, però, avevano sostenitori di maggior peso e il duca sabaudo dovette accontentarsi di conseguire qualche ingrandimento territoriale.
Le ostilità in Italia cominciarono nel 1701 ancor prima della dichiarazione ufficiale di guerra e Vittorio Amedeo II fu nei primi anni alleato con la Francia, che aveva inviato nella pianura padana un esercito. In seguito, però, Vittorio Amedeo  ruppe l'intesa con Luigi XIV e si accostò all'imperatore (1703) sperando di ottenere acquisti territoriali non solo nel Monferrato ma anche nella Francia orientale (Delfinato e Provenza). La situazione militare del ducato sabaudo, allora, divenne difficile, perché i francesi riuscirono a occupare le più importanti città della Savoia e del Piemonte e vincendo gli imperiali del principe Eugenio di Savoia-Soissons, disarmarono i reparti piemontesi ex alleati. In un secondo momento i francesi cinsero d'assedio Torino (1706), che resistette per quattro mesi. In quella circostanza Vittorio Amedeo II, rimasto all'esterno della città, attese l'arrivo dell'esercito del principe Eugenio con l'apporto del quale poté liberare la capitale allontanandone gli assedianti (Battaglia di Torino, 7 sett. 1706).

 

L'anno seguente le truppe austriache occuparono tutto lo Stato di Milano e la città di Mantova; poi, violando la neutralità dello Stato della Chiesa, avanzarono nel Regno di Napoli che conquistarono rapidamente. Coi trattati di pace di Utrecht (1713) e di Rastadt (1714) i domini italiani furono ceduti da Filippo V, riconosciuto re di Spagna, alla Casa d'Austria, che ebbe anche il Ducato di Mantova, tolto nel 1707 all'ultimo rappresentante dei Gonzaga, Ferdinando Carlo, a motivo della sua alleanza con la Francia. Vittorio Amedeo II ebbe, per la mediazione inglese, la Sicilia col titolo regio ed inoltre il territorio del Monferrato con Casale, la città di Alessandria, la Lomellina e la Valsesia. Dalla Francia fu ceduta ai Savoia la Valle di Fenestrelle sul versante italiano delle Alpi, in cambio di quella di Barcellonette, sul versante francese.

 

In tal modo, nei primi anni del secolo XVIII il dominio austriaco si sostituì a quello spagnolo nei maggiori Stati della Penisola e il nuovo Regno di Sicilia (presto mutato in Regno di Sardegna) assurse ad una posizione di prim'ordine nell'Italia settentrionale, poiché l'altro grande Stato italiano, la Repubblica di Venezia, tutta assorbita nei propri problemi marittimi e nella guerra antiturca, non aveva conseguito, data la sua neutralità, nessun vantaggio durante le recenti vicende belliche.