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CLASSE   III   -   Sintesi di Storia (1)

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Terminologia storica


Campo semantico del termine "storia"; oggetto storico e categoria storica

 

 

Storia e interpretazione

 

Cerchiamo di analizzare il campo semantico del termine “storia”.

 

«è sempre la solita storia!»
= routine

«che storia!»
= meraviglia

«mi hai raccontato un sacco di storie»
= bugia, balla

« ... mi ha tirato una storia!»
= questione

«papà, mi racconti una storia?»
= favola

«com'è la storia dell'ultimo film?»
= trama

«la storia dell'agricoltura»
= sviluppo

«il volume di storia»
= disciplina scientifica/scolastica

« ... due storie in contemporanea?!»
= relazione

«le epoche della storia»
= tempo

«mi parli della tua storia?»
= vita

ecc.

Il termine equipollente a “storia” che si mostra adatto per sostituirlo raccogliendo in sé tutti questi significati è “interpretazione” (hermenéia).
Il verbo interpretare ha tre livelli di significato: decifrare un simbolo attraverso un gesto codificato (livello debole), tradurre da una lingua ad un'altra un contenuto di significato (livello medio), interpretare sulla scena o nella vita un personaggio (livello forte).
Lo studio della storia si raccoglie nella finalità del terzo significato: si tratterebbe, attraverso l'approfondimento di ciò che ci ha preceduto, di farsi interpreti responsabili della tradizione di cui siamo lo sbocco, con tutti i suoi valori e con tutti i suoi errori, per essere autorevolmente presenti per le scelte da farsi in vista del futuro.

 

L'oggetto storico

 

Ci domandiamo che cosa sia l' “oggetto storico”, vale a dire ciò cui mirano sia la ricerca storica sia lo studio della storia. Si tratta di un fatto? Ma ... che cos'è un fatto? In che modo un accadimento diviene fatto storico?
Un fatto è la comprensione di un divenire di cose che acquista un determinato significato a partire da un atto di temporalizzazione operato dall'uomo. L'uomo è nel contempo soggetto, oggetto e interprete della storia. L' “oggetto storico” è il risultato dell'applicazione dell'interpretazione dell'uomo al corso degli eventi.
La Storia è la disciplina che fa esistere i fatti interpretandoli secondo una certa prospettiva nel contesto di uno scenario temporale. Il valore di un fatto storico è istituito dalla temporalizzazione messa in atto da chi lo studia. La storia è l'interpretazione che l'uomo dà di se stesso nell'oggi in cui vive.

 

La prospetticità della storia

 

Ci sono fatti che appaiono diversamente interpretati nel corso della storia stessa; i fatti sono interpretati da vincitori e da vinti, da protagonisti e da vittime, da spettatori e da interpreti. La verità storica è un difficile e instancabile accertamento dei risvolti degli avvenimenti sulla cultura, sull'identità e sulla coscienza delle comunità umane.
Storicizzando, l'uomo si distacca dallo scorrere degli eventi, i quali, pertanto, si trasformano in un trascorso storico, un “fatto”. La storicizzazione consiste in un lavoro di dispiegamento e di distensione dell'accadere lungo la traiettoria del tempo, dimensione che non esiste di per sé “in natura”, ma che appare come la fondamentale prerogativa storica dell'uomo, in quanto categoria a sua disposizione per operare un consolidamento organico della propria personale esperienza.
Distanziando da sé le cose nel passato e anticipandole nel futuro l'uomo si rende presenzialmente partecipe degli accadimenti, potendo assumersene una relativa responsabilità (storica). La presa di distanza dal passato consente la categorizzazione e la periodizzazione, che non significano la scoperta di qualcosa di dato in natura, ma l'interpretazione di significati dominanti che rendono possibile il possesso (come accertamento storiografico) di un certo periodo di tempo. D'altronde, il tempo non esiste in se stesso: il passato infatti non c'è più, il futuro non c'è ancora e il presente sfugge al controllo, data la sua inconsistenza di soglia tra futuro e passato.
Il documento, la testimonianza e il reperto sono ricercati e indagati dall'interprete per contestualizzarli in un quadro significativo alla luce dell'esperienza successiva dell'umanità. Il risultato del lavoro storico è l'appropriazione, da parte dell'umanità, di un grado di consapevolezza maggiore rispetto a quanto vissuto dalle generazioni precedenti.

 

La categoria storica. L'esempio del Medioevo

 

Che cos'è il Medioevo? Risposta: una categoria storica.
Il termine categoria è preso a prestito dal linguaggio filosofico. Di per sé, poi, esso fa riferimento all'ambiente del foro, vale a dire all'ambito della giurisprudenza. Letteralmente, infatti, categoria significa “imputazione”, capo di accusa. Categorizzare, pertanto, vuol dire denunciare una cosa come “rea” di essere di un certo ordine, di appartenere a un certo tipo.
Dire che il Medioevo è una categoria storica, allora, significa sostenere che tutto quanto accaduto attraverso il lungo avvicendarsi dei secoli tra la caduta dell'Impero romano e la scoperta del nuovo Mondo ha un carattere comune che può essere letto (al di là del fatto che ciò sia più o meno condivisibile) come parentesi, pausa, intervallo tra l'antico e il moderno.
Connotare come Medioevo un'epoca significa orientare la comprensione, indurre una precomprensione, presentare una determinata prospettiva di lettura dell'esperienza, non senza l'implicita assunzione di un'enorme responsabilità nei confronti dell'educazione e del progresso degli uomini.

 

 

 

La crisi della Chiesa: Bonifacio VIII e Filippo il Bello

 

 

Bonifacio VIII e l'ideale teocratico

 

Nel 1294, dopo un conclave durato circa due anni, veniva eletto papa, con il nome di Celestino V, il monaco abruzzese Pietro da Morrone, il quale, dopo pochi mesi, rinunciava al suo incarico, ritenendosi inadeguato al compito a lui affidato, vista la sua inesperienza e le pressioni dei sovrani temporali.
Gli succedette Benedetto Caetani con il nome di Bonifacio VIII, nel quale rivisse l'ideale teocratico di Gregorio VII e di Innocenzo III, cioè la dottrina della superiorità assoluta del papa, sia nella sfera spirituale sia in quella temporale, nonostante che i tempi fossero significativamente cambiati.
Bonifacio decise di rivendicare tutti i diritti che a suo giudizio competevano al clero e al papato, senza compromessi ma anche senza l'abilità diplomatica che aveva coronato di successo, precedentemente, l'azione europea di Innocenzo III.
La vicenda di Bonifacio VIII è legata alle sorti della monarchia francese sotto Filippo IV il Bello (1285-1314), vicenda che vede l'aprirsi di un conflitto tra l'autorità civile e l'autorità religiosa in Francia.

 

In passato i re francesi avevano avuto l'autorizzazione dalla Santa Sede di incamerare decime (tasse ecclesiastiche legate al sostentamento degli apparati della chiesa e riscosse dal clero in ogni regione) a proprio favore.
Filippo il Bello, in vista di una ripresa delle ostilità nei confronti dell'Inghilterra, impose contributi al clero senza domandarne il permesso al papa e accontentandosi del consenso di un gruppo di vescovi francesi. Temendo che il fatto potesse incrinare l'unità della Chiesa e creare una intollerabile autonomia locale, Bonifacio VIII rispose a questo atto del re francese con la bolla Clericis laicos (1296), che proibiva ai principi, pena la scomunica, di imporre tasse alle chiese senza l'autorizzazione di Roma. A sua volta Filippo, per rappresaglia, vietava l'esportazione dell'oro e dell'argento dai suoi Stati, impedendo così di fatto la riscossione dei crediti che i banchieri italiani compivano in Francia per conto della Santa Sede.
Bonifacio, in un primo tempo, manifestò una volontà conciliatrice, facendo alcune concessioni a Filippo; quando, tuttavia, il re francese fece imprigionare un vescovo sotto l'accusa di complotto contro il re, egli ritirò le sue recenti concessioni mentre, per tutta risposta, Filippo, convocati i tre ordini del regno (nobiltà, clero e terzo stato), otteneva un nuova conferma della sua politica di indipendenza dal pontefice.
Lontano dal recedere dai suoi propositi teocratici (che tendevano ad assumere nella mente del pontefice il valore di un dogma di fede) Bonifacio emise una nuova e più dura bolla (Unam sanctam, 1302), in cui dichiarava che affermare l'indipendenza del potere temporale dal potere spirituale significa asserire ereticamente una posizione risalente al manicheismo e negare l'universale gerarchia dei valori stabiliti da Dio.

 

Lo “schiaffo di Anagni”

 

Dopo una nuova campagna scandalistica scatenata contro il pontefice, su cui furono gettate le accuse più violente, di usurpazione della carica papale, di simonia (commercio di cose e valori sacri) e di materialismo, Filippo il Bello, su consiglio dei suoi più stretti collaboratori, inviò una spedizione in Italia per catturare Bonifacio e condurlo in Francia, dove sarebbe stato sottoposto a un processo.
Con l'aiuto delle fazioni romane avverse al papa (la famiglia Colonna) l'operazione fu compiuta nel 1303, quando il papa fu arrestato nella sua residenza di Anagni. Subite l'umiliazione e gli insulti da parte dei francesi (si parla di un leggendario schiaffo infertogli da Guglielmo di Nogaret), fu però liberato dalla popolazione del villaggio con il concorso di un gruppo di cavalieri romani, senza che ciò impedisse, nel giro di pochi giorni la morte del papa, forse dovuta alla durissima prova subita.
La teocrazia si dimostrava definitivamente caduta.

 

 

 

 

L'impero tra Enrico VII e Ludovico il Bavaro. Il Defensor pacis di Marsilio da Padova

 

 

Gli ultimi Svevi e le vicende del mondo germanico

 

La scomparsa di Federico II (1250) fu per l'Impero l'inizio di un periodo di anarchia e di disordine. Parallelamente la stessa sorte toccava, benché in minor misura anche alla corona di Germania, d'altronde tradizionalmente legata al titolo imperiale.
Successore di Federico II fu il figlio Corrado IV, che riuscì a stento a farsi eleggere re di Germania, ma morì prematuramente nel 1254, lasciando come erede il giovanissimo Corradino. Trovandosi, però, costui in Germania, emerse in Italia la figura di un altro membro della casa sveva, figlio illegittimo di Federico II, il principe Manfredi, il quale, diffusasi la notizia della morte di Corradino, si fece incoronare re a Palermo (1258) e detenne la corona di Sicilia per otto anni. Manfredi fu però sconfitto e ucciso in battaglia nel 1266; solo due anni dopo, nel 1268, anche Corradino, sceso in Italia nell'estremo tentativo di risollevare la parte ghibellina, fu affrontato a Tagliacozzo e sconfitto. Fuggito rocambolescamente, fu poi catturato e decapitato a Napoli, nell'ottobre. Finiva la dominazione degli Hohenstaufen in Italia.

 

L'Impero germanico dopo la fine degli Hohenstaufen

 

L'interesse mostrato verso l'Italia da diversi sovrani tedeschi aveva fatto trascurare le esigenze nazionali; in più, il carattere elettivo della anarchia tedesca, mantenuto tradizionalmente, aveva lasciato grande potere ai vescovi, ai principi e alle città, aumentando la possibilità di guerre partigiane e dinastiche, rafforzando la tendenza al particolarismo. La progressiva frantumazione e dissoluzione dei beni soggetti alla corona di Germania, per usurpazioni o concessioni, impedì la formazione di uno Stato territoriale politicamente unitario, come in altre parti d'Europa. Le città si unirono in leghe, tanto forti da poter mantenere con i proprio mezzi la propria indipendenza e proteggere il loro commercio: ad esempio la Lega del Reno e la Hansa del mare del Nord. Quest'ultima univa in un'associazione potente le città del Mar Baltico e del Mare del Nord, tra cui Lubecca, Amburgo e Brema. Per merito di questi centri urbani il commercio tedesco rimase intenso anche in questo periodo di decadenza politica.

 

Nel ventennio tra il 1254 e il 1273  parecchi candidati, tra cui anche principi stranieri, si contesero la corona di Germania, ma riconosciuti in talune località e in altre respinti, non riuscirono a consolidare il loro potere tra le continue crisi, agitazioni e lotte.
Nel 1273 fu eletto re di Germania il Landgravio dell'Alsazia, Rodolfo d'Asburgo (1273-1291), che iniziò la restaurazione dell'autorità regia. Questi, vincendo il re di Boemia poté assicurare alla casa d'Asburgo una solida base territoriale, avviandola ad assumere un ruolo di primaria importanza nella storia dell'Europa centrale (già il figlio Alberto, duca d'Austria avrebbe ottenuto la corona regia dal 1298 al 1308).
Morto assassinato Alberto duca d'Austria, grazie a un sussulto di energia da parte di Clemente V, la corona passò ad Enrico conte di Lussemburgo, che aspirava nuovamente a una forma di monarchia universale, ottenendo, tra l'altro, il favore di molti in Italia (Dante Alighieri), che sperarono, almeno inizialmente che una sua discesa nella penisola avrebbe potuto finalmente comportare una generale pacificazione.
Sceso dunque lungo la penisola alla fine del 1310 (non senza incontrare delle resistenze), raggiunse Roma dove poté ottenere la corona imperiale (1312) con il nome di Enrico VII; ma il successo risultò fugace, per l'opposizione delle parti guelfe e per la sua improvvisa morte sopravvenuta soltanto un anno dopo, nel 1313 a Buonconvento, presso Siena.

 

L'ultimo conflitto tra Papato e Impero

 

Nel 1314 a Enrico VII succedeva sul trono di Germania Ludovico duca di Baviera (Ludovico il Bavaro), che avrebbe tenuto la corona fino al 1346.
Il papa Giovanni XXII (1316-1334), tuttavia, non voleva riconoscere a Ludovico il titolo di «Re dei Romani», effettiva premessa all'incoronazione imperiale.
Nel 1327, quindi, Ludovico il Bavaro scese in Italia e, attraverso la Toscana ghibellina, giunse a Roma, che momentaneamente era in fermento. In Campidoglio, in nome del popolo romano Ludovico, su cui nel frattempo era caduta la scomunica, ricevette la corona di imperatore, consacrato da due vescovi a loro volta scomunicati (1328).

 

Durante questo periodo il principe tedesco era accompagnato dal dotto Marsilio da Padova, insigne giurista, maestro all'Università di Parigi e autore di un trattato di filosofia della politica dal titolo Il difensore della pace. Questi si faceva portavoce di una dottrina secondo la quale la finalità suprema e la giustificazione intima dell'esistenza dello Stato (cioè del potere civile) è il mantenimento della pace fra gli uomini. Il potere laico del Principe, poi, che si esprime nella legge, trova il suo fondamento nel consenso popolare, cioè nell'approvazione da parte dell'intera comunità degli uomini. Analogamente, sostiene Marsilio, anche nell'ambito della Chiesa, non la gerarchia dei prelati o il papa hanno valore, ma l'intera comunità dei fedeli, che si esprime attraverso il Concilio generale, vero depositario dell'autorità religiosa. Dal momento che, secondo Marsilio da Padova, i vescovi e il papa sono un'istituzione umana, storica, non divina, allora l'organizzazione della Chiesa, la scelta dei papi, la convocazione dei concili, l'uso del potere coercitivo contro gli eretici e i peccatori appartengono di diritto al potere civile, cioè al Principe e allo Stato. Lo Stato, secondo Marsilio, è veramente sovrano, libero dal controllo della Chiesa e superiore ad essa, e il Principe è il vero difensore della pace.
Tale dottrina sanciva di fatto la fine della monarchia carismatica, introduceva l'idea del contratto come fondamento dello Stato e negava l'esistenza del diritto naturale.

 

Il favore della popolazione romana verso l'imperatore Ludovico, tuttavia, non durò a lungo ed egli dovette riprendere presto la via del nord (1329).

 

Durante il papato di Clemente VI (1342-1352), poi, fu posta in dubbio e contestata la validità del titolo di Ludovico il Bavaro (imperatore per volontà popolare, consacrato da vescovi scomunicati), finché nel 1346 il papa riuscì ad ottenerne la deposizione. La corona di Germania, quindi, venne attribuita a Carlo IV di Lussemburgo-Boemia (1346-1378). Questi compì un'altra (veloce) discesa in Italia, ottenendo in Roma la corona imperiale (1355).
Poi, sicuro sul suo trono, promulgò la Bolla d'Oro (1356), che definitivamente regolava l'elezione a «Re dei Romani» (e quindi a Imperatore). Il nuovo documento sanciva che l'elezione dovesse essere affidata a sette grandi elettori, tre ecclesiastici e quattro laici, nelle persone degli arcivescovi di Magonza, Colonia e Treviri (Mainz, Köln, Trier) e del re di Boemia, del duca di Sassonia, del margravio del Brandeburgo e del conte del Palatinato; ciò, naturalmente, a prescindere dall'approvazione del pontefice romano, il quale si riduceva, di fatto, a un semplice officiante di una cerimonia di incoronazione.
Con la Bolla d'Oro di Carlo IV l'Impero assunse decisamente un carattere elettivo e germanico.

 

 

 

La "Cattività avignonese" e i Concili di Costanza e Basilea

 

 

La “cattività” (prigionia) avignonese

 

Tuttavia, mentre Filippo il Bello cercava di scagionarsi dell'accaduto, avvenne un fatto importantissimo per la storia della Chiesa: l'insediamento, nel 1305, della Corte papale ad Avignone, per iniziativa del neoeletto Clemente V, l'arcivescovo di Bordeaux, succeduto a papa Bonifacio dopo il breve pontificato di Benedetto IX. La curia pontificia sarebbe rimasta in Provenza fino al 1377.

 

Durante il periodo avignonese la Chiesa portò a termine la propria organizzazione monarchica e burocratica interna: si costituirono, infatti, una Cancelleria, completa di personale e di uffici distinti per le pratiche amministrative, un Concistoro cardinalizio, presieduto dal papa per il disbrigo degli affari più urgenti, una Camera apostolica, l'ufficio tributi a cui affluivano le tasse da tutti i paesi del mondo cristiano.
Stante l'aggravarsi delle condizioni della monarchia francese a seguito dello scoppio della Guerra dei Cento Anni, tuttavia, e divenendo insicura anche la zona di Avignone, percorsa da soldataglie sbandate, nel 1377, sotto il pontificato di Gregorio XI la sede del papa fu di nuovo riportata a Roma.

 

Il Grande scisma d'Occidente

 

L'anno dopo il rientro dei papi in Roma, nel 1378, moriva Gregorio XI e il conclave, riunitosi in una situazione di sommosse popolari in Roma, elesse papa il vescovo di Bari con il nome di Urbano VI. Senonché, i cardinali francesi, rifiutando questa decisione, riunitisi in un nuovo conclave, elessero papa Clemente VII, creando all'interno della Chiesa una gravissima divisione che prese il nome di Grande scisma d'Occidente (1378-1417).
Urbano risedette a Roma, Clemente, di nuovo, si spostò ad Avignone. La situazione era insostenibile per il mondo cristiano e da più parti si fece innanzi la richiesta di una drastica riforma della struttura della Chiesa.

 

La convocazione di un concilio universale si rese perciò necessaria, per procedere alla deposizione dei papi vigenti e per l'elezione di un nuovo capo spirituale.
Nel 1409 l'assemblea dei vescovi si tenne a Pisa, ma il tentativo peggiorò la situazione, perché l'autorità del Concilio pisano non fu riconosciuta dalla maggior parte del mondo ecclesiastico e si ebbero, di conseguenza, tre pontefici invece di due:
 - Gregorio XII, papa romano,
 - Benedetto XIII, papa avignonese,
 - Alessandro V, papa pisano.
La situazione poté sbloccarsi soltanto a partire dal 1414, quando, per iniziativa dell'imperatore Sigismondo, il concilio fu convocato nella città di Costanza. In quell'occasione (1414-1418) si decise di comune accordo la deposizione dei tre papi che si contendevano la tiara (in quel momento: Giovanni XXIII [pisano], Gregorio XII [romano] e Benedetto XIII [avignonese]) e un conclave di brevissima durata elesse Martino V (1417-1431), con la pacifica approvazione di tutte le parti.

 

Poiché a Costanza si era auspicata una convocazione periodica delle grandi assemblee della cristianità, un nuovo concilio fu riunito a Basilea nel 1431. In esso si cercò di portare alle ultime conseguenze il principio conciliarista, implicitamente accettato a Costanza, quello cioè della superiorità del Concilio sul Papa.
Alla morte di Martino V, tuttavia, il neo-eletto Eugenio IV si adoperò per invertire la tendenza e riportare la maggioranza dell'assemblea su posizioni meno drastiche, facendo in modo di riproporre con forza la tesi monarchica, che sostiene il primato del sommo pontefice sull'autorità del concilio. Di fatto egli, in contrasto con i membri del concilio, ne ordinò il trasferimento in Italia, fissando la sede a Ferrara e poi a Firenze (1438-1439), e la conseguenza fu un nuovo piccolo scisma all'interno della Chiesa, con la nomina dell'antipapa Felice V (il duca Amedeo di Savoia, già dedito alla vita religiosa).
Questo piccolo scisma durò una decina d'anni, ma le discussioni tenutesi a Basilea non diedero alcun contributo per definire i rapporti tra l'autorità e le prerogative conciliari e quelle papali; trasferitosi, infine, il concilio a Losanna, si finì col riconoscere nuovamente il pontefice romano, mentre l'antipapa di ritirava della contesa. Da allora la formula monarchica sarebbe prevalsa nella Chiesa.

 

Nel frattempo il pontefice Eugenio IV aveva ottenuto con il Concilio di Firenze la riunione tra la Chiesa di Oriente e la Chiesa Romana, rivelatasi però di assai breve durata e indotta soprattutto dalla rapida avanzata dei Turchi, che erano giunti ormai a circondare Costantinopoli da ogni parte.

 

 

 

Le monarchie nazionali. La guerra dei Cento anni

 

 

La Guerra dei Cento anni

 

Intorno al 1337-1339 scoppiava tra Francia e Inghilterra una sanguinosa ed estenuante guerra che si sarebbe protratta fino al 1453: la cosiddetta Guerra dei Cento anni.
L'occasione ai belligeranti fu offerta dal tentativo del re francese Filippo VI di Valois (1328-1350) di estendere il proprio potere sulle ricche città delle Fiandre e sugli importanti centri cittadini di Bayonne e di Bordeaux.
Più in generale, all'origine della guerra vi fu il potere che la Corona inglese esercitava ancora su vasti territori della Francia sud-occidentale.

 

I presupposti
Tutto incominciò nel 911, quando l'allora re dei Franchi (dinastia dei Capetingi) Carlo il Semplice riuscì a risolvere il grave problema normanno, cioè il problema delle frequentissime incursioni che gli “uomini del nord” perpetravano ai danni delle popolazioni stanziate lungo le rive dei grandi fiumi francesi. Carlo, infatti, concesse a Rollone, il capo di uno dei gruppi più forti di questi “vichinghi”, di stabilirsi sulle rive della bassa Senna, nella regione che poi fu chiamata Normandia, di cui lo stesso Rollone divenne duca con atto di omaggio feudale nei confronti del re Capetingio.
Nel 1066, poi, la monarchia inglese, dopo essere stata dominata dai danesi di Canuto il Grande, si rese praticamente indipendente ed autonoma, ma alla morte di Edoardo il Confessore, re degli inglesi, il quale aveva concesso benefici a molti cavalieri normanni che dalla Francia si erano spostati sulle coste meridionali dell'Inghilterra, Aroldo, l'audace conte del Wessex, si impadronì del potere, pur non essendo benvoluto da gran parte della nobiltà inglese. A quel punto la nobiltà inglese di origine normanna chiamò in proprio soccorso Guglielmo il Bastardo, duca di Normandia (soprannominato poi Guglielmo il Conquistatore), il quale, alla testa di un folto gruppo di guerrieri, affrontò e vinse Aroldo (ucciso sul campo) ad Hastings, ottenendo così la corona inglese.
Il re d'Inghilterra, dunque risultava d'ora in poi vassallo del re di Francia.
Nel 1154 la corona inglese passò ad Enrico II Plantageneta (dal francese genête, che significa ginestra) pronipote di Guglielmo il Conquistatore in linea femminile. Nelle sue mani si raccoglievano tre eredità:
 - quella anglo-normanna per cui era re d'Inghilterra e duca di Normandia,
 - quella paterna per cui signoreggiava l'Angiò e il Maine,
 - quella portatagli in dote dalla moglie Eleonora di Aquitania (ex moglie di Luigi VII di Francia) che comprendeva il Poitou e la Guienna.
Enrico II risultava così signore di tutta la Francia centro occidentale, da nord a sud, ma doveva considerarsi ancora vassallo del re di Francia che, territorialmente, controllava soltanto la regione di Parigi.
Nel 1180 diventò re di Francia Filippo II Augusto, della dinastia dei Capetingi, ingegnoso ed energico. Volendo rivendicare i suoi diritti di feudatario nei confronti del re d'Inghilterra, dopo la morte di Riccardo Cuor di Leone (re d'Inghilterra), insieme con il quale aveva partecipato alla Terza crociata, passò all'offensiva nei confronti del re inglese Giovanni senza Terra, fratello di Riccardo, e metodicamente, dal 1203 al 1207 occupò le terre che il Plantageneta possedeva in Francia, fino alla Loira, lasciandogli soltanto il Ducato di Aquitania. Filippo II progettava anche uno sbarco in Inghilterra, ma Giovanni senza Terra si sottrasse a tale minaccia ponendo il regno inglese sotto la protezione del papa Innocenzo III, come feudo della Chiesa. Ciò comportò l'impossibilità, per Filippo Augusto, di mettere le mani anche sull'isola britannica, nonostante il favore di parte dalla nobiltà inglese che osteggiava re Giovanni (costretto a concedere la Magna Charta [1215]) e che aveva richiesto addirittura al figlio di Filippo, Luigi, di diventare re d'Inghilterra.
Filippo II Augusto morì nel 1223. Gli succedettero: il figlio Luigi VIII (1223-1226), Luigi IX il Santo (1226-1270), Filippo III l'Ardito (1270-1285), Filippo IV il Bello (1285-1314), il protagonista dei conflitti con Bonifacio VIII.
Nel 1314 a Filippo il Bello succedevano, l'uno dopo l'altro i suoi tre deboli figli: Luigi X (1314-1316), Filippo V (1316-1322) e Carlo IV (1322-1328).
Nel 1328 Carlo IV moriva senza eredi, esauritasi la dinastia capetingia.
Si presentavano perciò due pretendenti al trono: Filippo di Valois, figlio di un fratello di Filippo il Bello, ed Edoardo III re d'Inghilterra, nipote di Filippo il Bello per parte di madre. Il senso nazionale aveva il sopravvento e veniva scelto Filippo di Valois con il nome di Filippo VI. Ciò costituiva la causa remota della Guerra dei Cento anni.

 

Prima fase (1339-1360)
La guerra è preannunciata da una rivolta nelle Fiandre (1338), paese economicamente dipendente dall'Inghilterra, che vi inviava la materia prima per l'industria laniera, ma feudalmente legato alla Francia. L'inizio del conflitto vero e proprio, però, si ha per iniziativa di Edoardo III nel 1339.
La prima fase è nettamente favorevole agli inglesi, che vincono a Crécy (1346), grazie all'impiego degli arcieri che neutralizzano la cavalleria francese, ed occupano Calais. Si ha poi una tregua di qualche anno, durante la quale la peste nera spopola la Francia; Filippo VI muore (1350) e gli succede Giovanni il Buono.
Nel 1356 gli inglesi ottengono un'altra vittoria nella battaglia di Poitiers, durante la quale viene fatto prigioniero lo stesso re di Francia Giovanni.
Il Delfino Carlo, privo di denaro e di soldati chiede disperatamente sussidi agli Stati generali (nobiltà, clero, borghesia), ma per tutta risposta la borghesia parigina insorge contro l'aristocrazia che si dimostra incapace di fare fronte alla drammatica situazione. Giovanni il Buono sarebbe poi morto nel 1364, ancora prigioniero degli inglesi. Nelle campagne, intanto (1358), i contadini, esasperati dalla guerra e dalla conseguente tassazione, massacrano e incendiano (moto rivoluzionario detto Jacquerie, dall'appellativo di disprezzo Jacques le Bonhomme assegnato ai contadini).

 

Il Delfino Carlo, poi, ottiene gli aiuti richiesti e di nuovo si impadronisce della situazione sia a Parigi sia nelle campagne. Nel frattempo, stretto dalle difficoltà di approvvigionare il suo esercito in Francia, Edoardo III accetta la pace di Brétigny (1360), con la quale rinuncia al trono di Francia, ma ottiene piena sovranità su ampi territori francesi.

 

Seconda fase (1360-1420)
Nessuno dei due contendenti riesce di fatto a prevalere sull'altro in questa fase della guerra.
Sotto Carlo V il Saggio (1364-1380) la Francia si risolleva sotto diversi punti di vista, compreso quello militare, grazie all'assoldamento di compagnie di ventura nell'esercito francese; gli inglesi a poco a poco sono costretti a ritirarsi, tanto che nel 1375 tengono ancora soltanto Calais (sulla Manica) e Bordeaux (alla foce della Garonna).
Sotto Carlo VI, invece, segue per la Francia un nuovo periodo di decadenza, dovuto alle crisi di follia del sovrano che è letteralmente in balia dei principi reali, Luigi di Orléans (partito degli Orleanisti, altrimenti detti “Armagnacchi”) e Filippo l'Ardito di Borgogna (partito dei Borgognoni), i quali esauriscono le risorse del regno combattendosi. D'altronde, gli inglesi non possono trarre profitto dalla situazione di debolezza della Francia, perché nel paese, sotto Riccardo II, sono in corso disordini sociali e la corona è contesa da un ramo laterale della dinastia Plantageneta, i Lancaster, che, alla fine prendono il sopravvento con Enrico IV (che soppianta Riccardo), il quale tuttavia si disinteressa della guerra in Francia.

 

Terza fase (1422-1453)
Soltanto nel 1413, il figlio Enrico V Lancaster (1413-1422) riprende con vigore la guerra e, sbarcando in Normandia, mette in rotta l'esercito francese presso Azincourt (1415), complice il fatto che i Borgognoni si sono accordati con lui. Il duca di Borgogna si impadronisce di Parigi e fa prigioniero il re Carlo VI; Enrico V è padrone della situazione e detta le condizioni del Trattato di Troyes (1420) con il quale viene riconosciuto erede del Regno di Francia per il suo matrimonio con Caterina di Valois, figlia di Carlo VI.
Quasi tutta la Francia del nord e del centro è dominata ora dagli inglesi. Soltanto il territorio a sud della Loira rimane fedele alla dinastia dei Valois.

 

 

 

Giovanna d'Arco e la fine del conflitto. La guerra "delle due rose" e la reconquista in Spagna

 

 

Nel 1422, tuttavia, muoiono sia Carlo VI di Valois sia Enrico V Lancaster. La corona d'Inghilterra e la corona di Francia passano sul capo di Enrico VI Lancaster, un bimbo di pochi mesi, ma la lealtà dei francesi per la dinastia legittima si risveglia.
Nel marzo del 1429 appare sulla scena Giovanna d'Arco (Domrémy, probab. 1412; Rouen, 1431). Ella, sentendosi guidata dalla volontà di Dio, raggiunge il principe Carlo a Chinon, gli si presenta sotto mentite spoglie, e lo convince a farsi affidare il comando dell'esercito francese, alla testa del quale riesce a liberare progressivamente il territorio francese dagli occupanti inglesi; la prima vittoria è la liberazione di Orléans (1429).

 

cento

 

L'ultima fase del conflitto

 

Nello stesso anno, il delfino Carlo viene legittimamente incoronato re di Francia in Reims, con il nome di Carlo VII. Giovanna, intanto, prosegue nella sua marcia verso Parigi, ma è ferita durante un fallito attacco a Compiègne e cade nelle mani dei Borgognoni, che la vendono agli inglesi. Tradotta a Rouen, viene processata, ritenuta colpevole di stregoneria e arsa viva sul rogo nel 1431.
Carlo VII, nel frattempo, continua a combattere e nel 1436 libera Parigi e tutto il centro della Francia.
Nel 1453, alla fine delle ostilità, agli inglesi non rimaneva che il distretto di Calais (che cadrà in mano francese soltanto nel 1558).

 

Conclusa la guerra, Inghilterra e Francia si avviano, l'una, verso l'isolamento insulare dagli affari continentali, puntando piuttosto sul dominio dei mari, l'altra, risolti i dissidi interni con la Borgogna, verso l'assunzione del ruolo della più forte potenza continentale europea.

 

La corona inglese dopo Enrico V

 

Si è visto come, dopo la morte di Enrico V Lancaster, le sorti della guerra con la Francia avessero volto a favore di quest'ultima. Ciò dipendeva anche dal fatto che l'eredità di Enrico veniva raccolta da Enrico VI Lancaster, un bimbo di pochi mesi, incoronato re di Francia oltre che d'Inghilterra, ma per ovvi motivi in balia delle grandi famiglie, che, negli anni successivi, suscitarono una serie di congiure e di torbide lotte in cui perì una buona parte dell'aristocrazia inglese.
Inoltre, dal momento che Enrico VI non aveva eredi, per la sua giovane età, una parte della nobiltà si schierò a favore di Riccardo, duca di York, proponendolo come eventuale erede al trono in caso di morte di Enrico VI, debole e malato. La fazione rivale, al contrario, si schierò per Edmondo, duca di Somerset, appartenente ad un ramo della famiglia dei Lancaster.
Poiché una rosa bianca era l'emblema dei sostenitori degli York, mentre una rosa rossa lo era per i partigiani dei Lancaster, i sanguinosi eventi che si succedettero presero poi il nome, ironicamente idilliaco, di “Guerra delle due Rose”.

 

La Guerra delle due Rose

 

Dopo una funesta serie di scontri interni alle famiglie, nel 1455 (a due soli anni dalla conclusione delle ostilità in Francia) si ebbe, vicino a Londra, il primo scontro campale tra le due fazioni.
Edmondo rimase ucciso e gli York trionfarono con Riccardo, già “Protettore del Regno”, il quale divenne effettivo padrone della situazione. Nel 1460, tuttavia, in un nuovo confronto armato, fu la volta di Riccardo a soccombere in battaglia, sconfitto e ucciso presso Wakefield. Ciò, tuttavia, non produsse grandi effetti, in quanto subito dopo la fazione degli York riusciva comunque a riavere il sopravvento con Edoardo, figlio di Riccardo di York, il quale, dichiarato decaduto e rinchiuso nella torre di Londra il re legittimo (Enrico VI Lancaster), poté vestire la corona con il nome di Edoardo IV e governare dal 1461 al 1470.
Un nuovo stravolgimento della situazione si ebbe in quell'anno, quando i collaboratori più stretti di Edoardo IV passarono nel partito avverso: Edoardo fu costretto a fuggire in Olanda ed Enrico VI, tratto dalla prigionia, fu di nuovo insediato sul trono, benché per un solo anno. Nel 1471, infatti, il ritorno in forze di Edoardo coincideva con l'uccisione dei fedifraghi ex collaboratori e con la morte di Enrico VI stesso.
Edoardo IV poté di nuovo regnare fino al 1483, cioè fino alla morte.

 

La successione al trono del figlio Edoardo V, di soli dodici anni, produsse di nuovo una forte instabilità nel regno. Il giovane sovrano, infatti, fu vittima della crudeltà dello zio, Riccardo di Gloucester, che, nello stesso 1483 si impadronì del trono, mentre Edoardo moriva in circostanze sospette.
Riccardo III poté regnare due anni, finché, nel 1485, fu affrontato e vinto a Bosworth da Enrico Tudor, discendente in linea femminile dai Lancaster; morto sul campo Riccardo III, il Tudor fu proclamato re con il nome di Enrico VII, con il quale finalmente si chiuse la luttuosa serie di lotte civili.
Con Enrico VII, visto anche il generale desiderio di pace che animava tutte le fasce della società inglese, si ebbe un governo stabile, peraltro sempre controbilanciato dai due rami del parlamento (Camera dei Pari e Camera dei Comuni) che aveva ormai raggiunto un grado di notevole solidità ed autonomia. Il governo centrale rafforzò il controllo sul paese aumentando le competenze della Star Chamber, organo di controllo e di difesa della monarchia.

 

L'Inghilterra dei Tudor si avviava a perseguire d'ora in poi una politica di insularità (cioè disinteresse per gli affari continentali ed estensione del proprio dominio dei mari) che si sarebbe manifestata come costante degli equilibri europei nei secoli a venire.

 

Le monarchie iberiche

 

La storia della Spagna negli ultimi secoli del medioevo è la storia della progressiva riconquista della penisola da parte dei principi cristiani.
Ricacciati dall'avanzata musulmana, piccoli gruppi di cristiani si erano rifugiati a nord dell'Ebro, tra le montagne impervie dei Pirenei, costituendo il Regno di Leon, la Contea di Castiglia, il Regno di Navarra, la Contea d'Aragona e la Contea di Barcellona.

 

 

 

Castiglia e Aragona nel XV secolo. La ricostituzione del Portogallo

 

 

Dopo essere stati fermati a Poitiers nel 732 da Carlo Martello, i musulmani di Spagna, fin dal 929, avevano avuto un loro califfato, quello degli Omaiadi di Cordova, che aveva interrotto ogni legame religioso e politico con Bagdad.
L'ultima espansione araba risaliva al sec. X, quando Almanzor, un capo musulmano, era giunto a saccheggiare Santiago di Compostella e a occupare Barcellona.

 

Dopo questo periodo gli stati cristiani ricominciarono ad espandersi verso sud, respingendo i musulmani con una specie di guerra santa: numerosi gruppi di cavalieri, soprattutto provenienti dalla Francia, accorrevano a portare il sostegno della loro spada, normanni, borgognoni, provenzali, giovani cadetti della nobiltà che, se l'impresa di guerra era fortunata, restavano in territorio spagnolo e vi facevano sorgere dei piccoli feudi. L'espansione proseguì lungo i secoli XI-XIII, finché, dopo il 1248, i musulmani furono respinti ai margini sud orientali della penisola iberica, aggrappati alle ultime pendici della Sierra Nevada, tra Granada e Malaga, tributari del Regno di Castiglia fino al 1492.

 

A metà del XV secolo esistevano nella penisola iberica quattro regni: Castiglia-Leon, Aragona, Navarra e Portogallo.
Il Regno di Castiglia-Leon, si trovava di fatto in uno stato di anarchia, soggetto alla bellicosità dei nobili feudali detti hidalgos; nel 1474, però, morto Enrico IV, divenne regina di Castiglia e Leon la sorella di lui Isabella, sposa del principe Ferdinando erede del Regno d'Aragona, un avvenimento di straordinaria importanza che preparò l'unione dei due maggiori regni spagnoli.
In Aragona, dopo Alfonso il Magnanimo (1416-1458), completamente assorbito dalle vicende italiane (la sua corte era in Napoli), regnò il fratello di lui Giovanni II (1458-1479), il quale, appunto, riuscì a far concludere il matrimonio tra il figlio Ferdinando e Isabella di Castiglia (1469).
Il Regno del Portogallo si rivolse alle attività marinare, consolidando, tra l'altro l'alleanza con l'Inghilterra, una costante della politica europea nei secoli a venire.

 

Negli ultimi decenni del secolo XV, con l'unione dinastica fra la Castiglia e l'Aragona, la Spagna compì un grande passo verso l'unità: dal 1474, infatti, Isabella e Ferdinando regnarono in Castiglia, e dal 1479, dopo la morte del padre, Ferdinando prese possesso anche del trono aragonese. Non esisteva una vera fusione dei due Stati, perché il legame tra le due corone era puramente personale (legato, cioè al fatto che Ferdinando e Isabella erano coniugi) e, in Castiglia, Ferdinando era considerato più un consigliere e un amico che un sovrano. Le monete portavano la doppia effigie e così i sigilli e gli stendardi; alla morte di Isabella, nel 1504, la Castiglia toccò alla figlia Giovanna col consorte Filippo d'Asburgo (solo nel 1506, morto anche Filippo, fu lasciata piena libertà a Ferdinando di Aragona di esercitare la reggenza in Castiglia, data anche la malattia, vera o presunta, di Giovanna [la loca, cioè la pazza] e la giovanissima età del nipote Carlo di Gand (il futuro Carlo V imperatore). Molti, peraltro, erano i motivi di disunione: differenze di lingua tra il castigliano e il catalano; diverse economie; la popolazione iberica professava tre fedi religiose diverse, il cristianesimo, l'islam e il giudaismo.
Lo sforzo dei Re cattolici (Ferdinando e Isabella) fu diretto a conseguire l'unità religiosa come fondamento dell'unità politica e fattore essenziale della coscienza nazionale spagnola. Per ottenere ciò, da una parte imposero agli Ebrei la scelta tra l'espulsione e la conversione, dall'altra, espugnata Granada nel 1492, anche ai Mori rimasti in terra spagnola fu imposta la conversione e l'abbandono delle consuetudini musulmane.

 

 

 

La presa di Costantinopoli e l'Europa centrosettentrionale nel '400

 

 

La presa di Costantinopoli

 

A partire dal 1261 l'Impero Romano di Oriente (vale a dire l'Impero Bizantino) era stato governato da sovrani appartenenti tutti alla Famiglia dei Paleologi.
Nonostante le iniziative di diversi tra questi imperatori, la struttura politica e amministrativa dello stato aveva imboccato un percorso di lento ma inesorabile declino, sia dal punto di vista della gestione interna (anche a causa delle pretese e delle ingerenze degli occidentali, soprattutto veneziani e genovesi) sia da quello dell'estensione territoriale, sempre decrescente soprattutto a motivo della tendenza all'espansione del mondo musulmano.
In particolare, dalla metà circa del secolo XIV si era presentata alla ribalta del mondo mediorientale la forte dinastia degli Osmanli (gli “Ottomani”, discendente dal capostipite Otman o Osman), che si era resa indipendente costituendo uno stato tanto forte e ben organizzato quanto agguerrito e avido di conquiste.
A partire dal 1326 tutta la Siria e l'Anatolia erano entrate a far parte del dominio ottomano e nel 1354 i Turchi erano sbarcati a Gallipoli (sui Dardanelli), penetrando poi nella regione balcanica. Distrutto poi l'esercito serbo nella battaglia di Kossovo, nel 1389, i Turchi ottomani risultavano essere padroni di tutte le terre a nord di Costantinopoli, precedentemente appartenenti ai bizantini. Soltanto la spinta delle popolazioni mongoliche sotto il comando di Timur Leng (il Tamerlano) aveva permesso a Costantinopoli di resistere, ma alla morte di questo capo mongolo (1405), gli ottomani poterono riconquistare i territori loro sottratti in oriente e subito dopo concentrare le loro forze nell'assedio della seconda Roma (Costantinopoli).

 

Il 29 maggio 1453 le possenti mura della città cedevano all'artiglieria turca e la città veniva percorsa e saccheggiate dalle truppe del sultano Maometto II, il quale, catturato l'ultimo imperatore bizantino, Costantino IX Paleologo, lo fece decapitare e fece poi affiggere la sua testa su di un palo al centro della città a titolo di monito per tutti i cristiani.

 

La notizia della presa di Costantinopoli giunse in Occidente circa un mese dopo l'accaduto, seminando il panico.

 

 

I paesi dell'Europa centro settentrionale

 

Danimarca, Svezia e Norvegia, a partire dal 1397 fino al 1523 costituirono l'Unione di Kalmar, indebolita al proprio interno dalle rivalità tra svedesi e danesi.
Nel '400, poi, in Polonia, Boemia e Ungheria, dove fino ad allora era stata accettata la colonizzazione tedesca, si manifestarono reazioni antigermaniche, dettate dalla risorgente coscienza slava, dall'avversione contro l'invadenza economica della borghesia tedesca e da motivi religiosi.
In Polonia, i successori di Casimiro il Grande, gli Iagelloni, regnarono sopra un regno risultante dalla fusione della Polonia e della Lituania; il re Casimiro IV Iagellone (1444-1492) fu impegnato in una lotta contro i Cavalieri dell'Ordine teutonico, signori feudali della Prussia e della Pomerania orientale, conseguendo successi decisivi con la presa di Danzica nel 1466. Nello stato polacco si svilupparono anche gli studi, che ebbero il loro centro nell'Università di Cracovia, in cui furono ospitati umanisti italiani e tedeschi.
La corona di Boemia, attribuita per qualche tempo all'imperatore Sigismondo, nonostante la violentissima opposizione degli hussiti, passò poi a un principe di Casa d'Asburgo, la cui autorità fu nulla. Ebbe pertanto campo libero Giorgio Podiebrad, che finì per ottenere la corona (1458) come primo re nazionale. Agli occhi del popolo boemo la Chiesa cattolica e l'Impero erano due poteri collegati e la lotta contro l'uno significava anche l'indipendenza dall'altra.
Con Mattia Corvino, invece, l'Ungheria trovò un momento di crescita ai danni della Bosnia e della Boemia. Il Corvino attaccò anche l'Austria occupandone per un certo periodo tutta la parte orientale, compresa Vienna. Mattia Corvino, non riuscì, tuttavia, a fondare una dinastia e, alla sua morte (1490) la corona passò al sovrano di Boemia, Ladislao Iagellone.

 

 

 

L'impero germanico nel '400; la crescita del ducato d'Austria

 

 

L'Impero e gli Asburgo

 

Al centro dell'Europa il Sacro Romano Impero estendeva la propria giurisdizione su un vasto territorio, dalla Pomerania allo Holstein, dalla Lorena al Tirolo, da Trieste alla Boemia; in linea di diritto erano poi feudi dell'Impero anche i Paesi Bassi, la Franca Contea (Giura centrale) il Ducato di Savoia, il Ducato di Milano e il Ducato di Mantova.

 

impero

L'estensione giurisdizionale dell'Impero

 

Il Reich (Impero) era un complesso quanto mai eterogeneo, che includeva con signorie laiche ed ecclesiastiche, città libere e perfino un regno, quello di Boemia, e non aveva unità né amministrativa né politica; l'imperatore, scelto dalla Dieta dei principi elettori tedeschi (in numero di sette, come aveva stabilito la Bolla d'Oro del 1356), era privo sia dell'autorità morale, sia delle risorse finanziarie necessarie per imporsi alle pretese di indipendenza dei principi tedeschi. Già si delineava però nel mondo germanico un centro di forza: il Ducato d'Austria. Gli Asburgo, infatti, signori dell'Austria, della Stiria, della Carinzia, del Tirolo, di Gorizia, Trieste e Fiume si erano assicurati la corona imperiale con Alberto II (1438-1439) e con Federico III (1452-1493). I sovrani di Casa d'Asburgo si adoperarono per imporre una certa uniformità alla struttura dell'Impero, cercando di far prevalere gli istituti politici austriaci adatti alla centralizzazione dello Stato su quelli imperiali, in cui prevaleva il carattere feudale e federale.
Nel 1477 Federico III dovette far fronte alla duplice invasione dei Cechi e degli Ungheresi, mentre i Turchi si inoltravano fino ai confini della Stiria; tra il 1485 e il 1490 tutta la Bassa Austria (con Vienna) passò sotto il dominio di Mattia Corvino re d'Ungheria.
Maggior successo ebbe il sovrano asburgico con la sua politica matrimoniale: nel 1477 egli riuscì a far concludere il matrimonio tra il figlio Massimiliano e Maria di Borgogna,che portava in eredità le Fiandre e i Paesi Bassi, cui si aggiunsero (dopo il 1493) l'Artois e la Franca Contea.
Nel 1486 a Massimiliano d'Asburgo, eletto «Re dei Romani» alla Dieta di Francoforte, fu assicurata la successione al trono imperiale, consolidando la preminenza della Casa d'Asburgo nell'Europa centrale.

 

Antichi vassalli degli Asburgo, i montanari elvetici si erano liberati dal vincolo feudale collegandosi e sconfiggendo ripetutamente i loro signori, i duchi d'Austria. Dalla prima unione giurata dei tre cantoni di Schwyz, Uri e Unterwalden nel lontano 1291, dagli scontri vittoriosi con i cavalieri austriaci a Morgarten (1315), a Sempach (1386), a Naefels (1388), era sorta una confederazione di nove piccoli Stati pastorali e agricoli. Presi insieme essi costituivano, come del resto avevano già dimostrato, una ragguardevole potenza militare, mentre la loro posizione geografica li rendeva arbitri dei valichi del Sempione e sopra tutto del Gottardo.
All'inizio dell'età moderna la popolazione dei Cantoni svizzeri, assai densa in confronto alla limitata estensione del terreno abitabile e coltivabile, forniva le migliori fanterie mercenarie d'Europa. Il servizio militare era divenuto una risorsa nazionale che la Confederazione regolava quasi fosse una merce di esportazione. La formazione e la tattica di queste fanterie, che combattevano in schiere serrate di uomini armati di lunghe picche, vennero presto imitate in altri paesi, tra cui la Spagna di Ferdinando il Cattolico.
I Cantoni, alleati a Luigi XI, avevano inflitto a Carlo il Temerario, duca di Borgogna, ripetute e memorande sconfitte ed esercitavano una forte pressione sopra tutto in due settori: nella valle del Rodano (Vallese) verso le città di Sion e di Ginevra, soggette ai duchi di Savoia; e nell'alta valle del Ticino (Canton Ticino e Valle Leventina) che faceva parte dal 1426 del Ducato di Milano. Gli Svizzeri volgevano lo sguardo alla fertile pianura lombarda, attraverso cui passava l'arteria vitale che nutriva le popolazioni delle montagne elvetiche. Da ciò si evince l'importanza che nella prima parte del secolo XVI ebbero gli interventi armati delle milizie confederate svizzere nelle vicende italiane.