Lezioni



CLASSE   V   -   Verifiche di Filosofia

 

Immanuel Kant

 

 

1. Giudizi analitici e giudizi sintetici; il giudizio sintetico a priori.

 

Per Kant pensare significa “giudicare”. I giudizi analitici a priori («Tutti i corpi sono estesi») sono infecondi (nel predicato non c'è novità rispetto al soggetto), ma universali e necessari (valgono a prescindere dalla condizione empirica); i giudizi sintetici a posteriori («Tutti i corpi sono pesanti») sono fecondi, ma particolari e contingenti; i giudizi sintetici a priori («7+5=12») sono fecondi, universali e necessari. Nel primo caso, estensione e corporeità coincidono (tautologia; concezione razionalistica della scienza: ogni conoscenza deriva da principi a priori). Nel secondo, in assenza di gravità il giudizio sarebbe falso (concezione empiristica: ogni conoscenza deriva dall'esperienza). Nel terzo, “=12” non è per nulla in “7+5”: sono garantite novità, universalità e necessità; si ha un giudizio veramente scientifico.

 

 

 

2. L'appercezione trascendentale e il rapporto uomo-natura nell'Analitica trascendentale.

 

L'appercezione trascendentale è la chiave di volta della deduzione delle categorie, la funzione che offre la garanzia della validità di diritto della sussunzione categoriale (unificazione del sensibile); è l'autocoscienza che accompagna ogni giudizio in quanto “mio” da parte di ogni uomo. Il giudizio, infatti, presuppone un io penso, cioè un'autoconsapevolezza che assurge a categoria delle categorie. L'Io penso si configura come principio supremo della conoscenza umana, ciò cui deve sottostare ogni realtà per poter far parte dell'esperienza e, quindi, per diventare “oggetto” (di conoscenza); è garanzia di oggettività (universalità e necessità) della conoscenza fenomenica. Il soggetto, quindi, si manifesta come il supremo legislatore della natura, esito della “rivoluzione copernicana”. Qualora infatti noi consideriamo la natura come la conformità dei fenomeni a certe leggi, risulta evidente che tale ordine di conformità non deriva dall'esperienza, ma dall'io penso e dalle sue forme. Essendo il fondamento della natura, poi, lo stesso io è anche il fondamento della scienza che la studia.

 

 

 

3. Il rapporto tra libertà e legge morale.

 

La terza parte della Fondazione è impegnata a ricercare se un imperativo categorico sia possibile. Ora, la condizione di possibilità di un imperativo categorico è che la volontà sia libera; ma in quanto dotato di ragione, l'uomo appartiene al mondo noumenico, e perciò è sottratto al determinismo del fenomenico. Nella Critica tale dimostrazione è sottaciuta, perché suppone un'inammissibile intuizione di sé come noumeno; la libertà è quindi solo postulata (irrinunciabilmente richiesta) dal carattere formale della legge: una volontà che debba seguire la legge perché è legge non può essere determinata necessariamente da motivi o impulsi sensibili (posso salvare l'innocente perdendo la mia vita); il darsi del dovere implica il potervi ottemperare. Tra legge morale e libertà per Kant non c'è però circolo vizioso, infatti, pur essendo la libertà condizione d'essere della legge, la legge è condizione di notorietà della libertà e pertanto gode della posizione di primato.

 

 

 

Fichte. Gli scritti teologici giovanili di Hegel

 

1. Il significato della Sehnsucht.

 

Lo “stato d'animo”, l'atteggiamento psicologico, l'ethos o cifra spirituale dell'uomo romantico consiste in una condizione di interiore dissidio, in una lacerazione del sentimento che non si sente mai pago, che si trova in contrasto con la realtà e aspira ad un qualcosa di ulteriore, il quale peraltro gli sfugge di continuo. Inteso come fatto psicologico, il romantico non è il sentimento che si afferma al di sopra della ragione, o un sentimento di particolare immediatezza, intensità o violenza, e non è neppure il cosiddetto sentimentale, cioè un sentimento malinconico-contemplativo; è piuttosto un atto di sensibilità, il fatto puro e semplice, appunto, della sensibilità, quando essa si traduca in uno stato di eccessiva o addirittura permanente impressionabilità, irritabilità e reattività. Domina nella sensibilità romantica l'amore dell'irresolutezza e delle ambivalenze, l'inquietudine e l'irrequietezza che si compiacciono di sé e si esauriscono in sé. Il termine che è diventato più tipico e quasi tecnico per indicare questi stati d'animo è “Sehnsucht”, cioè “struggimento”. “Sehnsucht” (dai verbi sehnen = desiderare e suchen = cercare) è un desiderio che non può mai raggiungere la propria meta, perché non la conosce e non vuole o non può conoscerla, è un desiderare tutto e nulla ad un tempo, un cercare, una ricerca del desiderio, un desiderare il desiderare, un desiderio che è sentito come inestinguibile e che proprio per ciò trova in sé il proprio pieno appagamento.

 

 

 

3. La scoperta del principio assoluto nella Dottrina della scienza di J. G. Fichte.

 

Per dare fondamento alla “dottrina della scienza”, deve esistere una proposizione certa per se stessa che fondi la certezza del sistema. Tale proposizione, principio fondamentale della dottrina della scienza, deve essere non solo certa in sé, ma deve anche contenere in sé ogni possibile contenuto della dottrina della scienza. Nella filosofia aristotelica il principio incondizionato della scienza era quello di non-contraddizione; nella filosofia moderna wolffiana e kantiana tale principio era quello di identità, A=A, considerato ancor più originario. Per Fichte, a sua volta, questo principio è ulteriormente derivabile. In effetti, A=A è puramente formale e ci dice solo che se esiste A, allora A=A. Di necessario, in esso, c'è solo il legame logico “se... allora”, che non può essere posto se non dall'Io che lo pensa, il quale, pensando il legame di A con A, pone oltre al legame, anche A. Il principio supremo non è dunque l'identità logica A=A, posto e, quindi, non originario, ma l'Io stesso. L'Io, infatti, non è posto da altro, ma si auto-pone. Io=Io significa, dunque, non l'astratta e formale identità, ma l'identità dinamica di un principio autoponentesi.

 

 

 

3. La formulazione della dialettica attraverso lo studio della religione.

 

Hegel ha scoperto l'asse del sistema (la dialettica) approfondendo tematiche relative all'essenza delle religioni storiche. A partire da Kant, Hegel è dapprima interessato a una religione nazionale, fondata sul cuore e sulla fantasia, efficace nella vita di un popolo (come nell'antica Grecia). Poi, Vita di Gesù e Positività della religione cristiana portano a screditare il cristianesimo quale religione positiva, derivata dalla ristrettezza delle menti ebraiche di Gesù e dei discepoli. Con Lo Spirito del cristianesimo e il suo destino, infine, il superamento della positività appare nella conciliazione degli opposti (nella realtà, non nel dover essere) indicata nel concetto di amore, in cui affiora la concezione dialettica della storia.  La Grecia antica rappresenta l'unità non sviluppata (indifferenziata) che deve attraversare opposizioni prima di arrivare quell'unità riconquistata che è data qui nel cristianesimo come riconciliazione di legge e istinto. L'Antico Testamento è la legge, l'antitesi, l'opposizione necessaria per la sintesi del cristianesimo. L'amore è sintesi fra universale (legge morale) e particolare (inclinazione sensibile), vita, singolarità opposta alla legge (universale), ma solo per la forma: l'amore dà compimento alla legge vivendone il contenuto a prescindere dalla formalità del comando.

 

 

Hegel: la Fenomenologia; la struttura del sistema

 

 Simulazione III prova

 

 

 1. Fichte: spiegazione idealistica della libertà.

 

L'attività pratico-morale viene spiegata mediante l'applicazione dell'opposizione di Io e non-io e della loro reciproca limitazione. Il non-io, infatti, agisce in questo caso sull'Io come una sorta di “urto” o “sforzo”, che suscita un “contro-urto” o “contro-sforzo”. L'oggetto, nell'agire pratico, si presenta quindi all'uomo come un ostacolo da superare. Il non-io diventa, così, lo strumento mediante cui l'Io si realizza moralmente. Se così è, il non-io diventa momento necessario per la realizzazione della libertà dell'Io. Essere libero significa pertanto rendersi libero, e rendersi libero significa allontanare incessantemente i limiti opposti dal non-io all'io empirico. L'Io, dunque, pone il non-io per potersi realizzare come libertà. Tale libertà è destinata a rimanere strutturalmente a livello di compito illimitato (il dovere assoluto o imperativo categorico di cui parlava Kant). L'infinitudine dell'Io si manifesta quindi come un infinito porre un non-io per superarlo all'infinito. Il toglimento completo del non-io, come è evidente, può essere solo pensato come un concetto limite e per questo la libertà resta strutturalmente un compito infinito.

 

 

 

2. Hegel: il momento astratto e il momento dialettico.

 

L'intelletto è la facoltà che astrae concetti determinati e che si ferma alla determinatezza dei medesimi; distingue, separa e de-finisce, irrigidendosi in queste separazioni e de-finizioni. L'intelletto è la potenza che scioglie e distacca dal particolare ed eleva all'universale. Quindi la filosofia non può fare a meno dell'intelletto e della sua opera, e deve, anzi, incominciare proprio da tale momento astratto. Tuttavia, l'intelletto come tale fornisce una conoscenza inadeguata, che resta rinchiusa nel finito, nell'astratto irrigidito, e di conseguenza rimane vittima delle opposizioni che esso stesso crea. L'andare oltre i limiti dell'intelletto è peculiarità della “Ragione”, la quale ha un momento “negativo” e uno “positivo”. Il momento negativo, che è quelle che Hegel chiama “dialettico” in senso stretto, consiste nello smuovere la rigidità dell'intelletto e dei suoi prodotti. Il fluidificare i concetti dell'intelletto comporta il venire in luce di una serie di contraddizioni e di opposizioni di vario genere, che erano soffocate nell'irrigidimento dell'intelletto. Ogni determinazione dell'intelletto viene in tal modo a rovesciarsi nella determinazione contraria (e viceversa). Il negativo che emerge nel momento dialettico consiste, in generale, nella “manchevolezza” che ciascuno degli opposti rivela quando si “misura” con l'altro. Proprio tale “manchevolezza” si rivela come la molla che spinge, oltre l'opposizione, ad una superiore sintesi.

 

 

 

Da Schopenhauer a Comte

 

 1. Schopenhauer: la categoria della causalità.

 

Sulle sensazioni spazializzate e temporalizzate entra in azione l'intelletto ordinandole in un cosmo conoscitivo attraverso l'unica categoria della causalità. In tal modo, la sensazione soggettiva diventa un'intuizione obiettiva. Tramite la categoria di causalità gli oggetti determinati spazialmente e temporalmente vengono posti l'uno come determinante (o causa) e l'altro come determinato (o effetto), in modo tale che l'intera esistenza di tutti gli oggetti, in quanto oggetti (pure rappresentazioni) in tutto fa capo a quel necessario e scambievole rapporto. Ciò significa che l'azione causale dell'oggetto su altri oggetti è l'intera realtà dell'oggetto. Di conseguenza, la realtà della materia si esaurisce nella sua causalità, come testimonierebbe anche il termine tedesco Wirklichkeit, che sta per realtà, e che deriva dal verbo wirken, cioè agire. Quel che viene determinato attraverso il principio di causalità non è una semplice successione nel tempo, quanto piuttosto una successione nel tempo rispetto ad uno spazio determinato. Le diverse forme del principio di causalità, pertanto, determinano le categorie degli oggetti conoscibili: il principio di ragione sufficiente relativamente al divenire rappresenta la causalità tra gli oggetti naturali (necessità fisica); rispetto al conoscere regola i rapporti tra i giudizi per cui la verità delle premesse determina quella delle conclusioni (necessità logica); in rapporto all'essere regola le relazioni tra le parti del tempo e dello spazio e determina la concatenazione degli enti aritmetici e geometrici (necessità matematica); in merito all'agire regola i rapporti tra le azioni e i loro motivi (necessità morale).

 

 

 

2. Kierkegaard: la possibilità.

 

L'animale ha un'essenza, ed è quindi determinato, giacché l'essenza è il regno della necessità, di cui la scienza cerca le leggi. L'esistenza, invece, è il regno del divenire, del contingente e quindi della storia. L'esistenza, in breve, è il regno della libertà: l'uomo è ciò che sceglie di essere, è quello che diventa. Ciò significa che il modo di essere dell'esistenza non è la realtà o la necessità, bensì la possibilità, "la più pesante delle categorie". Nella possibilità tutto è egualmente possibile, e "chi fu realmente educato mediante la possibilità, ha compreso anche il suo lato terribile e sa ch'egli dalla vita non può pretendere assolutamente nulla e che il lato terribile, la perdizione, 1'annientamento, abita con ogni uomo a porta a porta". L'esistenza, è libertà, poter-essere, cioè possibilità: possibilità di non scegliere, di restare nella paralisi, di scegliere e di perdersi; possibilità come "minaccia del nulla". La realtà è che l'esistenza è possibilità e quindi angoscia. Il possibile, afferma Kierkegaard, corrisponde perfettamente al futuro. Il possibile è per la libertà il futuro, e il futuro, per il tempo, è il possibile. Per questo, angoscia e futuro sono congiunti.

 

 

 

3. Marx: l'alienazione del lavoro.

 

Marx passa dalla critica del cielo alla critica della terra. Qui, sulla terra, egli non trova un uomo che si faccia o si realizzi trasformando o umanizzando, insieme ad altri uomini, la natura nel senso dei bisogni, dei concetti o dei progetti. Ci sono solo uomini alienati, vale a dire espropriati del loro valore di uomini ad opera dell'espropriazione o alienazione del loro lavoro. L'uomo realizza nel lavoro il proprio scopo, che egli conosce e che determina come legge il modo del suo operare. Ciò significa che l'uomo può vivere umanamente, cioè farsi uomo, umanizzando la natura secondo i suoi bisogni e le sue idee, insieme agli altri uomini. Il lavoro sociale è antropogeno. Ciò che distingue l'uomo dagli altri animali è il fatto che egli può trasformare la natura, oggettivarsi in essa, può umanizzarla, può far di essa il suo corpo inorganico. Il lavoro reale, però, non viene svolto per il bisogno di appropriarsi, insieme con gli altri uomini, della natura esterna, per il bisogno di oggettivare la propria umanità, le proprie idee e i propri progetti nella materia prima; l'uomo lavora, invece, per la pura sussistenza. Ciò dipende dal fatto che la proprietà privata, fondata sulla divisione del lavoro, rende il lavoro costrittivo. All'operaio viene alienata la materia prima, vengono alienati gli strumenti di lavoro, gli viene strappato via il prodotto del lavoro; l'operaio, con la divisione del lavoro, viene mutilato nella sua creatività e umanità. L'alienazione dell'operaio nel suo prodotto significa che la vita che egli ha dato all'oggetto, gli si contrappone ostile ed estranea. Dall'alienazione del lavoro derivano tutte le altre forme di alienazione.

 

 

 

4. Comte: la fisica sociale.

 

La conoscenza è fatta di leggi provate sui fatti. Occorre perciò trovare le leggi della società se si vuole risolverne la crisi. È quindi possibile per la sociologia stabilire, attraverso il ragionamento e l'osservazione, le leggi dei fenomeni sociali, così come alla fisica è possibile stabilire le leggi che guidano i fenomeni fisici. Comte divide la sociologia, o fisica sociale, in statica sociale e in dinamica sociale. La statica sociale studia le condizioni di esistenza comuni a tutte le società in tutti i tempi. Tali condizioni sono la socievolezza fondamentale dell'uomo, il nucleo familiare, la divisione del lavoro. La legge fondamentale della statica sociale è la connessione tra i diversi aspetti della vita sociale, in modo che, per esempio, una costituzione politica non è indipendente da fattori come quello economico o quello culturale. La dinamica sociale consiste nello studio delle leggi di sviluppo della società. La sua legge fondamentale è quella dei tre stadi ed anche il progresso sociale segue tale legge. Allo stadio teologico corrisponde la supremazia del potere militare (è il caso del Feudalesimo); allo stadio metafisico corrisponde la rivoluzione (che comincia con la Riforma protestante e termina con la Rivoluzione francese); allo stadio positivo corrisponde la società industriale. La statica sociale indaga sulle condizioni dell'Ordine; la dinamica studia le leggi del Progresso. La fisica sociale è il presupposto necessario di una politica razionale.

 

 

Da Nietzsche a Freu

 

 

1. Marx: l'applicazione dialettica della tesi del materialismo storico.

 

Il Materialismo storico è la tesi marxiana secondo cui non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza. Tale teoria servì a Marx da "filo conduttore" nei suoi studi storici, che mostrarono come, con il cambiamento della base economica, si sconvolga più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura ideologica. Le idee dominanti di un'epoca sono l'ideologia, la visione capovolta della realtà storica, giustificazione dell'ordine sociale esistente. Marx assume la dialettica hegelianamente intesa come sintesi degli opposti, ma la capovolge; essa permette la comprensione del "necessario tramonto" di ogni stato di cose esistente, in quanto concepisce ogni forma divenuta nel finire del suo movimento e del suo lato trascorrente, perché nulla la può far cessare ed essa è critica e rivoluzionaria per essenza. Lo scontro tra lo stato di cose esistente e la negazione di esso è inevitabile, e tale scontro si risolve sempre con il superamento dello stato di cose esistente. Ogni momento storico, quindi, genera contraddizioni nel suo seno. La dialettica è la legge di sviluppo della realtà storica ed esprime l'inevitabilità del passaggio da epoca ad epoca. Nel travaglio della storia umana Marx vede sempre oppressori ed oppressi. Nell'epoca della borghesia moderna, l'intera società si va scindendo sempre di più in due grandi campi nemici, in due grandi classi direttamente contrapposte l'una all'altra: borghesia e proletariato.

 

 

2. Nietzsche: l'avvento del super-uomo.

 

A fronte dello stato psichico del nichilismo, constatata la necessità dell'eterno ritorno e abbracciata la via della riconciliazione con il destino tragico della vita e del mondo, l'uomo risulta inaccettabile. L'uomo scopre che l'essenza del mondo è volontà, riconosce nella propria volontà di accettazione del mondo la stessa volontà che accetta se stessa e segue volontariamente la via che gli altri uomini hanno seguito ciecamente, approvandola e non rifuggendola come fanno i malati e i decrepiti. L'uomo nuovo deve creare un senso nuovo della terra, infrangere gli antichi ceppi. L'uomo deve inventare l'uomo nuovo, cioè il super-uomo, l'uomo che va oltre l'uomo e che è l'uomo che ama la terra e i cui valori sono la salute, la volontà forte, l'amore, l'ebbrezza dionisiaca e un nuovo orgoglio. Non lontano è il momento del trapasso dal vecchio uomo abbrutito dai suoi disvalori e con la testa nella sabbia delle cose celesti, all'uomo che crea il senso della terra, cioè nuovi valori tutti terrestri. Il superuomo "ama la vita" e "crea il senso della terra" e a questo è fedele. Qui sta la sua volontà di potenza.

 

3. Weber: il disincantamento del mondo e il significato della scienza.

 

Si tratta del problema del significato di una attività, quella scientifica, che non giunge e non può mai giungere al termine. L'intellettualizzazione progressiva, in corso da secoli nella società occidentale, significa dominio della ragione, cioè "disincantamento" del mondo dal senso del sacro. Tale atteggiamento, tuttavia, non è in grado di rispondere all'interrogativo sulla motivazione di fondo dell'inclinazione all'intellettualizzazione stessa, cioè della "scienza come vocazione". La scienza, infatti, oltre a presupporre la validità delle regole della logica e del metodo, deve anche presupporre che il risultato del lavoro scientifico sia importante nel senso che sia degno di essere conosciuto. La scienza, in sostanza, presuppone la scelta della ragione scientifica. E questa scelta non può venir giustificata scientificamente. Che la verità scientifica sia un bene non è un asserto scientifico. Il maestro non è un capo e l'etica non è scienza; in ogni teologia "positiva" il credente giunge alla massima: «Credo non quod, sed quia absurdum». È il "sacrificio dell'intelletto", che conduce il discepolo al profeta e il credente alla chiesa.

 

4. Freud: la struttura psichica.

 

L'apparato psichico è composto da Es (o Id), Ego e Super-Ego. L'Es (neutro) è l'insieme degli impulsi inconsci della Libido; è la sorgente dell'energia biologico-sessuale; è l'inconscio amorale ed egoistico. Ego è "la facciata" dell'Es; è il rappresentante conscio di Es; la punta consapevole di quell'iceberg che è appunto Es. Super-Ego si forma verso il quinto anno di età e differenzia (per grado e non per natura) l'uomo dall'animale; è la sede della coscienza morale e del senso di colpa. Nasce come interiorizzazione dell'autorità familiare e si sviluppa successivamente come interiorizzazione di altre autorità, di ideali, di valori, comportamenti proposti dalla società attraverso educatori, insegnanti e modelli ideali. Il Super-Ego "paterno" diventa un Super-Ego "sociale". Ego commercia tra Es e Super-Ego, tra pulsioni aggressive ed egoistiche che tendono alla soddisfazione irrefrenabile e totale, e proibizioni provenienti dalla morale e dalla "civiltà". L'individuo è spinto originariamente da un'energia biologico-sessuale regolata da due principi: piacere e realtà. Per il principio del piacere, la libido tende a trovare un soddisfacimento immediato e totale; essa, però, trova nel principio di realtà il censore che costringe le pulsioni egoistiche, aggressive e autodistruttive a incanalarsi per altre vie, le vie della produzione artistica, della scienza, le vie della civiltà.