Lezioni



CLASSE   IV   -   Verifiche di Filosofia   -   Neoplatonismo e patristica

 

1.

 

Virtù e felicità nello Stoicismo.

 

Il fondamento dell'etica stoica è il Lógos, che si esprime nel principio di conservazione. Lo scopo del vivere umano, allora, come il modo migliore della conservazione di sé, è la felicità. Istinto e ragione sono i principi motori di tutto ciò che è fatto in funzione della felicità. Vivere secondo natura significa allora vivere realizzando pienamente l'appropriazione o conciliazione del proprio essere con ciò che attua la propria conservazione; in particolare l'uomo deve conciliarsi con il suo essere razionale, partecipe del Lógos universale. La virtù, in quanto perfezione di ciò che è peculiare e caratteristico dell'essere umano, è la perfezione della ragione, pertanto, il vivere secondo natura coincide con il vivere secondo ragione e quindi con il vivere secondo virtù. Siccome, infine, la virtù è l'attuazione perfetta della natura umana, essa coincide con la felicità. La concezione stoica della virtù ribadisce le conclusioni dell'intellettualismo socratico: peculiare dell'uomo è la ragione e pertanto è evidente che la virtù deve essere scienza e conoscenza, in particolare scienza del bene e del male, cioè saggezza. Chi possiede saggezza possiede, quindi, tutte le virtù; inoltre, siccome il lógos è unico, la virtù dell'uomo è anche la virtù di Dio. Dato l'orizzonte necessitaristico dello stoicismo, il criterio della vita morale è il dovere. Le azioni buone, infatti, sono necessarie, quindi l'uomo buono, che agisce secondo necessità, agisce perché deve, e il dovere della sua azione si giustifica da sé in forza del suo essere l'interpretazione stessa della necessità. L'azione secondo il dovere elimina ogni scopo edonistico o egoistico, tanto da far sì che il saggio sia del tutto apatico, cioè insensibile a tutte le inclinazioni e le passioni della vita.

 

2.

 

L'uomo, cardine del ritorno all'Uno.

 

In alternativa al Cristianesimo, che propone il mistero della redenzione operata dal Cristo, il Neoplatonismo propone il teorema dell'epistrophé, cioè del ritorno all'Uno operato attraverso l'uomo. L'uomo non nasce al momento in cui sorge il mondo corporeo, ma preesiste ad esso, sia pure in una condizione diversa, cioè allo stato di pura anima (in accordo con le tesi platoniche) associata all'Anima universale e pertanto capace di conoscere intuitivamente e simultaneamente la totalità delle cose dello Spirito e, attraverso di esso, il Bene in sé. Il male dell'anima, quella "voglia di appartenersi" che le fa dimenticare di necessità la propria origine nell'Uno e la fa disperdere nel molteplice sulla soglia del non essere, non può tuttavia cancellare per intero, neanche nell'uomo, la memoria della condizione originaria. Laddove, infatti, nell'al di là, l'anima tende a lasciare cadere i ricordi legati al corporeo e al temporale, nell'al di qua l'anamnesi delle cose superne non può mai interamente oscurarsi. Attraverso l'attività più alta, in cui consiste la libertà, dunque, l'anima pone la propria forza operante sulla scia dello Spirito e nell'agire di conseguenza, secondo quei modi che la portano di nuovo a unirsi allo Spirito e all'Uno-Bene stesso. Nella libertà dell'uomo, pertanto, è operante sempre e solo la libertà dell'anima che vuole e cerca di raggiungere il Bene; ciò accade nella misura della sua capacità di distacco dal corporeo e dal materiale. Il percorso da compiere verso la felicità passa attraverso le virtù civili (giustizia, saggezza, temperanza e fortezza), semplice condizione di possibilità per l'assimilazione a Dio, e in seconda istanza attraverso l'erotica (arte e amore) e la dialettica (filosofia). In quest'ultimo ambito, che consiste essenzialmente nella contemplazione e nella fruizione della bellezza, superando la dimensione sensibile del bello, l'anima progredisce lungo i suoi gradi incorporei fino a diventare essa stessa perfettamente bella, identifica al Bello assoluto (lo Spirito) e al principio stesso del Bello (il Bene o l'Uno).

 

3.

 

Agostino: il problema del male.

 

«Se Dio esiste, d'onde viene il male?». Per tentare una soluzione, Agostino aveva aderito in gioventù al Manicheismo, che faceva derivare tutta la realtà dall'esito della lotta tra due principi supremi, quello del bene e quello del male, la luce, da cui deriva la bontà dello spirito, e le tenebre, da cui trae origine il male che contrassegna la materia. Scoprendo l'illusorietà della soluzione manichea, Agostino comprende che la materia in sé non è male e che il principio del male non può esistere, perché, per essere un vero e proprio male dovrebbe esserlo “molto bene”, il che è contraddittorio. Gli risulta, pertanto, che il male non può che essere privazione del bene. Il male, infatti, non può essere una sostanza, perché, se lo fosse, sarebbe un bene: paradossalmente, il male come tale non esiste né può esistere. Esso, allora, viene ricondotto da Agostino alla volontà dell'uomo, che può darsi, negativamente, come volontà del non-essere di ciò che è. La perversione della volontà che si volge (neoplatonicamente) dalla parte opposta della sostanza somma verso le realtà inferiori, costituisce dunque la radice del male, che, in sé, non consiste. Se di male si vuole parlare, allora, a proposito dei cosiddetti mali di natura, bisogna distinguere, da una parte, il male che deriva dalla necessaria differenziazione delle realtà create del cosmo, da intendersi come inferiorità di certe cose rispetto alla superiorità di certe altre, un male, cioè, che risulta funzionale alla completezza del mondo in tutte le sue varietà, dall'altra, il male funzionale all'armonia (lato estetico) del creato, come l'ombra rispetto alla luce o la dissonanza rispetto all'accordo. I mali fisici, poi, che affliggono l'uomo, discendono dal peccato dell'uomo che ha corrotto l'originaria perfezione della natura umana, soggiogandola alla morte, mentre il male morale fa capo al peccato in quanto tale, cioè consiste nella volontà del non essere di ciò che è, nella volontà della sua distruzione.

 

4.

 

Boezio: prescienza, libertà e sommo bene.

 

Nella Consolazione della filosofia si pone drammaticamente la questione di come sia possibile all'uomo essere veramente libero nelle sue scelte se Dio conosce tutto sin dall'eternità. La risposta formulata da Boezio diventerà classica presso tutti i maestri medievali: l'uomo vive nella dimensione temporale, in cui tutto si succede liberamente, Dio abita l'eternità (definita come completo e perfetto possesso di una vita senza termini), dalla quale vede e conosce l'intero svolgimento temporale delle vite umane senza che il suo sguardo, istantaneamente presente a tutto il loro percorso d'insieme, intervenga in esse condizionalmente. Un altra questione di capitale importanza, vista la condizione di condannato dell'autore, affrontata nella Consolazione, è se un bene sommo esista in realtà, che cioè non si tratti di un'astratta proiezione del pensiero. Per Boezio il mondo dell'esperienza sensibile rivela soltanto dei beni imperfetti, incapaci di offrire definitive soddisfazioni del desiderio di bene; la stessa felicità conseguita mediante beni soggetti alla corruttibilità risulta felicità insoddisfacente. Facendo leva sulla nozione di imperfetto, quindi, si giunge a quella di perfetto; tutto ciò che viene detto imperfetto, infatti, è evidentemente tale per diminuzione del perfetto. Ne consegue che, se in un qualsiasi genere di cose sembri esservi alcunché di imperfetto, debba ivi trovarsi necessariamente anche un qualche cosa di perfetto, e in effetti, tolta la perfezione, non può neanche immaginarsi da dove sia emerso quel che è imperfetto. Porre i beni imperfetti senza la contemporanea ammissione del bene perfetto, comporta la contraddizione insita nella posizione di chi riconduce l'essere al nulla; è infatti chiaramente contraddittorio che l'essere provenga dal nulla, ma lo è altrettanto che il perfetto derivi dall'imperfetto. La possibilità del bene perfetto ne implica, dunque, anche l'esistenza reale: se il bene perfetto è possibile (e tale è perché altrimenti il bene imperfetto, che è reale, sarebbe impossibile), esso deve esistere nella realtà.