Lezioni



CLASSE   III   -   Sintesi di Storia (4)

Classe III Classe IV Classe V
Sintesi
Testi
Verifiche
Sintesi
Testi
Verifiche
Sintesi
Testi
Verifiche
Terminologia storica


Riforma e politica; cavalieri e contadini

 

 

L'imperatore, eletto di recente a Francoforte, indugiava ad intervenire e ciò favorì la diffusione del movimento riformatore; quando Carlo V si decise ad intervenire era troppo tardi.
Intanto nell'acceso dibattito con gli esponenti della teologia cattolica Lutero veniva precisando la propria dottrina con tre scritti del 1520, intitolati Appello alla nobiltà cristiana di nazione tedesca, La cattività babilonese della Chiesa, La libertà del cristiano.
Nell'insieme, al Luteranesimo rimase sempre un fondo conservatore e, sotto l'aspetto politico, perfino reazionario.
Lutero aveva sperato, in un primo tempo, una volta aboliti gli ordini religiosi, l'episcopato, i privilegi economici del clero, il celibato, il culto superstizioso, le pratiche ipocrite ecc., di riorganizzare «dal basso» cioè su base popolare e democratica, la nuova Chiesa, ma ciò non gli fu possibile. Per resistere alla controffensiva di Roma e all'intervento armato dell'Imperatore, gli fu infatti necessario appoggiarsi ai principi tedeschi. Così, la nuova Chiesa sorse alle dipendenze (esteriori e tali da non toccare la coscienza ma non perciò meno reali) del potere politico e, liberata dal predominio del papa romano, divenne Chiesa di Stato soggetta ai principi, i quali, sia per la generale tendenza dei tempi ad accentrare nelle mani del sovrano tutti i poteri statali, compreso quello religioso, sia per i grandi vantaggi economici che si traevano dall'incameramento dei beni dei prelati espulsi o convertiti e degli ordini regolari soppressi, divennero i difensori più strenui della nuova fede religiosa.
L'esempio tipico del passaggio della proprietà terriera dalle mani degli ecclesiastici a quelle dei laici fu la secolarizzazione dell'Ordine Teutonico, ordine religioso cavalleresco che possedeva i territori della Prussia orientale. Nel 1525, essendo passati tutti i cavalieri dell'Ordine al luteranesimo, il Gran Maestro Alberto, cadetto degli Hohenzollern di Brandeburgo, costituì il Durato di Prussia come feudo personale ed ereditario sotto la sovranità del re di Polonia.

 

Della protezione dei principi, poi, Lutero non tardò ad avere bisogno, e fu grazie ad essa se poté evitare la fine toccata cento anni prima al boemo Giovanni Hus.
Nell'estate 1520, infatti, con la bolla Exsurge Domine il papa Leone X invitò Lutero a ritrattare; quegli, tuttavia, bruciò pubblicamente la bolla sulla piazza di Wittenberg, e pochi giorni dopo, con il decreto Decet Romanum Pontificem fu scomunicato (gennaio 1521). Invitato a presentarsi con un salvacondotto a Worms ad una dieta presieduta da Carlo V, Lutero vi si recò a difendere le proprie tesi (1521), ma durante il viaggio di ritorno fu rapito da un gruppo di cavalieri mascherati che, per ordine dell'elettore Federico di Sassonia, lo condussero al sicuro nel Castello della Wartburg in Turingia.
Quasi contemporaneamente veniva emesso l'ordine per cui egli era posto al bando dell'Impero e perseguibile dal potere civile.
Nella solitudine della Wartburg Lutero iniziò la traduzione della Bibbia in tedesco (terminata nel 1534), fatto importante non solo per la diffusione dei libri sacri tra le classi popolari, ma anche per la formazione di una comune lingua moderna tedesca.

 

Il radicalismo protestante e le sue conseguenze sociali

 

Negli anni seguenti la personalità di Lutero passò in parte in secondo piano nello sviluppo della Riforma, superata dalla coerenza intransigente dei suoi stessi discepoli, che cercando di applicare alla realtà religiosa e sociale un ideale da essi giudicato più aderente del luteranesimo agli insegnamenti evangelici, suscitarono tra le popolazioni movimenti di fanatismo e sanguinose rivolte.

 

Già nel 1522-23 a Treviri, nel Württemberg ed in Baviera era sorta una violenta agitazione dei cavalieri (la piccola nobiltà tedesca), guidati da Franz von Sikingen e da Ulrico von Hutten, che intendevano aver parte nell'occupazione delle ex proprietà ecclesiastiche, operata esclusivamente dai grandi feudatari.
Domata da questi ultimi la ribellione dei cavalieri, scoppiò poi la rivolta dei contadini (1524-25), che si propagò dal Reno al Tirolo, dalla Baviera alla Turingia.
L'animatore era Tommaso Münzer, che alle popolazioni rurali, asservite all'economia feudale, predicava la comunanza dei beni e una religione senza ministri e senza liturgia.
Bande di contadini percorsero le campagne bruciando castelli e devastando le chiese; Lutero, dal canto suo, dopo aver inutilmente esortato alla pace, dichiarò pubblicamente che la libertà e l'uguaglianza appartengono all'interiorità della coscienza, ma non possono sussistere nella società esteriore, che è soggetta all'autorità civile e politica, voluta da Dio e pertanto indiscutibile, e contro quelle «empie e scellerate bande» di rivoluzionari invocò l'intervento dei principi.
Le repressioni furono implacabili. A Frankenhausen (1525) la rivolta fu schiacciata con le armi e vennero così confermati il carattere conservatore del luteranesimo e la sua alleanza col potere assoluto dei principi.

 

 

 

L'anabattismo; Zwingli in Svizzera

 

 

Le tendenze comunistiche ripiegarono allora ai margini del protestantesimo, nell'Anabattismo.
I fautori di questa setta, che traeva il nome dalla pratica di impartire un nuovo battesimo agli adulti, raccolsero numerosi aderenti tra il proletariato della Westfalia e dei Paesi Bassi e riuscirono a fondare a Münster un «Regno comunista di Sion» (Sion è l'altura su cui sorge Gerusalemme in Palestina), che nel 1535 fu distrutto dalle truppe dei principi tedeschi.

 

Nei Cantoni svizzeri svolse una importante predicazione riformistica Ulrico Zwingli (1484-1531), che si valse della collaborazione del tedesco Ecolampadio (Giovanni Heuszegen).
Lo Zwingli, che ebbe fortuna specialmente a Zurigo e a Basilea, attenuava il rigore della dottrina del peccato sostenuta da Lutero, restituendo dignità e valore all'uomo, in quanto investito della Grazia, ma intendeva insegnare secondo il puro Evangelo, l'abolizione di tutti i sacramenti, da considerarsi esclusivamente come simboli, l'abolizione della Messa, sostituita dalla Cena come semplice commemorazione, dalla lettura del Vangelo e dal sermone.
Nel 1529, però, Zwingli venne in urto con Lutero sul valore sacramentale da attribuire all'Eucarestia; due anni dopo, scoppiata una guerra tra i Cantoni svizzeri riformatori e la Lega dei Cantoni cattolici del centro, Zwingli, ferito nella battaglia di Kappel (1531), fu ucciso dai suoi avversari cattolici. La sua riforma rimase limitata ai Cantoni svizzeri tedeschi, con qualche influsso sulle vicine città renane.

 

 

 

La "protesta", la confessio augustana e la Lega di Smalcalda

 

 

La grande nobiltà tedesca non era però tutta dalla parte riformista; un'alleanza di principi cattolici si costituì con l'adesione dell'arcivescovo di Magonza, dell'elettore del Brandeburgo e del duca di Brunswick.
Costoro invocarono l'intervento dell'imperatore, verso cui inclinava favorevolmente anche la media nobiltà dei cavalieri, oppressi e vinti qualche anno prima dai grandi feudatari.
Carlo V, impegnato nella lotta contro la lega di Cognac e Francesco I, aveva dovuto fare alcune concessioni alla libertà religiosa dei luterani (Prima dieta di Spira, 1526), ma, conclusi coi suoi diretti avversari gli accordi preliminari alla pace di Cambrai, aveva, in una seconda dieta, tenuta a Spira nel 1529, ritrattate molte delle concessioni fatte, suscitando la solenne «protesta» dei principi luterani, da cui derivò il nome di protestanti agli aderenti di quella corrente religiosa.
Essendo poi fallito il tentativo di unificare le diverse correnti riformistiche, per l'impossibilità di un accordo tra Lutero e Zwingli su importanti questioni dogmatiche, l'imperatore, che desiderava un accomodamento (secondo i suggerimenti dell'erasmiano irenista suo consigliere Mercurino da Gattinara), riunì una nuova dieta ad Augusta (1530).
In quell'assemblea il teologo luterano Melantone espose una sintesi della fede evangelica (Confessio Augustana) dai toni molto moderati e concilianti, sia verso il cattolicesimo sia verso il radicalismo zwingliano. La riunione, tuttavia, si concluse ancora con un insuccesso e nel novembre di quello stesso anno Carlo V, condannando il moto riformatore protestante e i suoi capi, ordinava nelle terre dipendenti dalla sua suprema autorità il ristabilimento della gerarchia cattolica e la restituzione dei beni confiscati.
Dopodiché fu guerra aperta tra l'imperatore e i principi luterani, stretti nella Lega di Smalcalda (1531), capeggiati da Giovanni di Sassonia e Filippo d'Assia e sorretti dalla interessata alleanza del re di Francia.
La lotta, con qualche momentanea tregua, si protrasse fino alla successiva pacificazione di Augusta (1555), che fu una sostanziale vittoria dei riformatori; le clausole della pacificazione furono:
 - Jus reformandi (diritto di riformare la Chiesa), cioè la libertà di culto, ai soli luterani;
 - Cuius regio eius et religio (“la religione vigente è quella di colui di cui è il potere”), cioè i sudditi devono seguire la religione dello Stato, ma ai dissidenti viene concesso di emigrare;
 - Reservatum ecclesiasticum (la riserva sui beni ecclesiastici), cioè la restituzione alla Chiesa cattolica dei beni ecclesiastici passati ai luterani dopo il 1552.
Gli avvenimenti di quel periodo si confusero con quelli politico-militari delle guerre franco-asburgiche.

 

La diffusione del Protestantesimo. Calvino

 

Il Luteranesimo si sviluppò rapidamente nei paesi della Germania centrale e settentrionale e nei Paesi scandinavi.
In genere in questi paesi il sorgere di Chiese luterane di Stato era favorito da una struttura sociale ancora di tipo feudale, in cui l'aristocrazia aveva come obiettivo immediato l'incameramento dei beni terrieri dei vescovi e degli abati cattolici.
Più lenta fu invece la penetrazione delle nuove idee religiose in Boemia, in Polonia, in Baviera e in Austria.

 

 

 

La riforma in Europa; l'atto di supremazia in Inghilterra

 

 

Nei Paesi Bassi un centro di diffusione fu Anversa, città in cui affluivano assai numerosi i mercanti tedeschi. Colà, il governo della reggente Margherita d'Austria dapprima non si oppose, finché Carlo V non diede ordine di reprimere risolutamente ogni moto protestante nei suoi possessi ereditari (principalmente in Austria e nei territori ex borgognoni). Erasmo da Rotterdam, l'insigne umanista olandese, dovette abbandonare la città di Lovanio, la cui università fu riconquistata al cattolicesimo, e rifugiarsi a Basilea, benché il suo atteggiamento di fronte alla Riforma protestante non potesse essere incondizionatamente favorevole in ragione della totale svalutazione della virtù dell'uomo (presupposto della dottrina luterana) e dei metodi violentemente anticattolici, antipapali e scismatici usati dai riformatori.
Nei Regni scandinavi la riforma religiosa si collegò strettamente con le vicende politiche e dinastiche che portarono nel 1523 alla rottura definitiva dell'Unione di Kalmar, creando una dinastia nazionale svedese con Gustavo Vasa, eletto re di Svezia in quell'anno stesso. In conseguenza di ciò fu tolto ai prelati svedesi, possessori di terre, l'aiuto del re di Danimarca Cristiano II, che d'accordo con la S. Sede disponeva della nomina di quei benefici, e fu introdotta la riforma (1527). I beni sottratti al clero cattolico restarono a disposizione della Corona svedese e re Gustavo si fece riconoscere quale vero capo della Chiesa riformata nazionale, che tuttavia mantenne la gerarchia vescovile facente capo al primate di Upsala.

 

In Inghilterra la riforma fu opera quasi esclusiva del sovrano.
La preparazione umanistica era stata intensa per opera di Erasmo da Rotterdam, di Tommaso Moro (Thomas More) e, dal 1523, dell'umanista Giovanni Vives di Valenza, ma non era nelle intenzioni di costoro di arrivare allo scisma, bensì solo al rinnovamento interno della Chiesa.
Tommaso Wolsey, arcivescovo di York, ottenuti da papa Leone X i poteri eccezionali, aveva infatti compiuto un'intensa opera di risanamento tra il clero e gli ordini regolari e Tommaso Moro, che nell'Utopia (1516) aveva svolto un'originale critica alle istituzioni tradizionali, non accettava compromessi con la teologia luterana, giustificando invece l'insegnamento dei papi e dei concili con la necessità della Chiesa di adattare la dottrina alle mutevoli condizioni della società.
L'iniziativa di staccarsi da Roma venne dal re Enrico VIII Tudor (1509-47), che pure si era meritato dal papa Leone X il titolo di Defensor Fidei per un suo opuscolo contro Lutero in difesa del dogma cattolico dell'eucaristia.
Il re d'Inghilterra giunse a quella determinazione in seguito ad una sua personale contesa col papa Clemente VII, che non intendeva annullare il suo matrimonio con Caterina d'Aragona — ottenuto in precedenza con apposita dispensa papale, vista la parentela tra i due promessi — e i risultati si accordarono perfettamente con i suoi propositi di governo assoluto.
Gli avvenimenti dal 1530 si susseguirono incalzanti: il Wolsey, caduto in disgrazia per la vicenda matrimoniale, morì mentre veniva condotto in carcere sotto l'accusa di alto tradimento; Tommaso Moro si dimise dalla carica di cancelliere; un'assemblea di vescovi e teologi annullò il matrimonio con la principessa aragonese, mentre Enrico sposava Anna Bolena (Boleyn), dama d'onore della regina ripudiata e motivo del divorzio.
Scomunicato dal papa Clemente VII, Enrico VIII fece votare dal Parlamento l'Atto di Supremazia, con il quale era attribuito al sovrano ogni potere sulla Chiesa nazionale per tutto ciò che riguardasse l'organizzazione e la disciplina (1534).
Anche in Inghilterra, come in Germania, si rivendicava la libertà della Chiesa da Roma per sottometterla allo Stato. L'opposizione cattolica fu però vivace e portò al martirio numerosi preti e frati, specialmente francescani, rimasti fedelissimi a Roma; anche l'umanista Tommaso Moro salì il patibolo, dando prova di suprema fermezza d'animo.
Così fu attuata la Prima riforma anglicana, che senza intaccare in profondità la dottrina cattolica, fu rivolta sopra tutto a sopprimere gli ordini religiosi ed a porre la gerarchia ecclesiastica totalmente alle dipendenze del sovrano; furono conservati gran parte del rito cattolico, i vescovi e il celibato del clero.

 

In Francia tentativi di riforma religiosa furono operati indipendentemente dalla volontà del sovrano, Francesco I, che pur dimostrandosi, per ragioni politiche, favorevole alla ribellione dei principi luterani tedeschi contro Carlo V, tuttavia non aveva interesse a staccarsi da Roma che, col Concordato del 1516, gli aveva attribuito la disponibilità della maggior parte dei beni ecclesiastici francesi.
Forti correnti di simpatia per la Riforma si svilupparono nelle città francesi, dove le tendenze gallicane erano sempre vive e profonda l'ammirazione per l'evangelismo d'Erasmo da Rotterdam e di Lefèvre d'Étaples e per l'opera di risanamento del clero compiuta dal vescovo Briçonnet nella sua diocesi di Meaux.
Centro di irradiazione delle idee anticattoliche fu Lione, luogo di incontro di gente diversa per la vicinanza del confine e sede di un ceto borghese ed operaio libero e vivacemente curioso delle posizioni eterodosse.
Parigi, invece, con la sua Università, restava sempre la cittadella del Cattolicesimo.

 

 

 

La Francia e il calvinismo

 

 

L'atteggiamento benevolo di Francesco I verso i fautori delle idee riformiste mutò però d'improvviso dopo che, nella notte tra il 17 e il 18 d'ottobre 1534, una serie di violentissimi manifestini (placards) contro la "messa papale" furono affissi alle porte del Castello reale di Amboise. Ne seguì una serie di arresti e di condanne, anche capitali, ordinate dal Parlamento di Parigi, consenziente il re.
Due anni dopo (Editto di Lione, 1536) fu concessa un po' di tolleranza, ma dopo breve tempo, per il prevalere della parte cattolica, furono ripresi i provvedimenti persecutori.

 

All'incirca in quegli anni (dopo il 1541) cominciarono ad avere largo seguito in Francia le dottrine religiose di Giovanni Calvino (1509-64), un giovane teologo francese di Noyon (Piccardia), rifugiatosi in Svizzera nel 1534.
Originario di una famiglia della borghesia ecclesiastica, Calvino (forma latinizzata dell'originario Cauvin) si éra formato una solida cultura scolastica e giuridica a Parigi ed a Orleans. Orientato verso il riformismo, ruppe decisamente i legami con la Chiesa romana e, prima a Strasburgo poi a Basilea, raccolse e sviluppò l'insegnamento radicale di Zwingli.
Nel 1536 dava alle stampe la prima edizione della Christianae religionis institutio, in cui radicalizzava la dottrina luterana della predestinazione trasformandola in quella della doppia predestinazione, secondo la quale dall'eternità, per suo insondabile ed insindacabile decreto, Dio destina la massa alla dannazione e pochi eletti alla salvezza, a prescindere da qualsiasi considerazione della loro condotta morale. Secondo Calvino il destino di ciascun singolo è avvolto nella più completa oscurità, potendosi soltanto congetturare una possibilità di speranza nella salvezza a partire dalla fortuna goduta in vita.
Nel Calvinismo apparivano altri motivi fecondi di sviluppo l'uno fu l'applicazione del principio democratico della scelta dei ministri o pastori del culto evangelico, per cui essi venivano eletti dai fedeli e le comunità erano dirette da un Concistoro di pastori e laici insieme; l'altro principio, di ordine teocratico, costringeva  la società laica ad organizzarsi secondo il Vangelo, così la Chiesa avrebbe guidato e controllato l'opera del magistrato civile.
Un'applicazione di questa forma di teocrazia fu fatta da Calvino stesso a Ginevra. La città, abitata da ricchi borghesi e intraprendenti mercanti, si trovava ai confini tra la zona di influenza svizzera, francese e savoiarda. Sottrattisi alla effettiva signoria dei duchi di Savoia, che per tradizione detenevano il titolo di Visdomini della città, i Ginevrini avevano accolto la Riforma protestante, predicata da Guglielmo Farel (1535-37). Calvino, che da Basilea si era recato per breve tempo alla Corte di Ferrara, ospite della duchessa Renata di Francia, moglie di Ercole II d'Este e fautrice del Protestantesimo, nel luglio del 1536 fu chiamato dal Farel per organizzare a Ginevra la Chiesa riformata. Calvino volle applicare le sue idee teocratiche, ma trovò dapprima una forte opposizione, e così, nel 1537, dovette allontanarsi dalla città. Il suo ritorno, nel 1541, fu però trionfale. Da allora fino alla morte (1564) fu il vero arbitro di Ginevra, in cui cercò, attraverso una serie di Ordinanze ecclesiastiche, di realizzare una Repubblica evangelica.
Il Calvinismo si diffuse rapidamente nell'Europa occidentale, trovando un terreno favorevole sopra tutto nei paesi a struttura borghese e capitalistica, dove favorì lo sviluppo di libere comunità repubblicane e le forme dell'autogoverno.
Asilo per i calvinisti fu la corte di Margherita di Navarra, sorella di Francesco I, a Nérac, da cui la dottrina calvinista penetrò nelle città francesi, trovando numerosi aderenti. In Olanda, poi, il Calvinismo prevalse sul Luteranesimo, mentre in Scozia trovò molti aderenti per la predicazione di Giovanni Knox, organizzatore della Chiesa presbiteriana

 

 

 

L'EPOCA di CARLO V

 

 

Le forze internazionali

 

La pace stipulata a Cambrai nel 1529 non segnò che una breve pausa nel conflitto tra la Francia e l'Impero.
In base a successivi accordi, a Milano veniva ristabilita la signoria di Francesco II Sforza con la condizione che, alla sua morte, il ducato sarebbe stato occupato direttamente dagli Imperiali; rinunciando alla conquista della Lombardia, però, il re di Francia aveva ottenuto che l'imperatore abbandonasse ogni pretesa sulla Borgogna.
Negli anni immediatamente seguenti, a renderne più complessa la situazione, intervennero altri fattori:
 - la guerra dei principi tedeschi, protestanti, riuniti nella Lega di Smalcalda (1531) contro l'Imperatore cattolico;
 - l'espansione turca verso l'Austria-Ungheria e la conseguente alleanza tra Francesco I e il Sultano;
 - l'afflusso dei primi ingenti quantitativi di metalli preziosi dalle colonie spagnole e portoghesi, che ebbe un peso rilevante sulle vicende politico-militari e provocò importanti trasformazioni sociali in tutti i paesi europei.

 

Dopo il 1530 l'Italia non è più l'epicentro della lotta, che assume il carattere e l'ampiezza di un conflitto europeo.
La sorte della Penisola per un lungo periodo è ormai decisa ed i decenni tra la pace di Cambrai (1529) e il trattato di Cateau Cambrésis (1559) non potranno che confermare e rafforzare la dominazione spagnola, dopo le ultime, isolate velleità di indipendenza.

 

L'Europa viene delineando il suo aspetto moderno, con la divisione religiosa fra protestanti e cattolici, la presenza dei Turchi nel Mediterraneo, la preponderanza degli Stati occidentali, Francia, Inghilterra e Spagna.
In questo stesso periodo la Chiesa cattolica, prendendo coscienza del pericolo che la minaccia, raccoglie le forze per una resistenza al protestantesimo e pone le basi di un rinnovamento interno che si rivelerà vigoroso ed efficace.

 

In questo contesto si profilava la posizione caratteristica dell'Inghilterra espressa soprattutto da quella che sarebbe divenuta una direttiva costante della politica inglese: il mantenimento dell'equilibrio europeo, in modo da impedire che uno Stato continentale, estendendo la sua egemonia sugli altri, formasse un blocco tale da minacciare l'indipendenza dell'isola; e tale equilibrio veniva salvaguardato con opportuni e ben dosati interventi a favore della parte che appariva soccombente.

 

 

 

L'espansione turca e la Guerra di Smalcalda

 

 

L'Impero turco, dal canto suo, era ormai entrato nel novero delle potenze europee ed appariva non tanto un nemico della Fede, da combattere, quanto una entità politico-militare di ragguardevole potenza, di cui si doveva tener conto nel mutevole gioco delle forze europee.
La graduale conquista turca dei Balcani aveva portato al Danubio i confini dei territori soggetti al sultano. Poi, dopo la schiacciante vittoria di Mohacs (1526), anche il Regno di Ungheria era stato parzialmente invaso e trasformato in un principato sotto la protezione turca.
L'avanzata dei musulmani poteva svolgersi secondo due direttive d'attacco:
 - verso Vienna, difesa da Ferdinando d'Asburgo fratello di Carlo V,
 - verso l'Istria e il Friuli, appartenenti alla Repubblica di Venezia.
La Serenissima si sforzava di mantenere coi Turchi rapporti pacifici, per salvare il possesso delle coste dalmate, delle Isole Ionie, di Cipro e di Candia (Creta), che erano rimaste sotto la sua sovranità.
Sul Mediterraneo la potenza marittima turca era tuttavia in crescente sviluppo: nel 1516-17 il sultano Selim I (1512-20) era avanzato lungo la costa della Siria raggiungendo l'Egitto ed occupando il Cairo e nel 1522 Solimano il Magnifico (1520-66) aveva inviato la flotta a conquistare Rodi, difesa per mesi, ma inutilmente dai Cavalieri di S. Giovanni, poi passati a Malta col consenso di Carlo V.
I Turchi avevano così ottenuto il dominio del mare e navi battenti la bandiera del Sultano correvano il Mediterraneo, d'intesa coi corsari berberi di Algeri e Tunisi, saccheggiando e spargendo il terrore sulle coste calabresi e pugliesi, e risalendo la costa spagnola fino a Valenza.
Carlo V, per frenare in qualche modo l'audacia dei corsari musulmani, compiva frequenti attacchi contro i porti e gli scali del litorale africano, appoggiandosi alle forze navali collegate di Spagna e di Genova, ma non riusciva ad ottenere risultati decisivi.

 

Ripresa della guerra tra Francia e Impero

 

L'occasione per rompere la pace siglata nel 1529 fu offerta alla Francia dalla morte di Francesco II Sforza (1535), l'ultimo duca di Milano.
Secondo gli accordi di Bologna del 1530, infatti, l'imperatore riteneva di avere il diritto di annettere i territori lombardi e procedette all'occupazione del Ducato.
A sua volta Francesco I invase la Savoia ed il Piemonte, occupando le piazzeforti principali compresa Torino (1536), vanamente contrastato da Carlo III di Savoia, alleato di Carlo V.
Il Mediterraneo era allora infestato dalle navi di Khair ed-Din detto il Barbarossa, signore di Algeri e alleato dei Francesi. Contro questo vecchio e feroce corsaro, incubo delle città costiere italiane e spagnole, Carlo V condusse un attacco con un ingente spiegamento di forze navali: la flotta imperiale condotta da Andrea Doria poté conquistare Tunisi (1535), infliggendo perdite gravissime alla flotta turca sorpresa nella rada de La Goletta, ma questa sconfitta non impedì al Barbarossa di compiere di lì a poco, mentre la flotta spagnola rientrava alle sue basi, un attacco di estrema violenza contro le Isole Baleari.
Francesco I faceva ogni sforzo per deviare la pressione turca dall'Europa centro-orientale (dove la sua amicizia col sultano poteva compromettere l'alleanza coi luterani) verso il Mediterraneo e l'Italia, al punto che Venezia fu costretta, per difendersi, a stringere legami di alleanza con l'imperatore e col pontefice Paolo III Farnese.
In senso sempre più favorevole alla Francia si volgevano intanto gli eventi interni dell'Inghilterra e della Danimarca-Norvegia, dal momento che in entrambi i paesi, intorno al 1535, la parte protestante e anticattolica otteneva il sopravvento, per opera rispettivamente di Enrico VIII Tudor e di Cristiano III di Danimarca; quest'ultimo entrando a far parte della Lega di Smalcalda si alleava con Francesco I.

 

Nel 1538, tuttavia, si concluse una tregua, mediatore il papa Paolo III, a Nizza, che avrebbe dovuto durare dieci anni. Il Pontefice, politicamente più abile del predecessore Clemente VII, che aveva oscillato tra l'una e l'altra parte senza una direttiva sicura, voleva ottenere una riconciliazione dei due maggiori rivali europei per dedicare le forze concordi del mondo cristiano alla lotta antiprotestante e antiturca.
Carlo V e Francesco I ebbero un cordiale incontro alle Aigues-Mortes (luglio 1538), ma la pace risultò ugualmente precaria, perché restavano insoluti i problemi relativi all'occupazione francese delle città del Piemonte e alla sorte definitiva del Ducato di Milano.

 

In Italia non si erano verificati importanti mutamenti fino al 1537, quando fu assassinato il duca Alessandro de' Medici dal cugino Lorenzino. Evitato però il cambiamento del regime interno della città di Firenze (nei desideri della famiglia Strozzi), il successore di Alessandro, Cosimo I de' Medici, figlio di Giovanni dalle Bande Nere, assunse la signoria della città e, pur mantenendosi nell'orbita della Spagna, iniziò un'attività di governo vigorosa, affrontando gli avversari politici nella battaglia di Montemurlo (presso Prato) nel 1537 e rivolgendo poi le proprie attenzioni al riordinamento e al consolidamento interno dello Stato mediceo, cui diede l'aspetto di un principato moderno.

 

Non molto tempo dopo la tregua di Nizza del 1538 la guerra si riaccese, soprattutto in Germania.
Carlo V desiderava restaurarvi la sua autorità, imponendola con la forza ai principi luterani, dopo che ogni tentativo di sottomissione e di pacificazione religiosa era fallito (Dieta di Ratisbona, 1541). Fra l'imperatore e i principi protestanti divampò quindi dal 1546 al 1547 la Guerra di Smalcalda.
I confederati luterani vi ebbero per capi ed animatori Giovanni, elettore di Sassonia, e Filippo, landgravio d'Assia; le città e i principi tedeschi cattolici, d'altro canto, pur facendo capo all'imperatore, erano guidati da Guglielmo di Baviera.
La campagna di Germania si svolse in modo favorevole all'imperatore che negli ultimi tempi diresse personalmente le operazioni militari (inverno 1546). Lo scontro decisivo di Mühlberg (1547) fu una grande vittoria per Carlo V; Giovanni di Sassonia, sconfitto, perse l'elettorato, che fu trasferito al fratello Maurizio, Filippo d'Assia si sottomise e ugualmente fecero molte città, tra cui Augusta e Francoforte.
Per Carlo V, tuttavia, non fu vittoria definitiva; nella lotta tra il luteranesimo tedesco e l'Imperatore, che aveva fatto propria la causa del cattolicesimo, come nel duello tra Francia e Impero, nessuno dei due contendenti risultò in grado di annientare l'avversario, mentre ci si avviava in entrambi i casi verso un compromesso.

 

Nel frattempo Francia e Inghilterra erano giunte ad una rottura ed Enrico VIII aveva attaccato Boulogne partendo dalla base inglese di Calais (1544).
La guerra franco-inglese proseguì anche dopo l'accordo raggiunto tra Francesi e Imperiali con la Pace di Crépy (1544), intervenendo in essa anche la Scozia, dove, dopo la morte di Giacomo V, era reggente Maria di Lorena, appartenente alla famiglia francese dei Guisa; l'azione scozzese era diretta ad alleviare l'attacco alla Francia, facendo sorgere una minaccia alle spalle dell'Inghilterra.
A seguito dell'intervento scozzese si pervenne al Trattato di Ardres (1546), che sanciva la restituzione di Boulogne ai Francesi, dietro pagamento di un forte riscatto.
Con la pace di Crépy, invece, in Italia era stata riconfermata la dominazione spagnola nel Ducato di Milano, mentre i Francesi restavano ad occupare il Piemonte.

 

Nel triennio seguente la Penisola fu teatro di congiure e ribellioni, tra le quali, nel 1547 si ebbero, a Genova, il tentativo di Gian Luigi Fieschi contro i Doria, fallito, e a Parma-Piacenza, con la complicità del governatore spagnolo di Milano, Ferrante Gonzaga, l'assassinio di Pier Luigi Farnese, che il padre (il papa Paolo III) aveva imposto sul ducato padano, tentativo peraltro fallito anch'esso con il successivo consolidamento del potere dei Farnese sulle due città.

 

 

 

Il conflitto e l'abdicazione di Carlo V

 

 

La fase conclusiva della guerra e il Trattato di Cateau Cambrésis

 

Nel 1547 era morto in Francia Francesco I e sul trono era salito il figlio Enrico II (1547-1559), sposo di Caterina de' Medici, il quale, non potendo sottrarsi alle circostanze, non poté che continuare il conflitto in cui il padre era stato sempre impegnato, con notevole energia e decisione ottenendo anche, alla fine, un sostanziale successo.
Anche Enrico II, come il padre, fu alleato dei Turchi e dei principi tedeschi riuniti in una nuova coalizione antimperiale promossa da Maurizio di Sassonia, passato dalla parte luterana. Enrico accreditò per sé addirittura la fama di campione della libertà religiosa e politica della Germania facendosi chiamare «Francorum rex vindex libertatis germanicae».

 

Con un forte esercito avanzò nell'Alsazia-Lorena, spingendosi fino al Reno ed occupando i tre vescovati di Metz, Toul e Verdun (1552). Nel frattempo, l'alleato Maurizio di Sassonia avanzava in Austria, ricacciando il reggente Ferdinando.
Un contrattacco imperiale si infranse intorno a Metz, strenuamente difesa da Francesco di Guisa. I Guisa, cadetti dei duchi di Lorena, erano una potente famiglia di principi cattolici, che godevano di largo favore alla Corte di Enrico II.
Anche nel settore italiano ripresero le ostilità. Nel 1552 (luglio) la città di Siena si era ribellata, cacciando la guarnigione imperiale e resistendo poi al ritorno offensivo delle truppe spagnole, ma il duca Cosimo I Medici si incaricò di domare la ribelle repubblica e di sopprimerne i liberi ordinamenti, nonostante la tenace resistenza nella rocca di Montalcino di Pietro Strozzi ed altri avversari dei Medici anche dopo la caduta della città.

 

Carlo V era però stanco, fiaccato dall'interminabile contesa e dalle cure di uno Stato così vasto e poco omogeneo.
Dopo aver concesso con la Pacificazione d'Augusta (1555) egli abdicò (1556) e si ritirò nel convento spagnolo di S. Giusto in Estremadura dove, due anni dopo, morì sopraffatto da crisi analoghe a quelle di cui la madre aveva sofferto.
Il dominio della Spagna e degli Stati borgognoni andò al figlio Filippo; la corona imperiale e i domini asburgici dell'Europa centrale al fratello Ferdinando.

 

 

 

La battaglia di S. Quintino e la pace di Cateau Cambrésis

 

 

Vi fu in seguito una ripresa della guerra, ma di breve durata. Le risorse finanziarie degli avversari si erano esaurite e d'altra parte la Riforma anche da parte cattolica, ormai in pieno sviluppo, costituiva un pressante invito a porre fine alle contese interne tra i popoli cattolici.

 

Filippo II (1556-1598), il nuovo sovrano spagnolo, aveva come consorte Maria la Cattolica, figlia di Enrico VIII e Caterina d'Aragona, regina d'Inghilterra (1553-58), dov'era successa al fratello Edoardo VI (1547-1553).
Questo matrimonio avrebbe potuto avere conseguenze importanti per la storia politico-religiosa dell'Europa poiché Maria, dai protestanti chiamata «la Sanguinaria», aveva intrapreso la restaurazione del cattolicesimo in Inghilterra, mandando a morte il riformatore Tommaso Cranmer, arcivescovo anglicano di Canterbury; dopo le nozze (1554), tuttavia, Filippo lasciò per sempre l'isola e, di fatto, non vi regnò mai.
Con l'aiuto di Maria, però, poté raccogliere nel 1556 un grande esercito nelle Fiandre, affidandone il comando a Emanuele Filiberto di Savoia, che aveva perduto il suo dominio, dal momento che la Savoia e il Piemonte, di cui era erede dopo la scomparsa di Carlo III (1553), erano stati occupati dai Francesi.
Il condottiero sabaudo affrontò e vinse l'esercito francese presso S. Quintino in Piccardia (agosto 1557). Alcuni mesi dopo, però, dall'altra parte del fronte, Francesco di Guisa riusciva ad espugnare Calais, testa di ponte inglese sul continente. Le sorti del conflitto, quindi, si bilanciavano e si apriva la via alle trattative.

 

La pace fu concordata a Cateau Cambrésis, il 3 aprile 1559, e subito seguì una intesa tra Filippo II e Enrico II per una guerra a fondo contro l'eresia protestante, in particolar modo contro il calvinismo che da Ginevra si irradiava nell'Europa meridionale ed occidentale.

 

Al tempo del trattato di Cateau Cambrésis la situazione restava così definita:
 - Filippo II era re di Spagna, vicario dell'Impero per l'Italia, sovrano delle terre borgognoni e fiamminghe, della Sicilia, della Sardegna, del Regno di Napoli, del Ducato di Milano e infine delle colonie americane;
 - lo zio Ferdinando aveva il titolo imperiale, le corone dì Boemia e di Ungheria e i territori ereditari di Casa d'Asburgo;
 - Enrico II rinunciava al Ducato di Milano, ma manteneva il possesso di Toul, Verdun e Metz;
 - l'Inghilterra cedeva l'ultimo lembo di territorio francese rimastole dall'epoca della guerra dei Cento Anni, cioè Calais;
 - il Ducato di Firenze, sotto Cosimo I, includeva anche Siena;
 - alcune località della costa tirrenica, i cosiddetti Presidi (Talamone, Orbetello, Porto S. Stefano, Monte Argentario e Porto Ercole) passavano sotto la sovranità diretta della Spagna;
 - al duca di Savoia, Emanuele Filiberto, veniva restituito il suo Stato, salvo la permanenza di guarnigioni spagnole e francesi in talune città del Piemonte;
 - inoltre il Marchesato di Saluzzo rimaneva in possesso della Francia;
 - le signorie minori e il Papato restavano tutti nell'ambito del dominio spagnolo;
 - ai Gonzaga di Mantova veniva attribuita (dal 1536) l'eredità del Marchesato di Monferrato.

 

1559

 

Gli stati italiani nel 1559

 

Dal 1559 ai primi del 1700 l'intera Penisola rimase sotto il dominio diretto o indiretto della Spagna, senza alcuna possibilità di opposizione e di cambiamenti durevoli che non fossero provocati dagli avvenimenti internazionali.

 

Evoluzione interna degli Stati europei

 

Le guerre della prima metà del secolo XVI spinsero i sovrani dell'Europa occidentale a consolidare la propria amministrazione ed a rafforzare l'esercito.
Fu compiuto in tal modo un ulteriore progresso verso l'accentramento e l'assolutismo monarchico.

 

In Francia Luigi XII (1498-1514), Francesco I (1515-1547) e Enrico II (1547-1559) avevano consolidato il potere della monarchia, attribuendole un crescente prestigio.
All'interno una ben distribuita organizzazione giudiziaria ed una equilibrata tassazione avevano orientato verso il re la simpatia del ceto borghese. La grande nobiltà feudale aveva perso molto del suo fiero spirito di indipendenza e cominciava a cercare onori e cariche al servizio della monarchia, o alla corte o nell'esercito o nell'amministrazione delle provincie.
Gli strumenti del governo del re erano il Consiglio privato e, nelle provincie, i siniscalchi e i balivi; la Corte non risiedeva a Parigi (anche allora la città più popolata del regno), ma ora ad Amboise, ora a Blois, a Tours, a Chambord.
Le sole forze di resistenza all'assolutismo regio erano rappresentate da talune famiglie aristocratiche, come i Borboni, assai potenti nel sud della Francia, dai Parlamenti locali (in origine tribunali giudiziari), e dalle Università.
Particolarmente influente e geloso dei propri privilegi era il Parlamento di Parigi, cui spettava il compito di registrare i decreti regi, implicitamente convalidandoli.

 

L'Inghilterra all'inizio del Cinquecento appariva un paese scarsamente popolato e legato ad una economia quasi esclusivamente agricola. L'unica attività manifatturiera capace di esportare i suoi prodotti era quella dei panni di lana. I Tudor regnarono come sovrani assoluti, il Parlamento fu quasi interamente ligio ai loro voleri, la grande aristocrazia baronale era stata semidistrutta dalle guerre esterne e interne del secolo XV e la nascente borghesia mercantile, per amore dell'ordine e per la speranza di proficue imprese oltre mare, favoriva il re.
Con i provvedimenti di riforma adottati da Enrico VIII dopo il 1534, il re fu in grado di abbattere la potenza feudale dell'alto clero, particolarmente degli ordini monastici cui furono confiscati i beni terrieri a vantaggio della Corona e del ceto borghese. Tali provvedimenti di confisca provocarono però un aumento del pauperismo e del vagabondaggio, sollevando anche moti di protesta e di rivolta assai violenti tra le popolazioni ancora intimamente cattoliche.
I due punti deboli dell'Inghilterra rimanevano la Scozia e l'Irlanda; in Scozia trovavano un punto d'appoggio tutti coloro che erano avversi ai Tudor, fossero essi discendenti dei York e pretendenti al trono, o cattolici desiderosi di riconquistare il paese a Roma.

 

L'Impero aveva avuto con Carlo V il suo centro politico nelle terre ex-borgognoni, a Malines, a Gand e a Bruxelles, e per i Castigliani l'imperatore (nativo di Gand) appariva quasi un forestiero.
Nei primi anni del regno di Carlo V si erano infatti avute manifestazioni di xenofobia, promosse dalle Cortes e dalla nobiltà e sostenute da folle di popolani. In seguito, tuttavia, il prestigio della Corona non fu più scosso, anzi, si accrebbe per le vittorie militari e per il numero crescente dei territori di cui l'imperatore assumeva la sovranità.
Le aspettative riguardanti i territori di recente conquistati nel Nuovo mondo non andarono deluse come dopo i primi viaggi di Colombo: dal Messico, e più ancora dal Perù, cominciarono ad affluire oro e argento in quantità enorme e fino allora ignota agli Europei. Due convogli, scortati da navi da guerra, attraversavano ogni anno l'Atlantico trasportando questi preziosi carichi in Spagna, a Cadice ed a Siviglia.
Nel frattempo i nuovi territori erano stati divisi in due Vicereami, quello della Nuova Spagna (comprendente le Antille, le terre dell'istmo di Panamà e il Messico fino ai margini delle grandi pianure nordamericane), con capitale Città del Messico, e quello della Nuova Castiglia (comprendente il Perù, il Venezuela e una parte dell'odierna Argentina), con capitale Lima.
I territori germanici dell'Impero, invece, mancavano assolutamente di coesione e di unità. Non grandi risultati aveva ottenuto l'imperatore Massimiliano (1493-1519), avo di Carlo V, che aveva tentato di imporre alle città ed ai principi tedeschi l'autorità e la giurisdizione degli organismi di governo austriaci, la Hofkammer (magistratura finanziaria) e lo Hofrat (consiglio di Stato e corte di giustizia), di tendenze più burocratiche e accentratrici.
Una trasformazione della costituzione imperiale in senso monarchico fu impossibile, anche per l'incapacità o il disinteresse dimostrati dagli Asburgo per la formazione di una salda intesa con le città tedesche del centro e dell'ovest. Tuttavia, poiché gli imperatori della Casa d'Asburgo disponevano di larghe risorse finanziarie proprie, che ricavavano dalle terre austriache e tirolesi, essi erano in grado di influire in modo decisivo sull'elezione imperiale, assicurando la corona in continuità ai membri della propria famiglia.

 

Nell'Europa del Nord l'Unione di Kalmar era cessata quando Gustavo Eriksson, soprannominato Vasa (1523-60), aveva cacciato da Stoccolma la guarnigione danese ed era stato proclamato re di Svezia. Sia in Svezia sia in Danimarca, infatti, la monarchia era elettiva, ma il Vasa fondò una dinastia, riconquistò la Finlandia e sottomise la Chiesa allo Stato, adottando la riforma luterana.
Nel Baltico l'Hansa tedesca era in declino, dal momento che i Regni scandinavi e la Polonia sfuggivano al suo monopolio commerciale e le correnti di traffico, provenienti dai porti lituani e da Danzica e dirette verso l'Inghilterra, evitavano il trasbordo terrestre tra Lubecca ed Amburgo (trasbordo che era direttamente controllato dai mercanti anseatici) e preferivano percorrere tutta intera la via del mare attraversando il Sund e navigando intorno alla Penisola danese.
In Danimarca il cattolico Cristiano II di Oldenburg (1513-23) era stato detronizzato dal luterano Federico di Holstein (1523-33), a cui successe il figlio Cristiano III (1535-59); questi due ultimi sovrani introdussero la riforma luterana sia tra la popolazione danese sia nei paesi dipendenti, come la Norvegia. La Danimarca, padrona degli stretti tra il Baltico e il Mare del Nord, poté imporre una tassa sul transito delle navi che percorrevano il Sund e la sua potenza economica e politica crebbe rapidamente.
In Polonia, morto Casimiro IV (1492), il figlio Giovanni Alberto aveva dovuto fare ampie concessioni alla media nobiltà dei cavalieri che, pur non essendo privi di doti guerriere, poco facevano per difendere il paese dalle incursioni dei Turchi e dai Moscoviti. A vantaggio di questi medi proprietari terrieri tornava anche la maggior richiesta di prodotti agricoli per l'esportazione (cereali, legni, legumi), che venivano fatti affluire al porto di Danzica. Nessun beneficio, invece, ne traevano la monarchia e il ceto contadino, le cui condizioni erano andate peggiorando. Un ceto medio polacco dedito al commercio non esisteva poiché tutto il traffico era nelle mani dei Tedeschi e degli Ebrei. Il paese, fallito il tentativo di unificazione slava, sembrava orientato verso il frazionamento feudale e l'anarchia.
Gli altri due regni limitrofi, Boemia e Ungheria, dopo la morte di Giorgio Podiebrad (1471) e di Mattia Corvino (1490), erano stati riuniti sotto la corona di Ladislao Iagellone e poi del figlio Luigi II, perito nella battaglia di Mohacs (1526). In conseguenza di ciò la successione era toccata a Ferdinando d'Asburgo, reggente della parte tedesca e orientale dell'Impero, che aveva sposato la sorella dello scomparso Luigi II. Nel frattempo, tuttavia, gran parte dell'Ungheria, compresa la città di Budapest (1541) sulle rive del Danubio, era stata invasa dai Turchi, che vi avevano costituito un Principato autonomo sotto la protezione del sultano.

 

 

 

La Riforma in Italia. Il movimento riformatore in seno al cattolicesimo

 

 

la riforma cattolica

 

 

Il riformismo protestante in Italia

 

In Italia le idee luterane e calviniste non ebbero successo, specialmente tra le classi popolari.
In alcune città, tuttavia, poterono formarsi, favoriti da particolari condizioni ambientali, nuclei evangelici, che si rifacevano talora ad una tradizione ereticale locale risalente al Medio Evo. Nelle valli piemontesi confinanti col Delfinato, in Val Pellice e in Val Chisone, ad esempio, le comunità religiose dei Valdesi (sorte alla fine del sec. XII per la predicazione del mercante lionese Pietro Valdo) accettarono prima la dottrina luterana (1532) e poi quella calvinista (Sinodo di Angrogna, 1563) e costituirono l'unica vera Chiesa riformata in Italia.
Un centro di diffusione del protestantesimo fu poi Padova, con la sua Università che, sotto la protezione del governo veneto rimasto tollerante più a lungo degli altri governi italiani, accoglieva numerosi studenti di nazione tedeschi; a Venezia, inoltre, centro editoriale di prim'ordine, il fiorentino Antonio Brucioli pubblicava una versione italiana della Bibbia, non riconosciuta dalle autorità ecclesiastiche. Sempre nell'ambito della Repubblica veneta, infine, si verificò il clamoroso passaggio al protestantesimo di Pier Paolo Vergerio, vescovo di Capodistria e nunzio apostolico in Germania, il quale aveva subìto l'influenza del teologo protestante Melantone.
Larga risonanza ebbe la propaganda discreta dello spagnolo Giovanni di Valdès, che soggiornò a Napoli tra il 1533 e il 1541. Il Valdès si ispirava ad un evangelismo illuminato, intelligente ma piuttosto generico, ispirato all'atteggiamento latitudinario di Erasmo da Rotterdam; poiché nei confronti della Chiesa romana egli assumeva un atteggiamento di esteriore ossequio, gli fu possibile trovare numerosi seguaci e simpatizzanti in quegli ambienti aristocratici o colti in cui non si voleva una rottura aperta col cattolicesimo. Tra i seguaci del Valdès furono la duchessa Giulia Gonzaga, la poetessa Vittoria Colonna, l'umanista Antonio Paleario; più o meno legati al valdesianesimo furono anche Pietro Carnesecchi, segretario di papa Clemente VII, e Bernardino Ochino, generale lei Cappuccini.
Più accentuata, invece, fu la posizione anticattolica del teologo Pier Martire Vermigli, che predicò con successo a Lucca, e della duchessa Renata li Francia, figlia di Luigi XII e moglie di Ercole II d'Este, che a Ferrara ospitò il poeta calvinista francese Clemente Marot, celebrato traduttore dei salmi, e nel 1538, per breve tempo, lo stesso Giovanni Calvino.
Infine, nell'Italia settentrionale si formarono qua e là piccoli gruppi li anabattisti, con l'adesione di operai tessitori e di artigiani, che in seguito dovettero affrontare i rigori del Tribunale dell'Inquisizione.

 

Dopo il 1542, le misure contro gli eretici prese dalla Chiesa cattolica furono tali che agli evangelici e agli anabattisti italiani non rimase altra scelta che la fuga o la sottomissione; la duchessa Renata sconfessò la sua adesione al calvinismo, l'Ochino, il Vergerio e il Vermigli fuggirono nei paesi protestanti, il Carnesecchi e il Paleario subirono la condanna a morte sul rogo. Fu allora il crollo del riformismo evangelico italiano, il quale non ebbe in seguito che qualche manifestazione isolata.
Nel complesso questo movimento religioso eterodosso aveva avuto fortuna solo tra i ceti sociali più elevati e, salvo il caso dei gruppi anabattisti, non aveva saputo raccogliere l'adesione fervente di consistenti strati della popolazione, rimasta fedele alla tradizione cattolica, all'ossequio per il sacerdozio ed al culto dei Santi. Non si determinarono infatti in Italia quelle condizioni politiche ed economiche che avevano assicurato il successo al moto riformatore di Germania e d'Inghilterra, dal momento che sotto il profilo politico, i riformatori urtarono contro la ferma volontà del governo spagnolo — dominante, direttamente o indirettamente, in tutta la Penisola — di difendere l'ortodossia cattolica, in modo tale che solo alcuni piccoli centri, come Lucca e Ferrara, o la Repubblica di Venezia, tollerarono o favorirono la presenza di eretici. Dal punto di vista economico, poi, le maggiori famiglie dell'aristocrazia italiana, i Medici, gli Estensi, i Gonzaga, i Colonna, non avevano alcun interesse sovvertire l'organizzazione ecclesiastica cattolica, da cui traevano vantaggi economici e motivi di prestigio, con la partecipazione alle alte cariche della burocrazia papale ed al Collegio cardinalizio.

 

Mentre i primi profughi che esularono dall'Italia, come il frate Bernardino Ochino, entrarono a far parte di comunità riformate, una seconda generazione di fuggiaschi per motivi religiosi, di cui fu esponente Fausto Socini (1539-1604), non volle aderire né al luteranesimo né al calvinismo ginevrino, che si dimostravano non meno intransigenti e dogmatici del cattolicesimo. Nelle loro peregrinazioni in Germania, in Polonia e in Inghilterra, elaborarono invece e diffusero idee di universale tolleranza religiosa, legate a principi politici di repubblicanesimo e di pacifismo, che si possono riconnettere, attraverso il razionalismo settecentesco, col liberalismo dell'Età Moderna.

 

La Riforma cattolica. I Gesuiti e gli altri ordini nuovi

 

All'interno della Chiesa romana (cattolica) si può dire che agissero due correnti di movimento riformatore, che si confondevano l'una nell'altra sostenendosi a vicenda, le quali si possono identificare come Riforma cattolica e Controriforma, la prima diretta a rinnovare i costumi e la disciplina della Chiesa, sollecitando il ritorno a forme di vita religiosa più sincere e operose, la seconda diretta apertamente a contrastare l'eresia protestante in campo dottrinario.
Sorsero in tal senso nuovi movimenti ecclesiali, come l'Oratorio del Divino Amore (Roma, 1517), una congregazione mista di laici e di ecclesiastici che conducevano una vita esemplare di pietà, prodigandosi per i poveri e i sofferenti, cui appartennero, tra gli altri, Gaspare Contarini, Giovanni Pietro Carafa e l'inglese Reginaldo Pole (più intransigente si rivelò il Carafa, futuro pontefice con il nome di Paolo IV, mentre il Contarini e il Pole, seguendo gli insegnamenti di Erasmo, cercavano di raggiungere la conciliazione con gli eretici, evitando le astrattezze teologiche), e nuovi ordini di Chierici regolari, votati alla predicazione, all'insegnamento e all'educazione delle masse popolari secondo i fondamentali principi del cristianesimo e le pratiche tradizionali di vita religiosa: Teatini, Barnabiti, Somaschi, Cappuccini (rifioriti, questi ultimi, sul vecchio ceppo francescano).

 

 

 

La Compagnia di Gesù e la riforma dell'Inquisizione

 

 

Di rilievo, come strumento a disposizione della Chiesa per combattere il protestantesimo non solo nelle regioni rimaste cattoliche, ma anche là dove il primato religioso era conteso tra cattolici e protestanti, furono poi i Gesuiti, cioè la Compagnia di Gesù, fondata dal nobile spagnolo Ignazio di Loyola (1491-1556) nel 1534, ordine riconosciuto dal papa Paolo III nel 1540 con la bolla Regimini militantis Ecclesiae (“Alla vita pratica della chiesa militante”).
Un vivacissimo attivismo ed un inesausto spirito di iniziativa distinsero i Gesuiti, che ovunque fondarono collegi ed università per l'educazione dei giovani di nobile famiglia, secondo il programma pedagogico detto Ratio studiorum, e si introdussero con straordinaria abilità nelle corti principesche in qualità di consiglieri e confessori, acquistando grande prestigio ed avendo spesso una parte diretta negli avvenimenti politici.
Essi crearono, al pari dei Cappuccini e dei Domenicani, le missioni d'oltreoceano, nelle colonie spagnole americane e in Oriente: in Cina per opera di Matteo Ricci 1610) e in Giappone per iniziativa di Francesco Saverio ( 1552); in questi luoghi di missione si resero benemeriti per la diffusione della cultura europea e per la difesa dei selvaggi (particolarmente gli indios del Sud-America) sfruttati dai conquistatori europei.

 

Il Concilio di Trento (1545-1563)

 

Il Papato e le gerarchie, dal canto loro, assunsero la direzione della Riforma attraverso gli strumenti teologici e canonici di loro competenza, impegnandosi a riformulare i capisaldi dottrinali messi in discussione dal luteranesimo (piano dogmatico) e attuando con energia una revisione integrale dei costumi e della disciplina del clero (piano pratico).
La grande opera riformatrice trovò la propria attuazione nel Concilio di Trento, evento di capitale importanza nella storia del cattolicesimo.

 

 

 

Il Concilio di Tento

 

 

Fallita la Dieta di Ratisbona (1541) e i tentativi di conciliazione compiuti in territorio germanico nonostante le pressioni e le speranze dell'imperatore Carlo V, che avrebbe visto risolversi, con la pacificazione religiosa, i problemi più scottanti del suo governo, si ebbe nel 1542 una svolta decisiva per l'opera di Controriforma cattolica.
Le posizioni delle due parti, cattolica e protestante si irrigidirono. In campo riformato, infatti, prevalse l'intransigenza di Calvino sulla moderazione di Melantone e in campo cattolico si ebbe l'esaurimento delle tendenze più eireniche (pacificatrici) con il prevalere del rigore tradizionalista di stampo gesuitico.
Nel 1542, per iniziativa di Paolo III (influenzato dal cardinale Carafa) si ebbe la riorganizzazione dei tribunali provinciali dell'Inquisizione contro gli eretici, che vennero fatti dipendere da un tribunale supremo, stabilito a Roma, detto Santo Uffizio. La nuova Inquisizione romana, distinta da quella medievale e da quella spagnola, dipendeva direttamente dalla Santa Sede, attraverso una congregazione cardinalizia; il suo potere si estendeva a tutta la cristianità per la ricerca e il giudizio dei sospetti di eresia protestante, di anabattismo, di magia e anche per certe forme di malcostume.

 

Nello stesso anno il pontefice annunciò la convocazione del concilio ecumenico, la cui sede fu fissata a Trento, feudo dell'impero governato da un principe-vescovo, una località chiave per i rapporti tra mondo germanico e mondo romano.

 

Nel frattempo, la complessità della situazione politica europea faceva sorgere nuove difficoltà.
La Santa Sede, pur dimostrando la volontà di affidare la direzione della Controriforma alle decisioni dei padri del concilio, nello stresso tempo temeva il risorgere del dualismo Concilio-Papa che aveva provocato nel secolo precedente lo scisma basileese.
I sovrani cattolici, in genere, e particolarmente il re di Francia e l'imperatore, che erano impegnati a fondo in una guerra ormai ventennale, intendevano prestare un soccorso soltanto occasionale alla Chiesa, subordinandolo ai propri interessi, per lo più contrastanti.
Carlo V, inoltre, avrebbe voluto la partecipazione al concilio anche dei protestatni, per evitare che esso assumesse una posizione così intransigente da rendergli ancora più difficili i rapporti con i principi tedeschi della Lega di Smalcalda.

 

Nonostante ciò, il 13 dicembre del 1545 si ebbe la solenne apertura del Concilio, cui parteciparono cardinali, vescovi, generali di ordini religiosi e teologi in numero eccezionale per i tempi (l'atto finale del 1563 fu firmato da duecentocinquantacinque prelati), in maggioranza italiani e spagnoli. Una delegazione francese, invece, fu presente solo nell'ultima fase e i protestanti vi fecero una fugace comparsa durante l'inverno tra il 1551 e il 1552.
Il pontefice non intervenne di persona, ma si fece rappresentare da propri inviati (i legati), che furono in grado di condurre le discussioni senza fare riemergere la discussine sul primato papale; alla fine dei lavori, però, tutti i decreti conciliari furono sottoposti all'approvazione del papa, cui fu riservata anche la loro interpretazione.
Per semplificare i lavori, i diversi problemi venivano esaminati a parte da commissioni o congregazioni speciali che presentavano poi i risultati del proprio lavoro all'assemblea generale, la quale, approvandoli, ne ordinava la promulgazione.

 

Il Concilio si svolse attraverso varie fasi e non sempre nel medesimo luogo:
 1. aperto a Trento nel dicembre 1545, fu trasferito a Bologna nel marzo del 1547 in occasione di una pestilenza e temporaneamente sospeso nel settembre del 1549, mentre era ancora papa Paolo III;
 2. ripreso a Trento per volontà di Giulio III (il cardinale Giulio del Monte, presidente delle prime assemblee) nel marzo del 1551, venne nuovamente interrotto nell'aprile del 1552 a causa della guerra;
 3. riaperto da Pio IV de' Medici (successo a Marcello II) all'inizio del 1562, fu solennemente concluso il 4 dicembre 1563.

 

I decreti formulati dai Padri del Concilio tridentino furono approvati dal papa Pio IV con la bolla Benedictus Deus et Pater e pubblicati nella Professio fidei Tridentina (1564).

 

I risultati e la restaurazione cattolica

 

Fallito uno degli obiettivi precipui del Concilio, quello di sanare lo scisma protestante, il dogmatismo cattolico, cioè la codificazione rigorosa delle verità di fede, apparve l'unico mezzo per frenare l'eresia, arrestando lo sgretolamento del mondo cristiano, fornendo ai credenti un sicura norma di vita e un preciso insegnamento religioso.

 

In materia di fede:
 - fu affermata la necessità delle opere della carità per ottenere, insieme con la fede, la giustificazione e la salvezza spirituale;
 - fu riconosciuto il valore della tradizione, ossia dell'insegnamento secolare della Chiesa come fonte di rivelazione insieme con la Scrittura;
 - furono riaffermati:
        . l'origine divina e il valore carismatico dei tradizionali sette sacramenti;
        . la validità del culto della Vergine e dei Santi;
        . la funzione mistica del sacerdozio;
 - fu stabilito l'elenco dei Libri canonici della Scrittura;
 - fu accettata la Volgata di S. Gerolamo come edizione ufficiale della Bibbia, di cui fu riconosciute interprete autorevole soltanto la Chiesa.

 

In materia di disciplina e morale:
 - fu riconfermata la necessità del celibato ecclesiastico;
 - fu proibito il cumulo dei benefici ecclesiastici;
 - fu imposto ai vescovi l'obbligo di residenza;
 - furono migliorate le condizioni dei parroci e sollecitata la riforma dei vecchi ordini religiosi;
 - si previde la creazione di appositi seminari diocesani per risolvere il problema della preparazione morale e culturale dei sacerdoti, stabilendo nel contempo il limite minimo d'età alle ordinazioni sacerdotali;
 - venne stabilito un più accurato controllo della sincerità e libertà delle vocazioni religiosa.

 

 

 

L'applicazione del Concilio. La politica di Filippo II

 

 

Paolo III Farnese, l'ultimo papa del Rinascimento, morì nel 1549 e con lui si chiuse l'età del «grande nepotismo»; i pontefici che vennero dopo, infatti, non si preoccuparono più di costituire, coi territori della Chiesa, organismi statali a capo dei quali porre nipoti e parenti, ma si limitarono a favorirli nell'accesso alle cariche ecclesiastiche e civili.
In secondo luogo, tutti assorbiti dalle cure religiose, i pontefici della seconda metà del secolo non pretesero più di avere una parte direttiva nelle vicende politiche europee.

 

Dopo Giulio III (1550-55) e Marcello II (1555), salì al trono papale il cardinale Carafa, col nome di Paolo IV (1555-59), che fu tra i più severi pontefici dell'età della Controriforma e si servì dell'Inquisizione con rigore, non esitando a procedere contro gli ecclesiastici, fossero anche stati cardinali, che dimostravano eccessiva tolleranza verso gli eretici.

 

Il successore, Pio IV (1559-65), di temperamento assai più indulgente, ebbe a fianco come collaboratore e segretario il giovane nipote cardinale Carlo Borromeo (1538-84), personalità di primo piano in questa fase di realizzazione delle decisioni conciliare di Trento.
Il Borromeo, appartenente ad una famiglia patrizia proprietaria di terre e castelli nella zona del Lago Maggiore, fu dapprima a Roma, presso la Curia cardinalizia, e si adoperò perché anche in quell'ambiente di potenti prelati fossero applicati i decreti conciliari. Poi, dando esempio di rinuncia al cumulo dei benefici e di ottemperanza all'obbligo di residenza dei vescovi, raggiunse la diocesi di Milano, di cui era titolare, e vi rimase dal 1565 fino alla morte, svolgendo un'intensa opera di risanamento del clero lombardo.
Il Borromeo ebbe una parte importante anche nella pubblicazione dell'Indice dei libri proibiti (1564) e nella compilazione del Catechismo romano contenente gli elementi fondamentali della dottrina cattolica, esposti in forma facile per l'istruzione religiosa del popolo.

 

Anche il pontificato di Pio V Ghislieri (1566-72) fu caratterizzato da particolare severità, e la stretta alleanza che unì quel pontefice all'imperatore Ferdinando I rese possibile un'azione di forza contro i Turchi nel Mediterraneo, coronata dalla vittoria navale di Lepanto (ottobre 1571).

 

Nel frattempo proseguiva l'opera di riordinamento del patrimonio culturale e rituale della Chiesa cattolica, con l'edizione del testo approvato del Breviario, del Messale e infine della Bibbia (1592).
Furono rimessi in onore gli studi teologici e le Università di Bologna e di Salamanca rifiorirono come centri di filosofia scolastica; contemporaneamente fu rivalutato l'aristotelismo e furono condannati gli scritti di molti umanisti (Erasmo, Machiavelli, ecc.), che apparvero nell'elenco dei libri proibiti dalla Chiesa.
Altre congregazioni religiose, dedite all'apostolato, all'insegnamento ed alla beneficenza, furono nel frattempo istituite: quella dei Fatebenefratelli, per l'assistenza degli infermi, quella dei Filippini o Padri dell'Oratorio sorta per opera di Filippo Neri (1515-1595) e ispirata da un sentimento quasi francescano della vita religiosa, e, infine, quella degli Scolopi o Padri delle Scuole Pie fondata dallo spagnolo Giuseppe Calasanzio e dedita in particolare all'istruzione professionale dei fanciulli poveri.
In Spagna fiorì una nuova rigogliosa scuola di misticismo ad opera di Giovanni della Croce (1542-91) e soprattutto di Teresa di Avila (1515-82), che riformò l'ordine delle Carmelitane.

 

 

 

l'egemonia spagnola in Europa

 

 

 

Tra le monarchie europee fu quella spagnola di Filippo II (1556-1598) ad assumersi il compito di realizzare, sul terreno politico-militare, il programma controriformistico di Trento: Filippo II volle veramente essere «la spada della Controriforma» ed in lui la Chiesa cattolica trovò l'aiuto militare e diplomatico necessario per tentare la conquista religiosa dei paesi passati al protestantesimo e per ottenere, in quelli rimasti cattolici, una rigorosa applicazione dei decreti conciliare.
Lo zelo del monarca spagnolo nell'identificare la politica interna ed estera dello Stato spagnolo con il programma controriformistico fu tale, da suscitare in alcuni pontefici il timore che egli avrebbe finito col soverchiare l'indipendenza e l'autorità dello stesso Papato.
Mentre, peraltro, l'intrusione indebita del potere civile nel campo ecclesiastico poté avvenire senza incontrare ostacoli sul territorio spagnolo — dove il re era a capo dell'Inquisizione, aveva larghi poteri sull'episcopato ed era Gran Maestro degli ordini religioso-cavallereschi — nelle altre terre dipendenti dalla Spagna, però più vicine a Roma, come i possessi dell'Italia meridionale e della Lombardia, gli ordini di Madrid incontrarono una risoluta resistenza e dovettero spesso essere ritirati: così avvenne, ad esempio, a Milano quando, nel 1563, si volle introdurre una Inquisizione di tipo spagnolo.

 

L'azione controriformistica di Filippo II aveva per obiettivo, oltre al territorio nazionale ed ai possessi italiani, anche la Fiandra, i Paesi Bassi, e, per quanto fosse stato possibile, anche la vicina Francia dei Valois; peraltro, a fronte dei risultati ottenuti da Filippo, che non furono sempre positivi, in altre regioni d'Europa il Cattolicesimo poté riguadagnare terreno ed insediarsi nuovamente in paesi e città che al tempo della Pacificazione di Augusta (1555) sembravano definitivamente perduti all'influenza romana, soprattutto per merito dei Gesuiti.
Alla metà del XVI secolo le Chiese protestanti, che avevano per lo più accettato la Confessio Augustana (1530) di Melantone, raccoglievano l'adesione delle popolazioni di quasi tutta l'Europa germanica (più di due terzi del territorio imperiale, oltre ai Regni scandinavi) ed erano diffuse anche nei paesi a popolazione mista, slava e germanica, fino ai confini della Russia e dell'Impero ottomano.

 

riforma

 

La diffusione della Riforma nel 1556

 

Erano, invece, rimaste cattoliche le terre ereditarie degli Asburgo (Austria, Carinzia, Tirolo, ecc.), la Baviera ed alcune città della zona renana (Aquisgrana, Colonia, Treviri). Questi luoghi costituivano le basi di partenza dei missionari gesuiti che, dai loro collegi di Vienna, Ingolstadt, Colonia, penetravano nei territori luterani.
Soprattutto per la loro opera di istruzione e di predicazione la Chiesa cattolica riprese il sopravvento in Polonia ed in Ungheria, e stabilì una convivenza col protestantesimo in Boemia.
Dalla Fiandra, dove esisteva il collegio gesuitico di Douai, e dall'Irlanda, rimasta fedele a Roma, i preti cattolici tentavano di passare in Inghilterra, dove, morta Maria la Cattolica (1558), la nuova regina Elisabetta Tudor stava consolidando in modo definitivo la Chiesa anglicana, in una forma che conservava la gerarchia vescovile e parte del rito cattolico, ma restava fedele alla teologia luterana e sopra tutto considerava il pontefice come un vescovo qualsiasi. Per rovesciare dal trono questa sovrana, giudicata illegittima, i Gesuiti appoggiavano i diritti al trono d'Inghilterra di Maria Stuarda (Maria Stuart), figlia del re di Scozia. I loro tentativi, però, spesso accompagnati da segrete macchinazioni, fallirono e alienarono maggiormente dal Papato il popolo inglese, che si strinse intorno ad Elisabetta rafforzandone la posizione di sovrana nazionale.
Sul continente, ormai, più di Wittenberg o Zurigo o Basilea, la capitale del riformismo europeo era divenuta Ginevra, che da piccolo villaggio di scarse risorse e di pochi abitanti posto sulle rive del Lago Lemano, con l'apporto del calvinismo, era divenuta un vero centro internazionale. Calvino, dopo il suo ritorno nel 1541, vi aveva imposto un suo regime politico-religioso con l'intento di fare di Ginevra la città modello, in cui fosse realizzato l'ideale dell'Evangelo. In questa repubblica borghese e puritana, in cui dominavano le Venerabili Compagnie dei pastori e il supremo Concistoro, composto da pastori e da laici, si impose il rispetto assoluto delle leggi morali cristiane, e furono banditi il lusso, il gioco, il ballo e gli altri aspetti frivoli e mondani dell'esistenza.
Il moralismo intollerante di Calvino apparve in definitiva non meno intransigente del cattolicesimo di papa Paolo IV, quando, ad esempio, fu pronunciata ed eseguita la sentenza di morte sul rogo contro Michele Serveto, un medico spagnolo assertore di una interpretazione del dogma trinitario non accettata da Calvino.
Da Ginevra il calvinismo penetrò in Francia e, dopo la morte di Enrico II (1559), che si era impegnato in una dura repressione dell'eresia, vi si diffuse rapidamente, come anche nel Palatinato e nei Paesi Bassi, dove le dottrine di Calvino ottennero rapido successo, mentre in Scozia esse penetrarono per mezzo della predicazione dello scozzese John Knox, che, rientrato dall'esilio nel proprio paese (1560), vi organizzò la Chiesa presbiteriana.

 

 

 

La figura di Filippo II

 

 

La Spagna di Filippo II e l'impresa di Lepanto

 

Filippo d'Asburgo aveva sposato Maria la Cattolica, regina d'Inghilterra (1553), ma poi, avendo lasciato l'isola in seguito all'abdicazione del padre Carlo V (gennaio 1556), non vi era più ritornato.
Ricevuta l'eredità della corona di Spagna, dei possessi ex-borgognoni e dei territori italiani, Filippo II aveva fissato la sua residenza presso Madrid, sull'arido altipiano castigliano. Ad una quarantina di chilometri dalla città, infatti, sulle pendici della Sierra di Guadarrama, a circa mille metri di altezza, era sorto per volontà del sovrano un grandioso castello-monastero, dedicato a S. Lorenzo, santo protettore nel giorno della battaglia di S. Quintino, che aveva deciso le sorti della guerra contro Enrico II.
In quell'immenso e tetro palazzo, detto Escuriale, il monarca spagnolo trascorse la sua vita, riducendo al minimo i rapporti personali coi sudditi, ma amministrando i domini con cura meticolosa di burocrate. Schivo di confidenze, sospettoso, chiuso e angustiato da sventure familiari (il figlio don Carlos, deforme nel corpo e ribelle nell'animo, morì nel 1568), Filippo II dedicava tutte le sue energie alle pratiche di governo, perseguendo i suoi ideali di principe cattolico, severo interprete dei dettami della Controriforma e campione del cattolicesimo contro i Turchi e gli eretici.
Intorno a lui si venne organizzando una monarchia assoluta e burocratica, in cui i supremi organi dello Stato erano i Consigli (Consiglio di Stato, di Castiglia, di Aragona, d'Italia, delle Indie ecc.); dai Consigli dipendeva un gran numero di uffici e di funzionari che si occupavano dell'amministrazione delle finanze e della giustizia, e tali cariche venivano per lo più occupate da nobili spagnoli, che abbandonavano i loro castelli per ottenere a corte o nel governo delle colonie un impiego civile o militare, riuscendo così, nonostante le decadute condizioni economiche, a conservare le loro consuetudini di fasto e la loro tradizionale alterigia.
Questo apparato permetteva al monarca spagnolo di mantenere unito il suo vastissimo Impero, nonostante la grande differenza delle stirpi e la lontananza di alcune parti di esso; la burocrazia, però, gravava sul bilancio dello Stato, già dissanguato dalle spese di guerra.
L'oro e l'argento che affluivano periodicamente dalle colonie americane non bastavano a colmare il deficit finanziario, al punto che nel 1557 la monarchia spagnola, non potendo pagare i debiti contratti coi banchieri tedesco-fiamminghi (principalmente i Fugger), si trovò in condizioni finanziarie estremamente critiche.
Le tasse, che gravavano sopra tutto sulla popolazione castigliana, furono aumentate, molte rendite della Corona (come già era avvenuto sotto Carlo V) furono impegnate come titoli di credito e molti monopoli sul commercio delle Indie furono dati in concessione in cambio di denaro contante.

 

 

 

L'impresa di Lepanto

 

La Spagna non aveva grandi risorse proprie, salvo quelle minerarie che non erano tuttavia adeguatamente sfruttate; l'industria non si sviluppava e l'agricoltura, per la diminuzione della popolazione e la fuga dei moriscos a causa delle persecuzioni religiose, era in declino, specialmente sugli altipiani dell'interno, dove la scarsità dell'acqua rendeva già duro e difficile il lavoro dei campi.
Ad alcuni periodi di acuta crisi economica ne succedevano di maggior stabilità, grazie sopra tutto all'afflusso dei metalli preziosi americani e delle merci esotiche.

 

Ad un programma di cattolicesimo ad oltranza era ispirata la condotta di governo di Filippo II, che all'interno del paese, attraverso la sua Inquisizione indipendente dal S. Uffizio di Roma, aveva stroncato ogni minima velleità di eresia, ricorrendo alle più severe condanne dei colpevoli, pronunciate con solenne sentenza che era detta auto de fe (atto di fede).
Nella politica estera il programma di difesa del cattolicesimo, concretato attraverso un intervento armato nelle lotte politiche religiose della Francia e in una nuova guerra navale contro i Turchi faceva tutt'uno con il programma di affermazione della potenza spagnola in Europa. La crisi interna della Francia, infatti, toglieva di mezzo l'unica potenza europea capace di far fronte alla Spagna, quando ancora l'Inghilterra era all'inizio del suo sviluppo navale e commerciale.
In tal modo, dal Trattato di Cateau Cambrésis (1559) al Trattato di Vervins (1598) la Spagna di Filippo II poté mantenere un'effettiva egemonia sull'Europa occidentale.

 

Nel Mediterraneo Filippo II proseguì la lotta impegnata dal padre Carlo V contro i Turchi e gli Stati barbareschi, vassalli della Porta ed insediati sulle coste settentrionali dell'Africa, particolarmente intorno ad Algeri e Tunisi.
L'Impero turco era in quel momento al vertice della propria potenza: nel 1562, con la Pace di Praga, il sultano Solimano II il Magnifico (1520-66) aveva addirittura imposto un tributo annuale all'imperatore Ferdinando I d'Asburgo.
Dopo l'occupazione di Budapest (1541) il confine, sul medio Danubio, era stato portato vicino a Vienna, mentre nel Medio Oriente era stata occupata Bagdad (1534).
Nel Mediterraneo, dopo la conquista di Rodi (1522), l'obiettivo principale era Malta, che però, difesa dai Cavalieri dell'Ordine di San Giovanni, profughi da Rodi, resistette ai tentativi di conquista degli Ottomani (1564-65).
Tolta l'isola di Chio ai Genovesi, il sultano Selim II rivolse nel (1570) le sue forze contro Cipro, ceduta ai veneziani da Caterina Cornaro, moglie di Giacomo II di Lusignano re dell'isola.
L'avamposto cipriota, che sbarrava le coste della Siria e della Palestina, aveva grande importanza per il controllo del Levante, e i Veneziani, per non perderla, mentre ancora la roccaforte di Famagosta, nell'interno, sotto il comando di Marcantonio Bragadin resisteva agli assalitori, chiesero l'aiuto di una lega di Stati cristiani. La lega si poté costituire grazie all'intervento del pontefice Pio V, con la partecipazione, oltre che di Venezia e del papa, della Spagna, del duca di Savoia e del granduca di Toscana.
La flotta cristiana poté tuttavia riunirsi e prendere il mare solo quando ormai anche Famagosta era caduta.  Più di duecento navi cristiane, in gran parte veneziane e spagnole, partite da Messina sotto il comando di Don Giovanni d'Austria, fratellastro di Filippo II, affrontarono allora la flotta turca a nord della penisola di Morea, nelle acque di Lepanto, riportando una netta vittoria; più di cento navi nemiche, tra cui l'ammiraglia di Alì Pascià, furono catturate o affondate, e migliaia di schiavi cristiani, costretti ai remi dai Turchi, poterono riottenere la libertà (7 ottobre 1571).

 

La vittoria navale di Lepanto non ebbe però risultati decisivi per il controllo del Mediterraneo in quanto, scioltasi subito dopo l'alleanza tra Spagna e Venezia, quest'ultima dovette rassegnarsi alla perdita di Cipro; dal canto suo, poi, Filippo II impedì di fatto di sfruttare il successo rafforzando la posizione dei presidi spagnoli sulla costa africana (Orano, Tlemsèn, Tunisi).
Nel 1574 i Turchi riprendevano Tunisi, di importanza strategica per lo sbarramento del braccio di mare tra la Sicilia e la costa tunisina.

 

Le guerre civili in Francia

 

Con la morte di Enrico II, avvenuta nel 1559 in seguito ad una ferita riportata in un torneo, ebbe inizio una gravissima crisi interna che coinvolse la Francia per tutta la seconda metà del secolo.
Le figure principali di questi eventi francesi furono la reggente Caterina de' Medici, consorte di Enrico II, i duchi di Guisa, capi del partito cattolico, e gli esponenti della fazione calvinista, i Borboni, conti di Bearn e sovrani della Navarra francese. Motivi religiosi e politici, rivalità di grandi famiglie, contrasti tra la nobiltà feudale di provincia e le tendenze assolutistiche della monarchia cattolica determinarono la guerra civile. Essa devastò il territorio francese per più di un trentennio (1562-98), alternando periodi di distensione a sussulti improvvisi e a scontri sanguinosi, apparenti pacificazioni a subitanei assassini e a pronte vendette.