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CLASSE   IV   -   Sintesi di Storia (1)

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Terminologia storica


Carlo V: dall'incoronazione all'abdicazione. Il conflitto con la Francia e con i principi riformati

 

 

Carlo d'Asburgo

 

Nacque nel 1500 a Gand, uno dei maggiori centri dell'ex Stato borgognone, ove i genitori vissero per alcuni anni dopo che Massimiliano aveva affidato al figlio Filippo la cura di quei territori; il giovane principe crebbe nella più splendida corte europea.
Alla morte del padre (1504) la duchessa di Savoia Margherita d'Austria, sua zia, assunse la reggenza dei Paesi Bassi fino a quando non ne divenne signore Carlo, nel 1515, una volta raggiunta la maggiore età. L'anno successivo moriva anche Ferdinando d'Aragona, nonno materno, e Carlo acquisiva anche la corona di Spagna, trovandosi nelle mani un dominio molto esteso che comprendeva i Paesi Bassi, la Castiglia, l'Aragona e i territori spagnoli nell'Italia meridionale, oltre alle terre scoperte oltreoceano da Colombo.
In un primo tempo, tuttavia, il potere in Spagna fu delegato a prelati di fiducia degli Asburgo, in primo luogo Adriano di Utrecht, precettore di Carlo e futuro papa Adriano VI, tra il 1522 e il 1523. La lontananza dalla Spagna, del resto, gli creò contro l'irritazione e il sospetto degli spagnoli che vedevano in lui soltanto una figura assente e disinteressata.
Nel 1517, finalmente recatosi in Spagna, fu accolto con freddezza e si trovò a dover fronteggiare la rivolta dei “comuneros”, che rivendicavano le autonomie locali che un regno così vasto non poteva più ammettere.
Nel 1519, alla morte del nonno Massimiliano, eletto imperatore, si trovò a dover affrontare il governo di un dominio sterminato, dall'America meridionale alla Moravia, dai Paesi Bassi alla Sicilia, mosaico di civiltà e di religioni diverse, nel cuore del quale, la Germania, stava per esplodere la Riforma luterana, che avrebbe diviso irreparabilmente l'unità cristiana d'Europa.
Il compito di Carlo V si sarebbe presentato estremamente difficile e faticoso, data anche la rivalità di Francesco I di Valois, anch'egli candidato per la corona imperiale e accanito avversario di una situazione di accerchiamento che avrebbe rischiato di soffocare la monarchia francese.

 

La sconfitta francese

 

Fino al 1530 l'Italia continuò a essere il principale campo di battaglia in cui si scontrarono le ambizioni imperialistiche di Carlo V e la disperata resistenza francese.
Dopo gli accordi di Noyon, infatti, le ostilità si aprirono di nuovo nel 1521, in Lombardia, dove l'esercito svizzero-francese subì una sconfitta presso la Bicocca di Milano (1522); nel frattempo Carlo V si era accordato segretamente con Enrico VIII d'Inghilterra (sposo di Caterina d'Aragona, sorella di Giovanna la Pazza), il quale attaccava il territorio francese d'intesa con la reggente dei Paesi Bassi.
Altri fattori favorevoli a Carlo furono il passaggio di Carlo di Borbone, Gran connestabile di Francia, dalla parte degli spagnoli e l'elezione al soglio pontificio di Adriano VI, che era stato precettore di Carlo.

 

Francesco I, senza perdersi d'animo, nel 1525 attaccò di nuovo gli imperiali, ma fu sconfitto nella battaglia di Pavia, in occasione della quale fu anche catturato e tradotto a Madrid in prigionia.
L'anno seguente fu costretto a firmare la pace (Madrid, 1526), promettendo di rinunciare ai suoi diritti su Milano, su Napoli e sulla Borgogna. Durante la sua prigionia le sorti della Francia furono rette con abilità dalla madre di Francesco, Luisa di Savoia, che salvò la corona del figlio riuscendo a sensibilizzare Venezia, l'Inghilterra e il nuovo papa Clemente VII Medici (1523-34) sulla necessità di contrastare lo strapotere imperiale in Europa.
Liberato dalla prigionia, tuttavia, Francesco I denunciava la validità del patto firmato in stato di sequestro e favoriva la formazione della Lega di Cognac (1526), cui aderirono il papa, Venezia, Firenze e Francesco II Sforza (secondogenito di Ludovico il Moro).

 

Ripresa la guerra, l'esercito imperiale, rinforzato da cospicue bande di lanzichenecchi tedeschi comandati dal luterano Giorgio di Frundsberg, fiero avversario del cattolicesimo, scese verso Roma, che fu sottoposta al saccheggio nel maggio del 1527.
Il papa, impotente di fronte a tanta rovina, rimaneva chiuso in Castel Sant'Angelo, e poi decise di abbandonare la Lega, ritirandosi perché ormai occupato dai più urgenti problemi del dilagare del luteranesimo.
A Firenze, intanto, di nuovo i Medici venivano allontanati dalla città e veniva restaurata la repubblica.

 

Francesco I, dal canto suo, tentava di coinvolgere i Turchi contro l'imperatore Carlo V, ma ottenne soltanto un loro intervento nella pianura ungherese e in Boemia, piuttosto che nei paesi mediterranei, dove Francesco I avrebbe desiderato per contrastare direttamente Carlo.

 

La situazione, ormai deteriorata per tutti i contendenti, persuase alla pace, che fu stipulata a Cambrai, per iniziativa di Margherita d'Austria e di Luisa di Savoia (Pace delle due Dame, 1529).
Con essa, la Francia abbandonava definitivamente l'Italia, l'imperatore rinunciava ai diritti sulla Borgogna e Enrico VIII d'Inghilterra riceveva una considerevole somma a titolo di risarcimento.
Nel 1530 Carlo V fu solennemente incoronato in Roma, mentre un esercito imperiale imponeva di nuovo i Medici in Firenze dopo un lungo assedio.
Dopo il 1530 l'Italia si venne sistemando sotto la dominazione spagnola ormai senza più contrasto.

 

Il conflitto franco-asburgico: le forze in campo attorno al 1530

 

La pace stipulata a Cambrai non segnò che una breve pausa nel conflitto tra la Francia e l'Impero. Dopo il 1530, peraltro, l'Italia non fu più l'epicentro della lotta, che assume il carattere e l'ampiezza di un conflitto europeo.
La sorte della Penisola italiana per un lungo periodo era ormai decisa e i decenni tra la pace di Cambrai e il trattato di Cateau Cambrésis (1559) non fecero che confermare e rafforzare la dominazione spagnola.

 

L'Europa vede in questo periodo delinearsi il suo aspetto moderno, con la divisione religiosa fra protestanti e cattolici, la presenza dei Turchi nel Mediterraneo e la preponderanza degli Stati occidentali (Francia, Inghilterra e Spagna). In questo quadro si venne profilando la posizione che sarebbe divenuta man mano la caratteristica dell'Inghilterra, cioè l'impegno per il mantenimento dell'equilibrio europeo, in modo da impedire che uno Stato continentale, estendendo la propria egemonia sugli altri, formasse un blocco tale da minacciare l'indipendenza dell'isola.

 

In questo quadro, l'occasione per interrompere la pace fu offerta alla Francia dalla morte di Francesco II Sforza, nel 1535, l'ultimo duca di Milano.
Secondo gli accordi, l'imperatore riteneva di avere il diritto di annettere i territori lombardi, procedendo all'occupazione del Ducato. A sua volta Francesco I, ricusando i patti, invase la Savoia e il Piemonte, inutilmente contrastato da Carlo III di Savoia, alleato di Carlo V.
Nel frattempo, la flotta turco-berbera di Khair ad-Din, corsaro nordafricano, attaccava con estrema violenza le isole Baleari, mentre Francesco I, alleato dei Turchi, faceva ogni sforzo per deviare la pressione turca dall'Europa centro-orientale (che avrebbe potuto incrinare la sua alleanza con i luterani) verso l'Italia e il mediterraneo, per impegnare direttamente l'imperatore, costringendo Venezia ad allearsi con l'imperatore e con il papa, Paolo III.
Nel 1538, tuttavia, per la mediazione del pontefice, si concluse una tregua, firmata a Nizza, nel tentativo di riconciliare i due antagonisti (Francesco I e Carlo V), che, pur incontrandosi in un clima disteso, non riuscirono a trovare un accordo che escludesse il problema più significativo del contendere, vale a dire il dominio sul Ducato di Milano.
In seguito, mentre la guerra tra francesi e imperiali si concludeva con la pace di Crépy (1544), che confermava il domino spagnolo su Milano e l'occupazione francese del Piemonte, si accendeva un nuovo focolaio di guerra tra Francesco I e Enrico VIII, re d'Inghilterra, che aveva fatto attaccare la città di Boulogne a partire dalla base di Calais sulla Manica, l'estremo baluardo della presenza inglese sul continente dopo la guerra dei Cento anni, ma il conflitto si era concluso con il trattato di Ardres (1546), grazie anche all'intervento della Scozia a fianco della Francia, in base al quale l'Inghilterra restituiva il territorio francese conquistato dietro pagamento di un forte riscatto in denaro.

 

Negli anni successivi, poi, fallito ogni tentativo di sottomettere i principi tedeschi, fra l'imperatore e i luterani divampò tra il 1546 e il 1547 la Guerra di Smalcalda. Le operazioni militari volsero in Germania a favore dell'imperatore, e lo scontro decisivo, la battaglia di Mühlberg del 1547, fu una grande vittoria per Carlo V, benché non decisiva.

 

La fase conclusiva del conflitto e il Trattato di Cateau Cambrésis (1559)

 

Nel 1547 moriva Francesco I e sul trono francese saliva il figlio Enrico II, il quale, rinnovata l'alleanza con i turchi e con i luterani, avanzò con un esercito in Alsazia-Lorena spingendosi fino al Reno e occupando i tre vescovadi di Toul, Metz e Verdun (1552).
Nel frattempo, una nuova coalizione antimperiale promossa da Maurizio di Sassonia sconfiggeva le truppe austriache di Ferdinando, fratello di Carlo V e reggente dei domini asburgici dell'impero, e il conflitto si riaccendeva anche in Italia.
Carlo V, stanco per l'interminabile contesa con i francesi e fiaccato dall'oneroso compito di tenere unito un impero così disomogeneo, decise di abdicare, nel 1556, ritirandosi in un convento (S. Giusto in Estremadura) dove morì due anni dopo in preda a forme di pazzia analoghe a quelle della madre Giovanna.
Il dominio della Spagna e degli Stati borgognoni andava al figlio Filippo II, mentre la corona imperiale e i domini asburgici dell'Europa centrale erano attribuiti al fratello Ferdinando.

 

Filippo II (1556-1598), il nuovo sovrano spagnolo che aveva sposato Maria la cattolica, figlia di Enrico VIII di Inghilterra, poté radunare un grande esercito nelle Fiandre, affidandone il comando a Emanuele Filiberto di Savoia, che aveva perduto il suo dominio piemontese, in mano ai francesi.
Presso S. Quintino, in Piccardia, nell'agosto 1557, l'esercito spagnolo riportava una schiacciante vittoria sui francesi, i quali, d'altra parte, assalivano e riconquistavano Calais, strappandola definitivamente agli inglesi (1558).
Il bilancio del conflitto consigliava la pace, che fu firmata a Cateau Cambrésis nell'aprile 1559.

 

 

 

La riforma cattolica; il Concilio di Trento

 

 

Con la pace di Cateau Cambrésis la situazione tra i contendenti rimaneva così definita:
 - Filippo II era re di Spagna, vicario dell'Impero per l'Italia, sovrano delle terre borgognoni e fiamminghe, della Sicilia, della Sardegna, del Regno di Napoli, del Ducato di Milano e delle colonie americane;
 - lo zio Ferdinando aveva il titolo imperiale, le corone di Boemia e Ungheria e i territori ereditari di Casa d'Asburgo;
 - Enrico II rinunciava al Ducato di Milano, ma manteneva il possesso di Toul, Verdun e Metz;
 - l'Inghilterra cedeva l'ultimo lembo di territorio francese rimastole dall'epoca della guerra dei Cento anni, Calais;
 - a Emanuele Filiberto di Savoia veniva restituito il suo stato, salvo la permanenza di guarnigioni spagnole e francesi in alcune città del Piemonte.

 

La Riforma cattolica

 

All'interno della Chiesa romana (cattolica) si può dire che agissero due correnti di movimento riformatore, che si confondevano l'una nell'altra sostenendosi a vicenda, le quali si possono identificare come Riforma cattolica e Controriforma, la prima diretta a rinnovare i costumi e la disciplina della Chiesa, sollecitando il ritorno a forme di vita religiosa più sincere e operose, la seconda diretta apertamente a contrastare l'eresia protestante in campo dottrinario.
Sorsero in tal senso nuovi movimenti ecclesiali, come l'Oratorio del Divino Amore (1517), una congregazione mista di laici e di ecclesiastici che conducevano una vita esemplare di pietà, prodigandosi per i poveri e i sofferenti, e nuovi ordini di Chierici regolari, votati alla predicazione, all'insegnamento e all'educazione delle masse popolari secondo i fondamentali principi del cristianesimo e le pratiche tradizionali di vita religiosa: Teatini, Barnabiti, Somaschi, Cappuccini (rifioriti, questi ultimi, sul vecchio ceppo francescano).

 

Di rilievo, come strumento a disposizione della Chiesa per combattere il protestantesimo non solo nelle regioni rimaste cattoliche, ma anche là dove il primato religioso era conteso tra cattolici e protestanti, furono poi i Gesuiti, cioè la Compagnia di Gesù, fondata dal nobile spagnolo Ignazio di Loyola nel 1534, ordine riconosciuto dal papa Paolo III nel 1540 con la bolla Regimini militantis Ecclesiae (“Alla vita pratica della chiesa militante”).
La Compagnia di Gesù, i cui scopi fondamentali erano la predicazione, l'istruzione dei giovani con l'istituzione di collegi e le missioni d'oltreoceano, curando in particolare l'educazione delle giovani generazioni all'interno delle corti principesche in qualità di consiglieri e confessori, acquistarono grande prestigio fino ad avere spesso un ruolo diretto negli avvenimenti politici, influenzando le scelte dei loro nobili assistiti.

 

Il Concilio di Trento (1545-1563)

 

Il Papato e le gerarchie, dal canto loro, assunsero la direzione della Riforma attraverso gli strumenti teologici e canonici di loro competenza, impegnandosi a riformulare i capisaldi dottrinali messi in discussione dal luteranesimo (piano dogmatico) e attuando con energia una revisione integrale dei costumi e della disciplina del clero (piano pratico).
La grande opera riformatrice trovò la propria attuazione nel Concilio di Trento, evento di capitale importanza nella storia del cattolicesimo.

 

Fallita la Dieta di Ratisbona (1541) e i tentativi di conciliazione compiuti in territorio germanico nonostante le pressioni e le speranze dell'imperatore Carlo V, che avrebbe visto risolversi, con la pacificazione religiosa, i problemi più scottanti del suo governo, si ebbe nel 1542 una svolta decisiva per l'opera di Controriforma cattolica.
Le posizioni delle due parti, cattolica e protestante si irrigidirono. In campo riformato, infatti, prevalse l'intransigenza di Calvino sulla moderazione di Melantone e in campo cattolico si ebbe l'esaurimento delle tendenze più eireniche (pacificatrici) con il prevalere del rigore tradizionalista di stampo gesuitico.
Nel 1542, per iniziativa di Paolo III (influenzato dal cardinale Carafa) si ebbe la riorganizzazione dei tribunali provinciali dell'Inquisizione contro gli eretici, che vennero fatti dipendere da un tribunale supremo, stabilito a Roma, detto Santo Uffizio. La nuova Inquisizione romana, distinta da quella medievale e da quella spagnola, dipendeva direttamente dalla Santa Sede, attraverso una congregazione cardinalizia; il suo potere si estendeva a tutta la cristianità per la ricerca e il giudizio dei sospetti di eresia protestante, di anabattismo, di magia e anche per certe forme di malcostume.

 

Nello stesso anno il pontefice annunciò la convocazione del concilio ecumenico, la cui sede fu fissata a Trento, feudo dell'impero governato da un principe-vescovo, una località chiave per i rapporti tra mondo germanico e mondo romano.

 

Nel frattempo, la complessità della situazione politica europea faceva sorgere nuove difficoltà.
La Santa Sede, pur dimostrando la volontà di affidare la direzione della Controriforma alle decisioni dei padri del concilio, nello stresso tempo temeva il risorgere del dualismo Concilio-Papa che aveva provocato nel secolo precedente lo scisma basileese.
I sovrani cattolici, in genere, e particolarmente il re di Francia e l'imperatore, che erano impegnati a fondo in una guerra ormai ventennale, intendevano prestare un soccorso soltanto occasionale alla Chiesa, subordinandolo ai propri interessi, per lo più contrastanti.
Carlo V, inoltre, avrebbe voluto la partecipazione al concilio anche dei protestatni, per evitare che esso assumesse una posizione così intransigente da rendergli ancora più difficili i rapporti con i principi tedeschi della Lega di Smalcalda.

 

Nonostante ciò, il 13 dicembre del 1545 si ebbe la solenne apertura del Concilio, cui parteciparono cardinali, vescovi, generali di ordini religiosi e teologi in numero eccezionale per i tempi (l'atto finale del 1563 fu firmato da duecentocinquantacinque prelati), in maggioranza italiani e spagnoli. Una delegazione francese, invece, fu presente solo nell'ultima fase e i protestanti vi fecero una fugace comparsa durante l'inverno tra il 1551 e il 1552.
Il pontefice non intervenne di persona, ma si fece rappresentare da propri inviati (i legati), che furono in grado di condurre le discussioni senza fare riemergere la discussine sul primato papale; alla fine dei lavori, però, tutti i decreti conciliari furono sottoposti all'approvazione del papa, cui fu riservata anche la loro interpretazione.
Per semplificare i lavori, i diversi problemi venivano esaminati a parte da commissioni o congregazioni speciali che presentavano poi i risultati del proprio lavoro all'assemblea generale, la quale, approvandoli, ne ordinava la promulgazione.

 

Il Concilio si svolse attraverso varie fasi e non sempre nel medesimo luogo:
 1. aperto a Trento nel dicembre 1545, fu trasferito a Bologna nel marzo del 1547 in occasione di una pestilenza e temporaneamente sospeso nel settembre del 1549, mentre era ancora papa Paolo III;
 2. ripreso a Trento per volontà di Giulio III (il cardinale Giulio del Monte, presidente delle prime assemblee) nel marzo del 1551, venne nuovamente interrotto nell'aprile del 1552 a causa della guerra;
 3. riaperto da Pio IV de' Medici (successo a Marcello II) all'inizio del 1562, fu solennemente concluso il 4 dicembre 1563.

 

I decreti formulati dai Padri del Concilio tridentino furono approvati dal papa Pio IV con la bolla Benedictus Deus et Pater e pubblicati nella Professio fidei Tridentina (1564).

 

I risultati e la restaurazione cattolica

 

Fallito uno degli obiettivi precipui del Concilio, quello di sanare lo scisma protestante, il dogmatismo cattolico, cioè la codificazione rigorosa delle verità di fede, apparve l'unico mezzo per frenare l'eresia, arrestando lo sgretolamento del mondo cristiano, fornendo ai credenti un sicura norma di vita e un preciso insegnamento religioso.

 

In materia di fede:
 - fu affermata la necessità delle opere della carità per ottenere, insieme con la fede, la giustificazione e la salvezza spirituale;
 - fu riconosciuto il valore della tradizione, ossia dell'insegnamento secolare della Chiesa come fonte di rivelazione insieme con la Scrittura;
 - furono riaffermati:
        . l'origine divina e il valore carismatico dei tradizionali sette sacramenti;
        . la validità del culto della Vergine e dei Santi;
        . la funzione mistica del sacerdozio;
 - fu stabilito l'elenco dei Libri canonici della Scrittura;
 - fu accettata la Volgata di S. Gerolamo come edizione ufficiale della Bibbia, di cui fu riconosciute interprete autorevole soltanto la Chiesa.

 

In materia di disciplina e morale:
 - fu riconfermata la necessità del celibato ecclesiastico;
 - fu proibito il cumulo dei benefici ecclesiastici;
 - fu imposto ai vescovi l'obbligo di residenza;
 - furono migliorate le condizioni dei parroci e sollecitata la riforma dei vecchi ordini religiosi;
 - si previde la creazione di appositi seminari diocesani per risolvere il problema della preparazione morale e culturale dei sacerdoti, stabilendo nel contempo il limite minimo d'età alle ordinazioni sacerdotali;
 - venne stabilito un più accurato controllo della sincerità e libertà delle vocazioni religiosa.

 

 

 

Filippo II, l'organizzazione burocratica dello stato spagnolo e la battaglia di Lepanto

 

 

Filippo II (1527-1598)

 

Tra le monarchie europee fu quella spagnola di Filippo II (1556-1598) ad assumersi il compito di realizzare, sul terreno politico-militare, il programma controriformistico di Trento: Filippo II volle essere inequivocabilmente al servizio della Chiesa cattolica romana per tentare la riconquista religiosa dei paesi passati al protestantesimo e per ottenere, in quelli rimasti cattolici, una rigorosa applicazione dei decreti conciliari.
Filippo II aderì con tanto zelo al programma controriformistico, identificandolo con la politica interna ed estera dello Stato spagnolo, da suscitare in alcuni pontefici il timore che egli avrebbe finito per soverchiare l'indipendenza e l'autorità del Papato stesso.
L'azione di Filippo II aveva per obiettivo, oltre al territorio nazionale spagnolo e ai possessi italiani, anche la Fiandra e i Paesi Bassi (approssimativamente Belgio e Olanda) nonché la Francia dei Valois.

 

Filippo d'Asburgo (1554) aveva sposato in seconde nozze Maria la Cattolica, regina d'Inghilterra (dal 1553 al 1558), ma successivamente, avendo lasciato l'Inghilterra in seguito all'abdicazione del padre (Carlo V, 1556), non vi era più ritornato.
Ricevuta l'eredità della corona di Spagna, dei possessi ex-borgognoni e dei territori italiani, Filippo II aveva fissato la propria residenza presso Madrid, sull'arido altipiano castigliano. A una quarantina di chilometri dalla città, sulle pendici della Sierra di Guadarrama, a circa mille metri di altitudine, era sorto per volontà del sovrano un grandioso castello-monastero, dedicato a S. Lorenzo, santo protettore nel giorno della battaglia di S. Quintino, che aveva deciso le sorti della guerra contro Enrico II di Francia.
In quell'immenso e tetro palazzo, detto Escurial, il monarca spagnolo trascorse la sua vita, riducendo al minimo i rapporti personali con i sudditi, ma amministrando i domini con cura meticolosa di burocrate. Schivo di confidenze, sospettoso, chiuso e angustiato da sventure familiari (il figlio don Carlos, deforme nel corpo e ribelle nell'animo), Filippo II dedicava tutte le sue energie alle pratiche di governo, perseguendo i suoi ideali di principe cattolico, severo interprete dei dettami della Controriforma e campione del cattolicesimo contro i Turchi e gli eretici.

 

L'organizzazione e la politica dello Stato spagnolo

 

Intorno a Filippo II si venne organizzando una monarchia assoluta e burocratica, in cui i supremi organi dello Stato erano i Consigli (Consiglio di Stato, di Castiglia, di Aragona, d'Italia, Delle Indie, ecc.); da essi dipendeva un gran numero di uffici e di funzionari che si occupavano dell'amministrazione delle finanze e della giustizia. I funzionari erano, in genere, nobili decaduti che abbandonavano i proprio castelli per ottenere a corte o nel governo delle colonie un impiego civile o militare, riuscendo così a conservare le loro consuetudini di fasto e le loro tradizionale prepotenza.
L'apparato burocratico permetteva al monarca spagnolo di mantenere unito il vastissimo dominio, nonostante la grande differenza delle stirpi e la lontananza di alcune parti di esso; la burocrazia, però, gravava pesantemente sul bilancio dello Stato, già dissanguato dalle spese di guerra. L'oro e l'argento che affluivano periodicamente dalle colonie americane non bastavano a colmare il deficit, ma producevano soltanto brevi periodi di ripresa e floridezza che si smorzavano non appena le nuove ricchezze risultavano esaurite.

 

La condotta di governo di Filippo II era ispirata a un programma di cattolicesimo ad oltranza: all'interno del paese, aveva stroncato ogni minima velleità di eresia, mediante la propria Inquisizione, indipendente dal Santo Uffizio di Roma; in politica estera, il programma di difesa del cattolicesimo, concretato attraverso un intervento armato nelle lotte politiche e religiose della Francia e in una nuova guerra navale contro i Turchi, si accompagnava in un tutt'uno con il programma di affermazione della potenza spagnola in Europa.
La crisi interna della Francia e la presenza navale e commerciale ancora in formazione dell'Inghilterra, d'altronde, permettevano alla Spagna di Filippo II di mantenere un'effettiva egemonia sull'Europa occidentale, che si sarebbe protratta dal 1559 (Trattato di Cateau Cambrésis) al fino al 1598 (Trattato di Vervins).

 

L'Impero turco e la battaglia di Lepanto

 

Nel Mediterraneo Filippo II proseguì la lotta impegnata dal padre Carlo V contro i Turchi e gli stati barbareschi delle coste nordafricane, mentre l'Impero ottomano era al vertice della sua potenza sotto il sultano Solimano II il Magnifico.
Nel 1562, infatti, con la Pace di Praga, gli Ottomani avevano perfino imposto un tributo annuale all'imperatore Ferdinando II.
Nel Mediterraneo, invece, dopo la conquista di Rodi (1552), l'obiettivo principale dei musulmani era stata Malta, difesa dai Cavalieri dell'Ordine di San Giovanni, profughi da Rodi, che poté resistere agli assalti degli ottomani fino al 1565.

 

Nel 1570, poi, il sultano Selim II rivolse le sue forze contro Cipro, possesso veneziano, che aveva grande importanza per il controllo del Levante. I Veneziani, mentre la roccaforte di Famagosta ancora resisteva, chiesero l'aiuto di una lega di Stati cristiani, che si costituì grazie all'energico intervento di papa Pio V con il contributo del regno di Spagna, del ducato di Savoia e del granducato di Toscana.
Benché la flotta cristiana potesse prendere il mare quando ormai anche Famagosta era caduta nelle mani dei Turchi, l'impresa della Lega non fu inutile, perché le navi cristiane, sotto il comando di don Giovanni d'Austria (fratellastro di Filippo II), affrontarono la flotta turca a nord della penisola di Morea, nelle acque di Lepanto, riportando una clamorosa vittoria: era il 7 ottobre 1571.
La vittoria non costituì un risultato decisivo per il controllo del Mediterraneo (ben presto i Turchi avrebbero ripreso Tunisi che era passata nelle mani degli spagnoli), ma fu comunque un segnale decisivo della curva discendente che di lì a qualche decennio l'impero turco avrebbe intrapreso verso una progressiva decadenza.

 

 

 

29 settembre 2008

 

La guerra civile in Francia

 

Nella seconda metà del secolo XVI la Francia attraversò una profonda crisi, che ebbe inizio con la morte di Enrico II, avvenuta nel 1559 in seguito a una ferita riportata durante un torneo; le figure principali di questi eventi critici francesi furono la reggente, Caterina de' Medici (1559-1589), i duchi di Guisa, capi del partito cattolico, e gli esponenti della fazione calvinista, i Borboni, conti di Bearn e sovrani della Navarra francese.
Motivi religiosi e politici, rivalità di grandi famiglie, contrasti tra la nobiltà feudale di provincia e le tendenze assolutistiche della monarchia cattolica determinarono la guerra civile. Essa devastò il territorio francese per più di un trentennio (1562-1598), alternando periodi di distensione a sussulti improvvisi e a scontri sanguinosi, pacificazioni, assassini e vendette.
La situazione fu compromessa anche dalla crisi di successione che colse la monarchia francese dopo la scomparsa di Enrico II, per cui la reggente Caterina dovette difendere il trono per conto dei suoi tre deboli figli, divenuti successivamente re:
 - Francesco II (1559-1560),
 - Carlo IX (1560-1574),
 - Enrico III (1574-1589).
A rendere ancora più complessi gli avvenimenti interni, si aggiunse l'intervento, per lo più indiretto e nascosto, ma non meno efficace, di Filippo II in difesa dei cattolici, e di Elisabetta d'Inghilterra e dei principi protestanti olandesi in difesa degli ugonotti (i calvinisti francesi, il cui appellativo è di etimologia incerta).
In tal modo la Francia divenne, in quel periodo, l'epicentro delle rivalità internazionali e il banco di prova della politica cattolica di Filippo II.

 

La reggenza Caterina de' Medici dovette destreggiarsi tra l'uno e l'altro partito, cercando, quasi sempre inutilmente, di attutire gli odi e di spegnere i focolai di insurrezione per salvare dalla rovina totale la dinastia dei Valois e il paese.
In un primo momento, per cercare di rendere possibile la convivenza pacifica delle opposte confessioni religiose, la reggente concedette una parziale libertà di culto agli ugonotti fuori delle città (Editto di S. Germano, 1562), ma nello stesso anno scoppiò la guerra civile, con un eccidio compiuto dai partigiani dei Guisa contro la comunità protestante di Vassy, cui corrisposero vendette e rappresaglie degli ugonotti contro conventi e preti cattolici.
In seguito, mentre i protestanti francesi tessevano segrete intese con Elisabetta d'Inghilterra, che sperava di riacquistare la base francese di Calais o di ottenere il porto di Le Havre, la reggente Caterina abbandonava temporaneamente la parte ugonotta, e chiedeva l'aiuto del papa e di Filippo II.
Tuttavia, nel momento in cui l'erede della casa di Borbone, Enrico, si rifugiava presso la piazzaforte calvinista de La Rochelle, sulla costa occidentale della Francia, il capo della fazione protestante (Coligny) riusciva a riacquistare credito presso la corte, ottenendo un riavvicinamento della reggente alla parte degli ugonotti, ai quali furono fatte importanti concessioni (1570).
Due anni dopo, però, il Coligny cadde vittima del cosiddetto massacro della Notte di S. Bartolomeo (notte tra il 23 e il 24 agosto 1572), durante il quale una buona parte dei dignitari della fazione protestante, riuniti a Parigi per le nozze imminenti tra Enrico di Borbone e Margherita di Valois, sorella di Carlo IX, furono eliminati.
In quell'occasione i protestanti furono sorpresi da un numero soverchiante di cattolici e trucidati in gran numero; il giovane principe Enrico sfuggì alla morte con l'abiura.
Dopo la notte di S. Bartolomeo la potenza calvinista in Francia parve definitivamente abbattuta. La notizia fu accolta con palese soddisfazione alle corti di Madrid e di Roma. Filippo II poteva pensare che la sua politica avesse ottenuto successo su tutti i fronti, ma la parte ugonotta si riprendeva e la città di La Rochelle, proclamatasi libera repubblica di mercanti e di armatori, sbarrava le porte agli ufficiali regi.

 

La Guerra dei tre Enrichi (1585-1595)

 

Nel 1574, morto Carlo IX, gli successe Enrico III di Valois, terzogenito di Caterina. Il potere monarchico restava debolissimo, mentre si costituivano una Lega cattolica, con a capo Enrico di Guisa, sovvenzionata dalla Spagna, e una Coalizione protestante, capeggiata da Enrico di Borbone, ritornato al calvinismo.
Poiché Enrico III non aveva figli, Enrico di Navarra-Borbone era destinato a succedergli sul trono per la discendenza del suo casato (i Borboni) da un figlio cadetto di Luigi IX il Santo. Egli, però, era ritornato al calvinismo e la tradizione costituzionale del regno di Francia non avrebbe permesso che il trono di S. Luigi fosse occupato da un eretico, tanto più che il papa Sisto V l'aveva dichiarato decaduto dai suoi diritti di successione alla corona.
Enrico di Borbone, peraltro, era un buon condottiero, amato dai suoi seguaci, e principe dotato di temperamento vigoroso e leale, cosicché il Valois, rappresentante di una dinastia esaurita e decadente, finì con l'avvicinarsi a lui.

 

Nel 1588 fu assassinato Enrico di Guisa, capo della Lega cattolica; per vendicarlo un frate domenicano, Jacques Clément, pugnalò ed uccise il re, ritenuto responsabile dell'assassinio precedente. In punto di morte, Enrico III riconobbe Enrico di Borbone-Navarra come suo successore (1589).
La popolazione di Parigi, però, rifiutò di accogliere il nuovo candidato al trono perché protestante; Enrico IV, dal canto suo, pur bloccando la città da ogni parte e potendo contare sull'aiuto dei politici in genere, giuristi e parlamentari che volevano un sovrano nazionale e respingevano ogni intrusione straniera, spagnola o papale, si convinse della necessità di accettare la religione della maggioranza di Francesi e si fece cattolico. Nel marzo del 1594 poté così entrare in Parigi; poco dopo gli giungeva da Roma l'assoluzione conciliatoria del papa.
Dopo qualche vittoria sui campi di battaglia borgognoni (1595), la guerra civile poteva dirsi terminata; occorreva ora ridare ordine e prosperità a uno Stato paralizzato dalle contese interne, con l'agricoltura dissestata, il commercio rovinato e una preoccupante inflazione monetaria.
La guerra in Francia si concludeva così con un sostanziale insuccesso per Filippo II, che aveva perseguito una politica intimamente contraddittoria, aiutando il partito cattolico, ma senza impegnarsi a fondo, perché era suo interesse piuttosto mantenere la discordia in Francia che far trionfare un'unica fazione, la quale avrebbe potuto dar vita nuovamente a uno Stato forte.
La Francia, ora, si avviava ad essere nuovamente una grande potenza europea, capace di controbilanciare le tendenze egemoniche degli Asburgo d'Austria e di Spagna.

 

La rivolta anti-spagnola nei Paesi Bassi

 

Seguendo direttive ben diverse da quelle del padre Carlo V, Filippo II considerava i suoi domini borgognoni della costa atlantica (Fiandra, Artois, Brabante, Lussemburgo, Hainaut, Zelanda, Olanda, Gheldria, Overijssel, Utrecht, Frisia, Groninga) come territori coloniali, sfruttandoli con una tassazione eccessiva e imponendo gli interessi e le finalità della politica spagnola; le sue preoccupazioni religiose, poi, lo inducevano a favorire l'introduzione dell'Inquisizione e la creazione di collegi tenuti da Gesuiti.

 

 

 

La rivolta nei Paesi Bassi. Elisabetta Tudor: la politica interna e i contrasti con la Spagna

 

 

La resistenza e l'ostilità delle popolazioni locali si manifestarono anzitutto negli ambienti che avevano aderito al calvinismo, come quello degli operai delle industrie tessili della Fiandra e del Brabante, ma anche la nobiltà cattolica, che aveva servito lealmente Carlo V, cominciò a nutrire idee di indipendenza e di autogoverno.
Assolutamente contrario a ogni concessione di libertà religiosa e di autonomia politica, Filippo II inviò in Fiandra il duca d'Alba, investito dei supremi poteri per ristabilire l'ordine e l'obbedienza. Ad Anversa il duca d'Alba, giunto con cospicue forze militari, procedette a condanne e confische imponendo anche nuove tasse per il mantenimento del contingente spagnolo occupante.
Rivelatasi inutile la mediazione dell'imperatore Massimiliano II (il nuovo imperatore succeduto a Ferdinando), il capo dell'opposizione alla dominazione spagnola, Guglielmo d'Orange (Guglielmo il Taciturno) con l'aiuto di soldati mercenari tedeschi iniziò una guerra di logoramento contro le guarnigioni spagnole. Sul mare, intanto, i corsari inglesi, con la tacita approvazione di Elisabetta, e gli ugonotti francesi delle coste della Bretagna e del Poitou intercettavano i convogli di rifornimento spagnoli, sequestrando merci e denaro.
Gli anni 1572-73 furono particolarmente duri per la fazione capeggiata dal Taciturno, nominato Statholder (luogotenente) d'Olanda; infatti, dopo il massacro di S. Bartolomeo venne a mancare il promesso aiuto degli ugonotti francesi; poi Filippo II richiamò il duca d'Alba, forse per tentare la strada della conciliazione, ma i soldati spagnoli, privi di controllo, si abbandonarono al saccheggio di Anversa (1576), che subì danni gravissimi.

 

In conseguenza di questo atto si costituì un'alleanza tra le province cattoliche del sud e quelle calviniste del nord (Unione di Gand), che richiese l'allontanamento delle truppe straniere. Nel 1578, invece, Filippo II inviò nei Paesi Bassi il condottiero italiano Alessandro Farnese, che riuscì a separare l'Unione riconducendo alla Spagna le province meridionali cattoliche; rottasi, quindi, l'Unione di Gand, tra le province settentrionali protestanti si costituì l'Unione di Utrecht (1579), da cui poi sorse la Repubblica delle Province Unite (1581), formata da Olanda, Zelanda, Utrecht, Gheldria, Overijssel, Frisia, Groninga.
Nel 1584 cadde per mano assassina lo Statholder Guglielmo il Taciturno, ma l'unione delle città della nuova repubblica si rinsaldò, benché dovessero passare molti anni prima di un riconoscimento ufficiale della nuova identità statale delle Province Unite (soltanto nel 1648 con la pace di Westfalia alla fine della Guerra dei Trent'anni).

 

Elisabetta Tudor

 

Dopo i regni di Edoardo VI e di Maria Tudor detta “la Cattolica” (1553-1558), consorte di Filippo d'Asburgo, con l'avvento al trono d'Inghilterra di Elisabetta Tudor (1558-1603), figlia di Enrico VIII e Anna Bolena, l'anglicanesimo venne ripristinato in una forma mediana che manteneva la gerarchia episcopale e parte del rito cattolico, con un fondamento dottrinario protestante (i Trentanove articoli del 1563); anzi, la regina, per evitare di scontentare troppo i sudditi cattolici, non volle accettare il titolo di “Capo” della Chiesa Anglicana (che il padre si era attribuito), ma assunse semplicemente quello di “Reggente supremo”.
La Corona, la nobiltà e la borghesia cittadina, che avevano tratto larghi vantaggi dalla confisca e dalla vendita dei beni ecclesiastici, si trovarono così stabilmente legati al protestantesimo, mentre il partito cattolico, assai forte ancora nel popolo, perse gradatamente terreno, nonostante gli sforzi dei Gesuiti d'Irlanda, sotto l'impulso anche degli avvenimenti politici. Infatti, la guerra contro la Spagna di Filippo II avrebbe conferito alla persona della Regina, e alla confessione anglicana cui ella apparteneva, il valore simbolico di forze d'indipendenza nazionale contro l'invadenza straniera (di Filippo II o del Pontefice romano).

 

All'inizio del suo regno Elisabetta corse il pericolo di perdere il trono a causa dell'esistenza della rivale Maria Stuart, figlia di Giacomo V di Scozia, imparentata con i potenti duchi di Guisa francesi e discendente da Enrico VII Tudor, cattolica e, come tale, ritenuta legittima pretendente alla corona inglese in luogo di Elisabetta, figlia di un matrimonio non riconosciuto dalla Chiesa.
Pertanto, intelligentemente, evitò di lasciarsi coinvolgere apertamente nei dissidi politico-religiosi del continente europeo, preferendo dare il suo impulso personale allo sviluppo marinaro del paese, favorendo e finanziando le spedizioni oceaniche dei cosiddetti mercanti di ventura (John Hawkins, Francis Drake, ed altri). Le loro imprese, consistenti nella tratta degli schiavi neri dalla Sierra Leone ad Haiti, nell'attacco ai galeoni spagnoli carichi di metalli preziosi che tornavano verso la madrepatria e nel saccheggio delle località costiere delle colonie spagnole in America, assicuravano consistenti vantaggi finanziari, che garantivano alla regina l'indipendenza dal Parlamento e le rendevano possibile seguire una politica propria.
Da paese agricolo l'Inghilterra si avviava a diventare paese marittimo e commerciale, mentre l'afflusso di profughi protestanti dalla vicina Fiandra spagnola favoriva lo sviluppo delle industrie, soprattutto tessili.
Nel contempo, preoccupata di spezzare il monopolio commerciale spagnolo con l'America, Elisabetta favoriva l'allargamento del raggio d'azione della marina inglese, indirizzandolo alla scoperta di paesi nuovi nelle inesplorate regioni costiere dell'America settentrionale. Incominciarono così a sorgere le Compagnie commerciali formate da mercanti e nobili finanziatori, che traevano da tali viaggi marittimi elevati profitti:
 - la Compagnia della Moscovia, che stabilì relazioni con i Russi attraverso il mar Bianco e il porto di Arcangelo, evitando così di passare sotto il controllo danese e anseatico del Mare del Nord;
 - la Compagnia del Levante per il commercio del Mediterraneo orientale, in concorrenza con l'ormai declinante Repubblica di Venezia;
 - la Compagnia delle Indie Orientali (East India Company), destinata a avere un peso decisivo sulla conquista inglese della penisola indiana.

 

Il contrasto con la Spagna

 

Furono gli eventi politici europei a indurre Elisabetta ad assumere la posizione di campione del protestantesimo e a fare dell'Inghilterra il maggior ostacolo all'egemonia spagnola nell'Europa occidentale: la protezione accordata agli Ugonotti de La Rochelle e soprattutto l'aiuto dato ai ribelli olandesi rientravano, infatti, in un piano di politica britannica che mirava ad occupare basi sulla costa continentale impedendo che, al di là della Manica, le coste fiamminghe e olandesi appartenessero a un grande Stato europeo.
Alla rivalità che già esisteva tra Spagna e Inghilterra sul piano marittimo-commerciale, dunque, si aggiungeva una ragione di carattere spiccatamente politico; Filippo II, da parte sua, non tardò ad accorgersi che il nemico maggiore della Spagna non era la Francia, ma l'Inghilterra.
In più, ad acuire le tensioni tra i due regni intervenne la vicenda legata alla persona di Maria Stuart, rientrata in Scozia nel 1561 dopo la morte del marito Francesco II di Valois e passata a seconde nozze con lord Darnley, capo dei cattolici inglesi. Dopo l'assassinio del nuovo marito, Maria Stuart dovette fuggire in Inghilterra e venne rinchiusa “per precauzione” da Elisabetta Tudor nel castello di Tutbury (1568).
Negli anni seguenti numerose congiure ai danni della regina Elisabetta finirono per coinvolgere Maria Stuart, se non altro perché ella appariva inevitabilmente legata al mondo cattolico (appoggiato dalla Spagna) che osteggiava la regina protestante, la quale, invece, appariva sempre più come il simbolo dell'indipendenza.

 

Dopo la condanna a morte di Maria Stuart, approvata anche da Elisabetta interprete dei sentimenti della maggior parte del popolo inglese, Filippo II colse il pretesto della condanna della principessa cattolica per entrare in guerra contro l'Inghilterra, lasciando intravedere il suo disegno di occupare legittimamente il trono inglese al posto della regina “eretica” (Elisabetta), in quanto vedovo di Maria la Cattolica, figlia legittima di Enrico VIII.

 

 

 

La fine dell'egemonia spagnola. Enrico IV di Borbone e il cardinale Richelieu

 

 

Elisabetta intanto aveva stretto alleanza con le Province Unite d'Olanda (1585), e proprio grazie all'azione congiunta degli olandesi e dei corsari inglesi, poté distruggere la potente flotta spagnola (detta Invincible Armada) che, a supporto dell'esercito già stanziato nei Paesi Bassi, avrebbe dovuto, secondo le intenzioni di Filippo II, provvedere all'invasione dell'Inghilterra.
La spedizione spagnola (1588) si risolse in un disastro: 73 navi furono distrutte e più di un terzo degli equipaggi spagnoli andarono perduti. Si trattava di un colpo durissimo per Filippo II, che vedeva compromessa l'egemonia della Spagna nell'Europa occidentale, pur restando la Spagna una grande potenza militare e coloniale.

 

La Francia, nel frattempo, che aveva resistito ai tentativi di smembramento, iniziava una nuova ascesa con Enrico IV.
Tra il 1594 e il 1598 un'alleanza antispagnola stretta fra il re di Francia, Elisabetta d'Inghilterra e il governo delle Province Unite, costrinse Filippo II ad acconsentire alla pace di Vervins (1598), che ristabiliva all'incirca la situazione di Cateau Cambrésis, riconoscendo la nuova dinastia dei Borboni di Francia, ma non l'indipendenza delle Province Unite.

 

Poco dopo il re di Spagna, tormentato dalla gotta e dalle febbri, moriva nella solitudine dell'Escurial in cui era quasi sempre vissuto (1598).

 

La Francia di Enrico IV di Borbone

 

Con la pace di Vervins (1598) la Francia aveva sanzionato la sua grande rivincita sulla Spagna di Filippo II.
Uscito dalla lotta come un trionfatore, Enrico IV di Borbone si era adoperato per ricostruire, nella raggiunta pace interna ed esterna, l'autorità del potere statale e l'economia nazionale frantumate dalle guerre civili.
Anzitutto volle riconciliarsi con il partito ugonotto, che aveva abbandonato convertendosi al cattolicesimo, e concedette l'Editto di Nantes (aprile 1598), assicurando ovunque, sul territorio nazionale, la libertà di coscienza e l'uguaglianza nei diritti civili (accesso alle cariche pubbliche e all'insegnamento universitario) sia per gli ugonotti sia per i cattolici. Agli ugonotti era così permesso l'esercizio del culto calvinista nelle città, esclusa Parigi, e per garantire queste concessioni il re accordava loro di mantenere temporaneamente un centinaio di luoghi di sicurezza, tra cui La Rochelle (sulle coste del Poitou, a nord dell'estuario della Garonna), con guarnigioni armate a protezione da eventuali rappresaglie dei cattolici. In tal modo gli ugonotti, tuttavia, contro ogni intenzione del sovrano, acquistavano la possibilità di sostenere con la forza delle armi una politica propria, indipendente e anche in contrasto con le direttive generali del governo regio (un pericoloso stato nello stato).
Risollevata l'agricoltura del paese, anche l'attività protoindustriale fu promossa e protetta, e si tentò di diffondere in Francia la coltura del gelso e l'allevamento del baco da seta.

 

Durante i primi decenni del '600 un impulso significativo avrebbe anche avuto l'emigrazione dei coloni francesi verso le coste dell'odierno Canadà; proprio sotto Enrico IV fu definitivamente consolidato il possesso delle terre lungo il fiume S. Lorenzo e nella zona dei laghi canadesi.

 

Enrico IV svolse una politica europea di ampio respiro, volta da una parte a stringere legami di alleanza con l'Olanda, i Cantoni Svizzeri e la Savoia, dall'altra ad abbassare la potenza spagnola, isolandola diplomaticamente.
Per quanto riguarda l'Italia mirò a consolidare il confine orientale francese con preziosi acquisti territoriali, abbandonando, però, la politica delle spedizioni oltre le Alpi sostenuta dai Valois.

 

La Francia del Richelieu

 

Dopo la morte di Enrico IV, avvenuta per mano assassina nel 1610, si riaprì una crisi di quindici anni durante i quali rinacquero i contrasti tra ugonotti e cattolici.
Nel frattempo, a regnare la Francia non bastavano le capacità politiche di Maria de' Medici, seconda moglie di Enrico IV e reggente per conto del figlio Luigi XIII. Per far fronte alle rinate difficoltà economiche, quindi, il governo decise nel 1614 la convocazione degli Stati Generali del Regno (Clero, Nobiltà e Terzo Stato), ma il provvedimento non ottenne alcun risultato e l'assemblea fu disciolta (fu l'ultima convocazione degli Stati Generali prima di quella del 1788-89 da cui scaturì la Rivoluzione francese).

 

Nel 1624 entrò a far parte del Consiglio regio il cardinale Armando Duplessis di Richelieu, che fino alla morte, avvenuta nel 1642, dominò la politica interna ed estera del paese aumentandone il prestigio e la potenza.
Il programma del Richelieu mirava al rafforzamento del governo centrale e monarchico, e all'affermazione della potenza francese ai danni degli Asburgo d'Austria e di Spagna.
Dapprima il Richelieu non forzò la situazione interna e si limitò, all'estero, a fare opposizione agli Spagnoli, che tentavano di insediarsi stabilmente nella Valtellina con il pretesto che quella regione, di lingua italiana e di religione cattolica, era dominata dalla popolazione dei Grigioni, svizzera e protestante (Guerra della Valtellina, 1620-1626).
Poi il Richelieu affrontò gli Ugonotti e la nobiltà che contrastavano all'interno dello Stato l'esercizio di un potere assoluto da parte della monarchia. Con estrema energia egli fece attaccare per terra e per mare la cittadella degli Ugonotti, La Rochelle, che dovette capitolare per fame (1628); con l'anno successivo gli altri punti fortificati dei calvinisti nella Francia meridionale furono conquistati e il cattolicesimo ristabilito.
Intanto il Richelieu veniva sviluppando la sua azione anti-asburgica in campo internazionale, dapprima fomentando ostilità e guerre contro la Spagna e l'Impero senza parteciparvi direttamente, poi, dal 1535, assumendo una parte di primo piano nella Guerra dei Trent'Anni (ultima fase).

 

 

 

La Spagna e l'Impero tra '500 e '600. Le cause della guerra dei Trent'anni

 

 

La Spagna dopo Filippo II

 

La monarchia spagnola, dopo aver stabilito un primato in Europa al tempo di Carlo V e di Filippo II, era avviata verso un'irrimediabile decadenza. Una serie di sovrani inetti si succedettero sul trono di Spagna dal 1598 al 1700, mentre l'apparato burocratico si appesantiva e il paese era soggetto a un progressivo impoverimento, non solo per le continue guerre, ma anche per l'evidente mancanza di iniziativa degli Spagnoli in campo agricolo e industriale.
Malgrado ciò restava ancora florido il commercio con l'America, sia quello regolare che affluiva a Cadice, sia quello di contrabbando che si svolgeva fuori del controllo dell'amministrazione regia.
Anche l'organizzazione delle colonie nel suo insieme si era consolidata ed era migliorata per l'istituzione delle audiencias, consigli giudiziari e amministrativi, nelle località di maggior importanza e per la maggior libertà concessa agli indigeni.

 

Filippo III, successore di Filippo II, regnò dal 1598 al 1621; Filippo IV (1621-1665), sovrano amante del lusso e del piacere, si affidò per il governo del paese al conte di Olivares, energico e intelligente ministro che si adoperò per ridurre le spese di corte e rendere più rapida ed efficiente l'amministrazione statale.
Nel 1621 l'Olivares ruppe la tregua con le Province Unite e intervenne poi direttamente nella Guerra dei Trent'Anni, sebbene poi fosse costretto ad abbandonare la direzione del governo (1643) mentre ormai la guerra volgeva male per la Spagna.

 

Nel frattempo, già dal 1640, si era manifestato in Portogallo un movimento di separazione dalla Corona spagnola, la quale aveva assorbito il Portogallo nel 1580, conclusosi con la proclamazione a Lisbona di Giovanni IV di Braganza come nuovo sovrano nazionale (l'indipendenza del Portogallo sarebbe stata riconosciuta soltanto nel 1688).

 

Gli Asburgo d'Austria

 

Ferdinando II (1556-1564) e Massimiliano II (1564-1576), successori di Carlo V rispetto al titolo imperiale, furono molto tolleranti verso i sudditi non cattolici, in deroga alla prima clausola della pacificazione di Augusta.
In seguito, al tempo di Rodolfo II (1576-1612), una crisi interna divise la dinastia asburgica in tre rami, ma il successore Mattia (1612-1619), fratello di Rodolfo, ritornò a governare con fermezza su tutti i territori costituenti l'eredità asburgica.
Contemporaneamente tornò a delinearsi il dissidio religioso, poiché i cattolici chiedevano com'era loro diritto, la restituzione dei beni della Chiesa secolarizzati dopo il 1552 (terza clausola della pacificazione di Augusta), ottenendo in ciò la protezione di Vienna, ormai decisamente orientata a favorire il movimento controriformistico nell'Europa centro-orientale. I protestanti, a loro volta, per resistere alla controffensiva cattolica, avevano costituito un'Unione Evangelica (1608), con a capo il calvinista Federico V elettore del Palatinato, e speravano nell'aiuto del re francese Enrico IV.
I cattolici, allora, formarono una Lega Cattolica (1609) guidata dal duca Massimiliano di Baviera. La ripresa del cattolicesimo, peraltro, si sarebbe accompagnata a una vigorosa manovra centralizzatrice, tendente a imporre a tutto il territorio imperiale la supremazia di Vienna.

 

La Guerra dei Trent'anni (1618-1648)

 

Ebbe il proprio epicentro in Germania, che ne risultò devastata.
Il motivo religioso, cioè il contrasto tra protestanti (soprattutto calvinisti) e cattolici all'interno dell'Impero, fece da sottofondo e costituì il pretesto del conflitto, accompagnandone le fasi, ma non fu certamente una vera e propria causa. Concorsero infatti, al suo scoppio e al suo sviluppo, altri contrasti di ordine economico e politico:
 - l'opposizione insanabile tra le tendenze autonomistiche dei principi tedeschi e quelle accentratrici ed egemoniche degli Asburgo;
 - le aspirazioni della Danimarca e della Svezia all'egemonia sul Baltico e quindi al possesso anche delle regioni della Germania (Mecklemburgo, Pomerania, ecc.) poste sulle rive meridionali di quel mare;
 - il ritorno della Francia a una politica europea di prestigio e naturalmente di opposizione ai due rami regnati degli Asburgo, quello spagnolo e quello imperiale.

 

 

 

Fase boema, fase danese e fase svedese

 

 

Fase boema (1618-1625)
La guerra ebbe dapprima il carattere di una contesa interna all'Impero, quasi di un dissidio feudale tra principi e imperatore.
Dall'imperatore Rodolfo II era stata concessa una certa libertà di culto agli hussiti-calvinisti boemi con la Lettera di Maestà del 1609; ma la tendenza successivamente palesata dall'imperatore Mattia a un maggiore accentramento politico e a una più energica azione controriformistica in Germania, suscitò la diffidenza e l'ostilità dei calvinisti tedeschi e cechi; tali sentimenti si acuirono quando si seppe che a Mattia sarebbe succeduto sul trono d'Austria e di Boemia (e probabilmente anche su quello imperiale) l'arciduca Ferdinando di Stiria, cugino di Mattia, di cui erano noti i sentimenti di cattolico intransigente.
Questa atmosfera di inquietudine, fomentata non solo dal timore religioso ma anche dall'antico contrasto tra l'elemento nazionale slavo e quello germanico che tendeva a dominare in territorio boemo, condusse presto alla guerra. Clamoroso fu l'episodio del 23 maggio 1618, segnale della rivolta antiasburgica: due messi imperiali furono gettati dalla finestra di una stanza del Castello di Praga (senza peraltro conseguenze mortali).
Invocando l'aiuto degli altri protestanti tedeschi, la nobiltà e i rappresentanti delle città ribelli scesero in campo, negando il riconoscimento del titolo regio e imperiale a Ferdinando II d'Asburgo (succeduto effettivamente a Mattia nel 1619) e acclamando re di Boemia il protestante Federico V, elettore del Palatinato.
Gli aiuti, tuttavia, affluirono più rapidamente agli Imperiali, i cui effettivi furono rafforzati da truppe spagnole, polacche e bavaresi, mentre i Boemi ebbero solo qualche soccorso dai calvinisti magiari della Transilvania e dal duca di Savoia; così la Boemia fu invasa da ogni parte e i ribelli furono vinti nella battaglia della Montagna Bianca, vicino a Praga, nel novembre 1620.
La nobiltà boema che aveva preso parte all'insurrezione venne privata dei beni e costretta ad abbandonare il paese, mentre funzionari austriaci vennero inviati insieme con missionari gesuiti a Praga per eliminare ogni residuo di eresia e di separatismo politico. L'elettore del Palatinato fu posto al bando dell'Impero e le sue terre furono occupate da Spagnoli e Bavaresi.

 

Fase danese (1625-1629)
La contesa sorta nella media Europa venne sempre più acquistando un aspetto internazionale per l'intervento diretto (militare) ed indiretto (diplomatico) dei maggiori Stati europei.
Infatti il ministro spagnolo Olivares si adoperava per costituire un'alleanza con quegli Stati e quelli città tedesche che fossero legati da interessi agli Asburgo, al fine di riprendere la guerra contro le Province Unite olandesi. Per contro la Danimarca, la Sassonia ed altri Stati protestanti, l'Inghilterra, costituirono un'alleanza all'Aja (1625) affidando la condotta della guerra a Cristiano IV di Oldenburg, re di Danimarca (1588-1648).
Ma le truppe imperiali, condotte da un nobile boemo di grande perizia militare, Alberto di Wallenstein (1583-1634), cacciarono i Danesi dalla Moravia e dalla Slesia e occuparono il Mecklemburgo; e Cristiano IV fu costretto ad accettare la Pace di Lubecca (1629).
In quegli stessi anni l'Olivares, perseguendo i suoi disegni di espansione spagnola in Europa, aveva fatto occupare la Valtellina, territorio appartenente ai Grigioni e di grande importanza per le comunicazioni tra il Milanese e l'Austria; l'opposizione della Francia, del duca di Savoia, di Venezia e delle Leghe svizzere dei Grigioni lo indusse tuttavia a recedere dai suoi propositi abbandonando le terre occupate (1626); anche i suoi progetti di costituire una lega in Germania fallirono per l'opposizione di Massimiliano di Baviera che non voleva accettare la supremazia spagnola al centro dell'Europa.
Dal canto suo il Richelieu, dopo il successo conseguito contro gli Ugonotti de la Rochelle e il rafforzamento del suo potere all'interno del paese, interveniva nella seconda guerra di successione per il Monferrato (1627-1631) a sostegno dei diritti del duca di Nevers contro la coalizione Savoia-Spagna-Impero, conquistanto Pinerolo, porta aperta verso l'Italia settentrionale, mentre Spagnoli e Imperiali compivano l'inutile e sanguinoso saccheggio di Mantova (1630).

 

Fase svedese (1630-1635)
Poco dopo la guerra si riaccendeva più violenta che mai nei paesi tedeschi a causa dell'intervento diretto di Gustavo Adolfo, re di Svezia e campione del protestantesimo europeo. Questo principe giovane e audace, che regnò dal 1611 al 1632, aspirava ad accrescere l'importanza europea del suo regno e in primo luogo ad affermare la potenza svedese sulle rive meridionali del Baltico. Sebbene la situazione estremamente mutevole nei paesi tedeschi offrisse buone prospettive ad una penetrazione svedese nella Pomerania e lungo il fiume Weser, le difficoltà apparivano ugualmente gravi a causa dell'atteggiamento ostile della Danimarca e della scarsa stabilità dei possibili alleati, la Francia e l'Olanda.
Grazie all'aiuto finanziario francese Gustavo Adolfo fu però in grado di mettere in campo un forte esercito nazionale, formato in gran parte da soldati tratti dai ceti contadini, che lo seguivano con slancio e fedeltà fidando nelle sue doti di geniale condottiero. Dopo alcune incertezze iniziali i principi tedeschi di Sassonia e del Brandeburgo si unirono alla Svezia vincendo gli imperiali a Breitenfeld (1631), presso Lipsia; il duca di Sassonia poté spingersi fino a Praga, occupandola, mentre Gustavo Adolfo, attraversò la Turingia, giungeva al Reno presso Magonza.
Il Richelieu, però, che non gradiva una superiorità troppo netta del principe luterano svedese nell'Europa centrale, bastandogli, ai suoi fini, un forte indebolimento degli Asburgo, fece occupare da truppe francesi la Lorena, ducato di sovranità imperiale, dove già la Francia possedeva i vescovadi di Toul, Metz e Verdun. Né poi furono accettate dal cardinale francese le proposte di Gustavo Adolfo che sollecitava un intervento diretto della Francia nella guerra anti-asburgica, promettendo in cambio la cessione dell'Alsazia: oltre alle ragioni già dette, tratteneva il Richelieu dall'accettare la proposta una rivolta scoppiata contro il suo governo nella Francia meridionale, con la partecipazione del duca d'Orleans, fratello del re (1631).
Intanto  l'esercito imperiale si andava riorganizzando sotto il comando del Wallenstein, in un primo tempo destituito dal comando ma ora, nell'urgenza del pericolo, richiamato dall'imperatore. Gustavo Adolfo e il Wallenstein, che forse aspirava al trono di Boemia, stabilì segrete intese con gli avversari. Venuto a conoscenza di ciò l'imperatore Ferdinando II, dopo averlo di nuovo privato del comando dell'esercito, lo fece assassinare (1634).
Nonostante questi ultimi avvenimenti la pace tardava a ristabilirsi in Germania per le incessanti manovre della Francia, che aveva terminata l'invasione della Lorena con l'occupazione di Nancy, e della Spagna che non voleva perdere le vie di comunicazione coi Paesi Bassi attraverso la Franca Contea e l'Alsazia. Infine, dopo un nuovo successo degli imperiali a Nördlingen si giunse alla Pace di Praga (1635) con cui l'imperatore concedeva un'amnistia generale.

 

 

 

La fase francese e la pace di Westfalia

 

 

Fase francese (1635-1648)
L'intervento diretto della Francia nella lotta diede alla Guerra dei Trant'Anni l'aspetto di un'ulteriore fase del secolare duello franco-spagnolo in Europa.
Nella primavera del 1635 il re di Francia Luigi XIII dichiarò guerra alla Spagna prendendo come pretesto l'imprigionamento dell'arcivescovo elettore di Treviri, che era sotto la protezione francese, da parte delle truppe spagnole giunte ad occupare la città. Con la Francia, che aveva l'aiuto degli Svedesi rimasti in Alsazia, si allearono le Province Unite, il duca di Savoia e il duca di Mantova; dalla parte della Spagna si schierò invece l'imperatore Ferdinando II, cui successe poco dopo il figlio Ferdinando III (1637-1657).
Le vicende militari che seguirono furono varie e complesse: gli Olandesi occuparono Breda, mentre i Francesi riuscirono a penetrare nel Rossiglione, approfittando di una rivolta scoppiata in Catalogna (1642). Nell'aprile 1642 morì il Richelieu, ma il cardinale Mazzarino, che gli successe al governo della Francia sotto la reggenza di Anna d'Asburgo (anche Luigi XIII morì nel 1643), perseguì la stessa politica. In Spagna, invece, l'Olivares era caduto in disgrazia e aveva perso ogni potere.
Infine nel 1643 il principe francese Luigi di Condé, duca d'Enghien (il «Gran Condé») riportò la schiacciante vittoria di Rocroi sul fronte fiammingo, che segnò la fine irrimediabile del predominio militare spagnolo in Europa. Il ritiro dalla guerra di Massimiliano di Baviera, stanco di non ricevere adeguati aiuti dall'imperatore, le vittorie militari dei francesi e l'avvio di trattative di pace da parte degli Olandesi, che non avrebbero accettato di buon grado la scomparsa dei Paesi Gassi spagnoli e quindi la vicinanza immediata della potente Francia, prepararono la pace a cui infine si giunse nel 1648.

 

Gli accordi internazionali che costituirono la Pace di Westfalia (ottobre 1648) furono conclusi separatamente a Münster tra la Francia e l'Impero e a Osnabrück tra l'Impero e la potenza protestanti: essi non solo posero fine alla guerra dei Trent'Anni, ma segnarono anche l'inizio di un nuovo periodo della storia europea. Con la pace di Westfalia, infatti, si chiuse il periodo delle guerre di religione e della Controriforma cattolica e si iniziò l'età dell'assolutismo.
Con la pace di Westfalia fu riconosciuta dalla Spagna l'indipendenza della Repubblica delle Province Unite; la Francia ottenne conferma del possesso dei vescovati di Metz, Toul e Verdun, dell'occupazione di Pinerolo, in Piemonte, e la cessione da parte degli Asburgo dei territori ereditari d'Alsazia (comprese una decina di città, ma esclusa Strasburgo); il figlio di Federico V, Carlo Luigi, riebbe parte del Palatinato e la dignità elettorale, che fu però riconosciuta anche al duca di Baviera (l'ottavo Grande Elettore); Federico Guglielmo di Hohenzollern, marchese di Brandeburgo, che aveva preso parte alle ultime vicende della guerra, otteneva un allargamento territoriale, annettendo parte della Pomerania orientale e alcune località della Renania e dell'Elba; alla Svezia, infine, veniva concessa la Pomerania occidentale, con le città di Stralsunda e di Stettino, i vescovadi di Brema e di Verden e la facoltà di partecipare alla Dieta imperiale.

 

 

 

L'Europa nel 1648 alla fine della guerra. Gli ultimi anni di regno di Elisabetta Tudor

 

 

Il beneficio dell'uguaglianza religiosa e della libertà di culto  veniva riconosciuto dall'imperatore non solo ai luterani (come nel 1555) ma anche ai calvinisti tedeschi; l'anno per la restituzione dei beni ecclesiastici fu portato al 1624 e infine la norma del cuius regio eius et religio venne attenuata con la concessione ai dissidenti della possibilità di emigrare senza perdere i propri beni.
All'interno dell'Impero si confermavano i poteri della Dieta imperiale e si riconoscevano ai principati e alle città libere tali facoltà da renderli veri e propri Stati indipendenti. La pace di Westfalia segnava il fallimento dei tentativi di accentramento degli Asburgo, la fine della Controrifoma cattolica, il riconoscimento della supremazia svedese nel Baltico, il progresso della monarchia francese verso il Reno, la decadenza della monarchia spagnola. Il “Sacro Romano Impero della nazione tedesca” non aveva più in realtà nulla di sacro e non era altro che una confederazione di Stati grandi e piccoli, assolutamente privi di coesione e di unità politica. I vari trattati elaborati nel 1648 stabilivano ormai un sistema pluristatale, garantito dal principio della parità giuridica tra le varie potenze maggiori e minori; in tale sistema la pace poteva essere assicurata solo dall'equilibrio tra i diversi gruppi di Stati, in modo da impedire il sorgere di una potenza egemonica tanto forte da dominare, da sola tutte le altre.

 

L'Inghilterra sotto gli Stuart

 

La regina Elisabetta morì nel 1603. Gli ultimi suoi anni di regno erano stati turbati da moti di protesta popolare, di cui se erano resi interpreti i Comuni, per il regime monopolistico imposto su taluni generi di prima necessità (sale, vino, stagno, ecc.) dalle Compagnie commerciali privilegiate (Chartered Companies).
La monarchia, d'altronde favoriva lo sviluppo delle compagnie perché, partecipando ai loro ingenti profitti, acquistava maggiore possibilità di sottrarsi al controllo finanziario del Parlamento. In quegli stessi anni si venne accentuando un fenomeno di trasformazione agraria in corso dal secolo precedente, detto «recinzione dei campi» (enclosures), per cui i proprietari terrieri ordinarono la chiusura per mezzo di siepi delle grandi estensioni di terre coltivate a cereali, trasformandole in pascoli adatti all'allevamento degli ovini e alla produzione della lana. Questo fenomeno, seppure ancora limitato, causò l'esodo di molti fittavole e contadini che, ridotti alla miseria, affluirono nelle città, assoggettandosi alle più dure condizioni di lavoro, quando non preferirono, trasferirsi nelle colonie del Nord America.
Nel complesso l'assolutismo temperato di Elisabetta e l'intraprendenza dei suoi ministri e dei suoi «mercanti di ventura» avevano largamente arricchito il tesoro pubblico e suscitato un vigoroso spirito nazionale.

 

 

 

L'Inghilterra sotto gli Stuart

 

 

Ad Elisabetta Tudor successe Giacomo Stuart (Giacomo VI di Scozia), figlio di Maria Stuart e pronipote di Enrico VII Tudor. Assunse il governo dei tre Regni di Inghilterra, Scozia e Irlanda, prendendo il nome di Giacomo I (1603-1625).
Giacomo I perseguì fin da principio, con un'ostinazione che i suoi modi autoritari resero oltremodo sgradita al popolo inglese, un programma di governo assolutistico fondato sul rigoroso riconoscimento del diritto divino dei re e sul potenziamento della gerarchia episcopale anglicana.
Elisabetta aveva appoggiato l'organizzazione ecclesiastica anglicana, che conservava molti aspetti esteriori della liturgia cattolica, ma era sostanzialmente aderente alla riforma protestante nella dottrina, e si era opposta alle varie sette religiose non-conformiste, come i Puritani e i Presbiteriani. I non conformisti o dissenzienti non accettavano l'imposizione di un libro comune di preghiere (Book of common prayer) e con esso l'uniformità di culto imposta dai vescovi anglicani ed esigevano una rigorosa eliminazione di ogni residuo di cattolicesimo dalla Chiesa inglese; inoltre queste comunità religiose avevano la tendenza ad organizzarsi in forma democratica ed elettiva, ripudiando la gerarchia vescovile e sottraendo con ciò al sovrano un'ottima possibilità di servirsi della Chiesa ufficiale come strumento di governo assoluto. L'intelligenza politica e il prestigio personale di Elisabetta avevano salvato la concordia nazionale evitando il sorgere di opposizioni irriducibili; la regina era stata favorita anche dal fatto che l'aristocrazia feudale, più di ogni altro ceto sociale inglese in grado di costituire un'opposizione al sovrano, era uscita semidistrutta dalle guerre del secolo XV (Guerre dei Cento anni e delle due Rose).

 

Ora, invece, Sotto gli Stuart la situazione si configurava in modo diverso, perché da un lato l'aristocrazia si era rinsanguata e ricostituita, dall'altro il Parlamento si giovava dell'apporto di un gruppo puritano e non conformista, che pur essendo una minoranza, aveva fermi propositi e idee proprie in fatto di religione e di governo nazionale. Così, di fronte alle tendenze esplicitamente assolutistiche di Giacomo I Stuart ed alle forme gerarchizzate e cattolicizzanti della Chiesa Anglicana o “Chiesa di Stato” (Chiesa alta), insorse l'opposizione tenace e violenta del Parlamento e della fazione puritana.
Il Parlamento (soprattutto la Camera dei Comuni), incominciava inoltre a manifestare la volontà non solo di controllare l'imposizione dei sussidi straordinari da parte del re (funzione tradizionale), ma altresì di entrare nel merito dei pubblici affari e di accertare l'uso che la Corona faceva del denaro pubblico, particolarmente nei riguardi dell'armamento militare e della politica estera. I Comuni divenivano infatti sempre più l'espressione del ceto borghese, soprattutto dei mercanti londinesi che, in una Inghilterra ancora essenzialmente agricola, disponevano già di larghi capitali liquidi e, consapevoli della loro accresciuta importanza sociale ed economica, aspiravano ad inserirsi nel governo dello Stato attraverso gli istituti rappresentativi e parlamentari.
Contro Giacomo I si levarono presto accuse di papismo ed egli per liberarsene rimise in vigore talune leggi anticattoliche; allora furono i cattolici sotto la guida dei Gesuiti (minoranza nel paese) a reagire e a fomentare complotti e congiure, attirandosi l'odio popolare e numerose condanne (Congiura delle polveri, 1605). Questo non tranquillizzò la fazione puritana, che trasse motivo di scontento e di irritazione anche dalla politica passiva di Giacomo I in Europa durante le guerre di religione della prima metà del Seicento.
Giacomo I ruppe apertamente col Parlamento (in prevalenza calvinista) quando affermò che la gerarchia ecclesiastica di nomina regia era essenziale per la conservazione della monarchia e cercò di estendere alla Scozia la struttura organizzativa della Chiesa anglicana. Inoltre cercò di governare senza fare ricorso al Parlamento (dal 1614 al 1620), ma servendosi di collaboratori impopolari (come il duca di Buckingham e il filosofo Francesco Bacone, barone di Verulamio e Lord Cancelliere).

 

 

 

Il "Corto Parlamento" e la guerra civile

 

 

Quando a Giacomo I successe il figlio Carlo I (1625-1649), molteplici motivi di contrasto interno avviarono il paese a una crisi rivoluzionaria: il dissidio tra Corona e Parlamento, tra Chiesa anglicana e Sette puritane e non conformiste, tra la politica estera passiva degli Stuart ed il bisogno di espansione marittima e commerciale dei ceti borghesi.
Il paese fu sottoposto da Carlo I, dall'atteggiamento incerto, a un regime di assolutismo sistematico sia sul piano politico sia sul piano religioso. Tra l'altro il sovrano si unì in matrimonio con Enrichetta, figlia di Enrico IV di Francia e fervente cattolica. Inoltre si servì della collaborazione del conte di Strafford e dell'arcivescovo di Canterbury William Laud, moderato e propenso a un riavvicinamento al cattolicesimo.
Il Parlamento, convocato di necessità nel 1628 non si limitò a criticare la politica di Carlo, ma approvò una Petizione dei diritti che sottolineava con forza le prerogative parlamentari, ribadendo solennemente il principio secondo cui nessuna tassa e nessun altro tipo di contributo potevano essere imposti ai sudditi senza l'approvazione e il consenso del Parlamento. Il documento, inoltre, conteneva una serie di richieste relative all'esclusione del ricorso alla legge marziale e al rispetto del principio dell'habeas corpus.
Quando però il Parlamento tentò di opporsi alle novità filopapiste introdotte dal Laud nella Chiesa d'Inghilterra, il re lo sciolse e fece incarcerare i capi dell'opposizione (1629).
Negli anni successivi Carlo I regnò in maniera assolutistica. Tra l'altro, nel 1635, fu estesa a tutto il Regno una tassa (detta shipmoney) pagata nei tempi lontani dalle città costiere per la difesa contro le incursioni dei pirati e fu ripristinata la Camera Stellata (Star Chamber), un'alta corte di giustizia usata come strumento di repressione e di condanna degli avversari dell'assolutismo regio.
A questo punto il tentativo promosso dal Laud di imporre l'anglicanesimo anche agli Scozzesi, che avevano un Parlamento proprio ad Edimburgo ed erano in maggioranza fedeli alla Chiesa presbiteriana, suscitò la formazione di un comitato che preparò la rivolta armando segretamente un piccolo esercito.

 

La ribellione puritana

 

Nel 1640 l'Inghilterra era una monarchia di tendenze assolutistiche in cui il re, sovrano per diritto divino ed ereditario appariva l'arbitro della politica interna, della pace e della guerra, ed era il capo della Chiesa nazionale; egli si serviva per gli affari di governo di ministri o consiglieri privati della Corona, da lui stesso scelti o destituiti, e assegnava anche le maggiori cariche civili e religiose.
Il Parlamento, convocato e sciolto dal re, si componeva delle due tradizionali Camere (dei Lords e dei Comuni) e non era ancora in grado di esercitare un'effettiva opera di opposizione legislativa. Il vero ostacolo all'assolutismo monarchico era invece insito nella considerevole autonomia dell'amministrazione periferica e provinciale, affidata alla nobiltà locale e non a funzionari regi. Tale autonomia delle amministrazioni periferiche costituì la premessa per la realizzazione dello Stato monarchico-costituzionale e parlamentare, benché ciò potesse poi di fatto realizzarsi attraverso due rivoluzioni (la prima dal carattere violento e sanguinoso, la seconda a carattere più liberale e moderato).

 

Carlo I aveva governato facendo a meno del confronto con il Parlamento dal 1629 al 1640; in quell'anno fu costretto a convocarlo per ottenere i sussidi necessari a far fronte alla ribellione che si preparava contro di lui in Scozia.
Il dissidio politico-religioso che era maturato negli ultimi decenni entrò nella fase drammatica e risolutiva. Il paese si divise fra seguaci del re e fautori del Parlamento: rimasero fedeli allo Stuart quasi tutti i Lords, i prelati anglicani e una parte della media nobiltà (gentry); si pronunciarono invece a favore del Parlamento i Puritani e le altre sette non conformiste, i magistrati, i piccoli proprietari del contado e i ceti borghesi e mercantili di Londra e di altre città.
Convocato per la guerra contro la Scozia, Il Parlamento fu sciolto dal re Carlo I senza ottenere i sussidi sperati (Corto Parlamento, aprile-maggio 1640). Furono indette nuove elezioni e si costituì il cosiddetto Lungo Parlamento (1640-1653), che pur essendo composto da una maggioranza moderata, ottenne la condanna dei maggiori fautori dell'assolutismo monarchico, lo Strafford e il Laud; contemporaneamente chiese lo scioglimento delle corti di giustizia straordinarie (come la Camera Stellata) e l'abrogazione della tassa navale e delle più recenti disposizioni riguardanti il culto protestante.
Carlo I finse di cedere, apprestandosi però ad attuare un colpo di stato, ordinando l'arresto dei capi dell'opposizione parlamentare; ma gli avversari si sottrassero i tempo al suo ordine di cattura e così, vista l'impossibilità di controllare la situazione a Londra, Carlo I se ne allontanò, rifugiandosi ad Oxford, divenuta la roccaforte del partito monarchico (1642).
La guerra civile fu allora aperta e dichiarata.
Nella prima fase di essa (1642-1644) il conflitto si svolse con esito incerto e i «cavalieri», cioè i gentiluomini fedeli al re, ben addestrati all'esercizio delle armi, ottennero qualche successo, impedendo il collegamento tra gli Scozzesi e gli insorti di Londra.

 

 

 

La dittatura di Cromwell e la restaurazione degli Stuart

 

 

Nella seconda fase della guerra (1644-1646) i monarchici furono respinti verso il centro e l'ovest del paese ad opera delle truppe audaci e disciplinate che Oliviero Cromwell (1599-1658), gentiluomo di campagna trasformatosi in ferreo condottiero puritano, seppe organizzare con straordinaria abilità. I soldati che componevano ora il nerbo dell'esercito parlamentare provenivano in gran parte dalle classi medie o povere: piccoli borghesi, contadini e operai animati da un profondo ideale religioso puritano. Molti di essi rappresentavano una setta particolare del puritanesimo, quella degli Indipendenti a cui aveva aderito lo stesso Cromwell, i cui principi religiosi portavano a un'intransigente difesa della libertà religiosa individuale, escludendo qualsiasi mediazione di preti e di vescovi e favorendo la costituzione di congregazioni autonome (Congregazionalisti) di fedeli.
Ciò che rendeva particolarmente forti gli Indipendenti era la rigidezza del loro costume morale, l'esercizio della disciplina interiore e l'austerità (erano chiamati Teste rotonde o Teste rasate perché portavano i capelli corti per contrasto con le capigliature degli aristocratici lealisti monarchici) che li induceva a raccogliersi nella preghiera dei Salmi piuttosto che a dedicarsi ad atti di saccheggio e di entusiasmo orgiastico cui invece si abbandonavano comunemente le soldatesche del tempo.
Con questa New model army, tra cui si distingueva la cavalleria degli Ironsides (fianchi di ferro), capaci di far fronte alle impetuose cariche della cavalleria regia, la guerra fu condotta a fondo sotto il comando del Cromwell e del generale Fairfax, fino ad ottenere una schiacciante vittoria a Naseby (1645) con la conseguente caduta di Oxford e la fuga del re Carlo I in Scozia.
Il re fu poi consegnato al Parlamento inglese (1647), ma anche questo non era più in grado di controllare la situazione di cui erano diventati arbitri assoluti il Cromwell e il suo esercito. Così, da un parlamento ridotto ed epurato per ordine dello stesso Cromwell (Rump Parliament), furono tratti i membri del tribunale rivoluzionario che giudicò Carlo I condannandolo a morte. La sentenza fu eseguita il 9 febbraio del 1649.

 

La dittatura di Oliviero Cromwell

 

Il nuovo regime militare instaurato dal Cromwell non godeva dell'appoggio e delle fiducia della maggioranza del paese e il dittatore governò dapprima con un Parlamento assai ridotto; ma poi (dal 1653) raccolse nelle proprie mani tutti i poteri dello Stato, assumendo il titolo di Lord Protettore del Commonwealth d'Inghilterra, Scozia e Irlanda e servendosi soltanto di un Consiglio formato in gran parte da suoi ufficiali.
Perseguendo con energia una politica interna di unificazione nazionale, fece compiere una dura repressione in Irlanda, costringendo una parte della popolazione cattolica a trasferirsi nelle regioni povere dell'Ovest e assegnando le terre rimaste disponibili ai veterani della guerra civile; in Scozia, poi, prese le misure atte a combattere e a disperdere i seguaci del principe ereditario Carlo Stuart (il futuro Carlo II), figlio del re condannato, che infine dovette riparare in Francia. Si adoperò infine per frenare le tendenze estremiste che si manifestavano tra i suoi stessi seguaci, disperdendo e reprimendo le manifestazioni dei Levellers (egalitari) di John Lilburne, che chiedevano un rinnovamento totale della società inglese attraverso una nuova distribuzione della proprietà terriera e l'attuazione dell'uguaglianza politica.
Attenendosi poi alla migliore tradizione inglese (quella di Enrico VIII e di Elisabetta I), mirante ad affermare il prestigio dell'Inghilterra sul continente, sul mare e nelle colonie, conseguì rilevanti successi in politica estera nei confronti degli altri stati europei, anzitutto per la difesa del commercio marittimo inglese contro la concorrenza degli Olandesi, che disponevano di una ormai numerosa e ben attrezzata flotta mercantile e che assorbivano gran parte del traffico marittimo tra il continente, le colonie e i porti britannici. Nel 1651 impose con un Atto di Navigazione che il traffico commerciale avvenisse solo per mezzo di navi inglesi o di navi appartenenti ai paesi produttori delle merci importate, escludendo quindi la mediazione degli olandesi che fondavano la propria prosperità sul commercio di commissione e sul noleggio dei navigli. Ne seguì una guerra navale, che dopo alterne vicende, si concluse favorevolmente per l'Inghilterra, divenendo definitive le clausole dell'Atto di Navigazione.