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CLASSE   V   -   Sintesi di Filosofia (5)

Il Positivismo. Nietzsche: la nascita della tragedia

 

 

IL POSITIVISMO

 

Lineamenti generali

 

“Positivismo” significa l'atteggiamento del pensiero che considera esclusivamente il dato positivo, cioè il referto della realtà riconoscibile come “posto”, “posizionato”, “convenzionato”, “immesso”, “imposto” da un'attività scientifica (e legislatrice) della ragione dell'uomo.
Il Positivismo, pertanto, privilegia lo studio della realtà dei fatti, concreta, sperimentabile, riconducibile a una sperimentazione scientifica, e dichiara nel contempo insignificante e priva di valore ogni conoscenza astratta e metafisica.
Si basa sull'esigenza di attenersi ai fatti e sull'esaltazione della scienza, l'unico sapere in grado di comprenderli, misurarli e controllarli.
Per il Positivismo la realtà sottostà a leggi precise, che le danno omogeneità e regolarità, permettono delle previsioni attendibili e vengono studiate dalle singole discipline scientifiche.
La scienza empirica è ritenuta l'unico metodo di conoscenza valido.
Il Positivismo è in generale un atteggiamento di pensiero riduzionista, cioè determinato a “ridurre” la realtà tutta ad un solo principio esplicativo, nella fattispecie la materia empiricamente indagabile.
Il Positivismo rappresenta un composito movimento di pensiero che ha dominato gran parte della cultura europea, nelle sue manifestazioni filosofiche, politiche, pedagogiche, storiografiche e letterarie (pensiamo, a proposito di queste ultime, al verismo e al naturalismo), da circa il 1840 fino ad arrivare quasi alle soglie della prima guerra mondiale.
Passato il 1848, se si eccettuano lo scontro in Crimea del 1854 e la guerra franco-prussiana del 1870, l'era del Positivismo è un'epoca di sostanziale pace in Europa e simultaneamente è l'epoca dell'espansione coloniale europea in Africa e Asia.
All'interno di questo quadro politico, l'Europa dà fondo alla sua trasformazione industriale, e gli effetti di tale rivoluzione sulla vita sociale sono massicci:
 - l'impiego delle scoperte scientifiche trasforma l'intero modo di produrre;
 - le grandi città si moltiplicano;
 - cresce in modo impressionante la rete dei traffici;
 - si rompe l'antico equilibrio tra città e campagna;
 - aumentano produzione e ricchezza;
 - la medicina debella le malattie infettive, antico e angoscioso flagello dell'umanità.
La Rivoluzione industriale, dunque, muta dalle radici il modo di vivere.
Gli entusiasmi si coagulano attorno all'idea di un progresso umano e sociale irrefrenabile, giacché d'ora in avanti si sarebbero posseduti gli strumenti risolutivi di ogni problema. Questi strumenti venivano visti soprattutto nella scienza e nelle sue applicazioni all'industria, e poi nel libero scambio e nell'educazione.

 

Di fatto, la scienza, nel periodo che va dal 1830 al 1890, intrecciandosi spesso con gli sviluppi dell'industria, registra molti significativi passi in avanti nei suoi più importanti settori:
 - in matematica i contributi rispettivamente di Cauchy, di Weierstrass, di Dedekind e di Cantor;
 - in geometria quelli di Riemann, Bolyai, Lobačewskij e Klein;
 - la fisica vanta i risultati delle ricerche sull'elettricità di Faraday e sull'elettromagnetismo di Maxwell e di Hertz, i fondamentali lavori di Mayer, Helmholtz, Joule, Clausius e Thompson sulla termodinamica;
 - Berzelius, Mendelejev, von Liebig accrescono il sapere chimico;
 - Koch e Pasteur e i loro discepoli sviluppano, ottenendo successi strepitosi, la microbiologia;
 - Bernard costruisce la fisiologia e la medicina sperimentale.
È poi l'epoca della teoria evolutiva di Darwin, mentre le progettazioni tecnologiche trovano il loro simbolo nella torre Eiffel di Parigi e nell'apertura del canale di Suez.

 

Una sostanziale stabilità politica, il processo di industrializzazione e gli sviluppi della scienza e della tecnologia costituiscono i pilastri dell'ambiente socioculturale che il Positivismo interpreta, esalta e favorisce.
Certo, i grossi mali della società industriale non avrebbero tardato a farsi sentire (squilibri sociali, lotte per la conquista dei mercati, la condizione di miseria del proletariato, sfruttamento del lavoro minorile, ecc.), ma i Positivisti, diversamente dai Marxisti, pur non ignorandoli affatto, avrebbero pensato che essi sarebbero presto scomparsi in quanto fenomeni transitori eliminabili dalla crescita del sapere, dell'istruzione popolare e della ricchezza.

 

I rappresentanti maggiormente significativi del Positivismo sono:
 - Auguste Comte (1798-1857) in Francia;
 - John Stuart Mill (1806-1873) ed Herbert Spencer (1820-1903) in Inghilterra;
 - Jakob Moleschott (1822-1893) ed Ernst Haeckel (18341919) in Germania;
 - Roberto Ardigò (1828-1920) in Italia.

 

In Francia il Positivismo si inserisce all'interno del razionalismo che va da Cartesio all'Illuminismo; in Inghilterra si sviluppa, innestandosi sulla tradizione empiristica ed utilitaristica, e si intreccia, in seguito, con la teoria darwiniana dell'evoluzione; in Germania assume la forma di un rigido scientismo e di un monismo materialistico; in Italia affonda, con Ardigò, le radici nel naturalismo rinascimentale, anche se dà i suoi frutti maggiori, data la situazione sociale della nazione allora unificata, in pedagogia, e inoltre in antropologia criminale.

 

In ogni caso, nonostante tali diversificazioni, esistono nel Positivismo dei tratti di fondo comuni che ne permettono l'identificazione come movimento di pensiero:
1) Diversamente che nell'Idealismo, nel Positivismo si rivendica il primato della scienza: noi conosciamo solo quello che ci fanno conoscere le scienze, e l'unico "metodo di conoscenza è quello delle scienze naturali.
2) Il metodo delle scienze naturali (reperimento delle leggi causali e loro controllo sui fatti) non vale solo per lo studio della natura ma anche per lo studio della società.
3) Per questo, la sociologia, intesa come scienza di quei "fatti naturali" che sono i rapporti umani e sociali, è un frutto qualificante del programma filosofico positivistico.
4) Nel Positivismo non si ha soltanto l'affermazione dell'unità del metodo scientifico e del primato di questo metodo come strumento conoscitivo, ma la scienza viene esaltata come l'unico mezzo in grado di risolvere, nel corso del tempo, tutti i problemi umani e sociali che fino ad allora avevano tormentato l'umanità.
5) Di conseguenza, l'era del Positivismo è un'era pervasa da un ottimismo generale, che scaturisce dalla certezza in un progresso inarrestabile (talvolta concepito come frutto dell'ingegnosità e del lavoro umano, e talvolta invece visto come necessario e automatico) verso condizioni di benessere generalizzato in una società pacifica e pervasa da umana solidarietà (paradossalmente l'esito storico del Positivismo fu la Grande Guerra).

 

Il fatto che la scienza venga proposta dai Positivisti come l'unico solido fondamento della vita dei singoli e di quella associata, che essa sia considerata come garanzia assoluta delle sorti progressive dell'umanità, che il Positivismo si pronunci per la "divinità" del fatto, tutto questo ha indotto alcuni studiosi ad interpretare il Positivismo come parte integrante della mentalità romantica, tendente a una infinitizzazione della scienza contenente una costruzione di filosofia della storia onnicomprensiva che si consuma in una visione messianica.
Tale interpretazione non ha però proibito ad altri interpreti di scorgere nel Positivismo temi fondamentali mutuati (al contrario) dalla tradizione illuministica, come la tendenza a considerare i fatti empitici quale unica base della vera conoscenza, la fede nella razionalità scientifica come risolutrice dei problemi dell'umanità, o anche la concezione laica della cultura intesa quale costruzione puramente umana senza dipendenze da presupposti e teorie teologiche.
Sempre in linea generale, poi, il Positivismo (fatte le debite eccezioni) è caratterizzato da una fiducia acritica e spesso sbrigativa e superficiale nella stabilità e nella crescita senza ostacoli della scienza, tale da divenire un fenomeno di costume.

 

La "positività" della scienza conduce la mentalità positivistica a combattere le concezioni idealistiche e spiritualistiche della realtà, concezioni che i Positivisti bollavano come metafisiche.

 

 

 

AUGUSTE COMTE

 

 

Nato a Montpellier da una famiglia modesta, «eminentemente cattolica e monarchica», fu discepolo e segretario (e in seguito deciso antagonista) di Saint-Simon, allievo della famosa École Polytechnique; versato in matematica, lettore, negli anni della sua formazione, oltre che degli empiristi inglesi, di Diderot, D'Alembert, Turgot e Condorcet, Auguste Comte (1798-1857), è l'iniziatore del Positivismo francese, il padre ufficiale della sociologia, e l'esponente, per certi, aspetti, più rappresentativo dell'indirizzo di pensiero positivistico.

 

La legge dei tre stadi

 

Avevo già compiuto i quattordici anni che già provavo il bisogno fondamentale di una rigenerazione universale, a un tempo politica e filosofica, sotto l'attivo impulso della salutare crisi rivoluzionaria la cui fase principale aveva preceduto la mia nascita. La luminosa influenza di una iniziazione matematica avuta in famiglia, felicemente sviluppata all'École Polytechnique, mi fece istintivamente presentire la sola via intellettuale, che poteva realmente condurre a questo grande rinnovamento.

 

Questo scrive Comte del suo itinerario intellettuale e morale. Poi aggiunge che fu nel 1822 che egli ebbe chiaro il suo progetto filosofico sotto la costante ispirazione della grande legge relativa all'insieme dell'evoluzione umana, individuale e collettiva, la legge dei tre stadi.
L'intera dottrina di Comte, di fatto, e specialmente la sua dottrina scientifica, sembrano comprensibili solo come parte dei suoi progetti di riforma universale, che comprendono non solo la scienza, ma anche tutti i settori della vita umana.

 

La legge dei tre stadi è il principio secondo il quale sia l'umanità sia la psiche dei singoli uomini, si sviluppano secondo tre gradi:
 - teologico,
 - metafisico,
 - positivo.

 

Studiando lo sviluppo dell'intelligenza umana [...] dal suo primo manifestarsi ad oggi, io credo — dice Comte nel Corso di filosofia positiva (1830-1842) — di aver scoperto una grande legge fondamentale, alla quale essa è assoggettata per necessità invariabile, e che mi sembra si possa solidamente stabilire, sia per le prove razionali fornite dalla conoscenza di noi stessi, sia per la verifica storica che se ne può trarre con un esame attento del passato. Questa legge consiste in ciò: che ciascuna delle nostre concezioni principali, ciascun ramo delle nostre conoscenze passa necessariamente per tre stati teorici differenti: lo stato teologico, o fittizio; lo stato metafisico, o astratto; lo stato scientifico, o positivo [...]. Di qui tre tipi di filosofia, o di sistemi concettuali generali, sull'insieme dei fenomeni, che si escludono reciprocamente. Il primo è un punto di partenza necessario dell'intelligenza umana; il terzo è il suo stato fisso e definitivo; il secondo è unicamente destinato a servire come tappa di transizione.

 

Nello stadio teologico i fenomeni vengono visti come prodotti dell'azione diretta e continua di agenti soprannaturali, più o meno numerosi; nello stadio metafisico essi vengono spiegati ad opera di essenze, idee o forze astratte (i corpi si unirebbero grazie alla "simpatia"; le piante crescerebbero a motivo della presenza dell'anima vegetativa; l'oppio addormenta perché possiede la "virtù" soporifera); soltanto nello stadio positivo lo spirito umano, riconoscendo l'impossibilità di ottenere conoscenze assolute, rinuncia a domandarsi qual sia l'origine e il destino dell'universo, quali siano le cause intime dei fenomeni, per cercare soltanto di scoprire, con l'uso ben combinato del ragionamento e dell'osservazione, le loro leggi effettive, cioè le loro relazioni invariabili di successione e di somiglianza.

 

La legge dei tre stadi è il concetto-chiave della filosofia di Comte. Tale legge troverebbe conferma sia nello sviluppo della vita dei singoli (ogni uomo è teologo nella sua infanzia; è metafisico nella sua giovinezza; è fisico nella sua virilità), sia nella storia degli uomini, istituendo una grandiosa filosofia della storia, la quale si presenta come lo stenogramma dell'intera evoluzione dell'umanità.

 

La dottrina della scienza

 

Il presente, per Comte, coincide con lo stadio positivo.
I metodi teologici e metafisici non sono più impiegati da nessuno, eccetto che — osserva amaramente Comte nel Corso di filosofia positiva — nel campo dei fenomeni sociali, grande ed unica lacuna che si tratta di colmare per costituire la filosofia positiva.
La filosofia positiva deve quindi sottoporre la società ad una rigorosa indagine scientifica, perché unicamente una sociologia scientifica potrà

 

essere considerata la sola base solida per la riorganizzazione sociale, che deve chiudere lo stato di crisi nel quale si trovano da lungo tempo le nazioni più civili.

 

Non si possono risolvere crisi sociali e politiche senza la debita conoscenza dei fatti sociali e politici. Proprio per tale ragione Comte vede come a compito estremamente urgente quello dello sviluppo di una fisica sociale, vale a dire della sociologia scientifica.
Per Comte lo scopo della scienza consiste nella ricerca delle leggi, poiché

 

solo la conoscenza delle leggi dei fenomeni, il cui risultato costante è di farceli prevedere, può evidentemente condurci nella vita attiva a modificarli a nostro vantaggio.

 

La legge è necessaria per prevedere e la previsione è necessaria per l'azione dell'uomo sulla natura. Insomma, scienza, donde previsione; previsione, donde azione: tale è la formula semplicissima che esprime in modo esatto la relazione generale fra la scienza e l'arte, il sapere e l'azione.
Sulla scia di Bacone e di Cartesio, Comte pensa che sarà la scienza a fornire all'uomo il dominio sulla natura. Tuttavia, egli non è affatto dell'opinione che la scienza sia essenzialmente e per sua natura rivolta ai problemi pratici e si esprime molto chiaramente sulla natura teorica delle conoscenze scientifiche, premurandosi di distinguerle nettamente dalle conoscenze tecnico-pratiche.
D'altronde, Comte non è neppure un empirista di vecchio stampo che bada solo ai dati di fatto ed esclude le teorie. La pura erudizione consiste di fatti senza leggi; la vera scienza consiste, invece, di leggi controllate sui fatti. Proprio tale controllo sui fatti esclude dalla scienza ogni ricerca di essenze e cause ultime metafisiche.

 

Queste idee di Comte sulla dottrina della scienza hanno inciso sul pensiero successivo a motivo della loro chiarezza e validità. In ogni caso, però, già in alcuni punti del Corso di filosofia positiva e poi soprattutto nel Sistema di politica positiva (1851-1854), Comte irrigidisce, fino quasi ad assolutizzarla, la sua immagine della scienza: condanna ricerche specializzate, anche sperimentali, l'uso eccessivo del calcolo, e condanna qualsiasi ricerca scientifica la cui utilità non è evidente. Per questo, a suo avviso, bisogna affidare la scienza non agli scienziati, ma ai «veri filosofi», a quanti cioè sono «degnamente votati al sacerdozio dell'Umanità».

 

La sociologia come fisica sociale

 

Per passare da una società in crisi all'ordine sociale c'è bisogno di sapere.
La conoscenza è fatta di leggi provate sui fatti. Occorre perciò trovare le leggi della società se si vuole risolverne la crisi.

 

Abbandonata anche nella filosofia la ragione delle idealità metafisiche per il campo delle realtà osservate, per mezzo di una subordinazione sistematica, diretta e continua, dell'immaginazione all'osservazione, necessariamente le concezioni politiche cessano di essere assolute per divenire relative allo stato della civiltà umana, di modo che le teorie, potendo seguire il corso naturale dei fatti, permettono di prevederli [...]. È nella prevedibilità razionale dello sviluppo futuro della convivenza sociale che si può riassumere lo spirito fondamentale della politica positiva.

 

È quindi possibile per la sociologia stabilire, attraverso il ragionamento e l'osservazione, le leggi dei fenomeni sociali, così come alla fisica è possibile stabilire le leggi che guidano i fenomeni fisici. Comte divide la sociologia, o fisica sociale, in statica sociale e in dinamica sociale.
La statica sociale studia le condizioni di esistenza comuni a tutte le società in tutti i tempi. Tali condizioni sono la socievolezza fondamentale dell'uomo, il nucleo familiare, la divisione del lavoro. La legge fondamentale della statica sociale è la connessione tra i diversi aspetti della vita sociale, in modo che, per esempio, una costituzione politica non è indipendente da fattori come quello economico o quello culturale.
La dinamica sociale consiste nello studio delle leggi di sviluppo della società. La sua legge fondamentale è quella dei tre stadi ed anche il progresso sociale segue tale legge. Allo stadio teologico corrisponde la supremazia del potere militare (è il caso del Feudalesimo); allo stadio metafisico corrisponde la rivoluzione (che comincia con la Riforma protestante e termina con la Rivoluzione francese); allo stadio positivo corrisponde la società industriale.
La statica sociale indaga sulle condizioni dell'Ordine; la dinamica studia le leggi del Progresso.
Il progresso umano, nel suo insieme, si è attuato sempre seguendo tappe obbligate perché naturalmente necessarie; la storia dell'umanità è il dispiegamento della natura umana.
Lo sviluppo dell'umanità va dallo stadio teologico a quello positivo, e tuttavia Comte non svaluta il passato e la tradizione in nome dell'esaltazione dell'avvenire. È il passato che è gravido del futuro e l'umanità è composta più di morti che di vivi; i morti governano sempre più i vivi.
La fisica sociale è il presupposto necessario di una politica razionale. La cosa disastrosa è che la politica è in mano agli avvocati e ai letterati che non sanno nulla del modo di funzionare della società. I fenomeni sociali, al pari di quelli naturali, possono essere modificati solo a patto che ne conosciamo le leggi. La natura, ripete Comte con Bacone, non può essere vinta se non obbedendole, seguendone i dettami.

 

Le vie per il raggiungimento della conoscenza sociologica sono:
 - l'osservazione diretta e inquadrata nella teoria; cioè nella teoria dei tre stadi.
 - l'esperimento, che in sociologia non è così semplice come in fisica o in chimica, per il fatto che non si possono mutare a piacere le società, tuttavia, come in biologia così in sociologia, i casi patologici, alterando il normale nesso degli eventi, sostituiscono in certo qual modo l'esperimento.
 - il metodo comparativo, che studia le analogie e le differenze tra diverse società nei loro rispettivi stadi di sviluppo.
Il metodo storico, conclude Comte, costituisce

 

la sola base fondamentale sulla quale possa realmente fondarsi il sistema della logica politica.

 

La classificazione delle scienze

 

La sociologia, la cui costruzione è compito urgente della filosofia politica, si pone al vertice dell'ordinamento delle scienze. A partire dalla loro piattaforma matematica, le scienze positive sono gerarchizzate secondo un grado decrescente di generalità, e crescente di complicazione: astronomia, fisica, chimica, biologia, sociologia.
In tale schema non sono comprese la teologia, la metafisica e la morale. Le prime due, infatti, non sono scienze positive; la terza viene risolta nella sociologia.
La psicologia, anch'essa esclusa dall'elenco, viene ridotta da Comte in parte alla biologia e in parte alla sociologia.
Anche la matematica non figura nell'elenco, ma il primo volume del Corso di filosofia positiva è tutto dedicato alla matematica, vera base fondamentale di tutta la filosofia naturale a partire da Cartesio e da Newton, cioè di tutte le scienze, nel senso che essa è estensione della logica naturale entro un certo ordine di deduzioni.
Comte pretende che l'ordine delle scienze da lui proposto sia simultaneamente:
 - logico, dato dal criterio della semplicità dell'oggetto: prima vengono le scienze che, a suo avviso, hanno un oggetto più semplice; e poi si giunge via via fino alla sociologia, che avrebbe l'oggetto più complicato;
 - storico, individuabile nel passaggio delle singole scienze allo stato positivo: l'astronomia uscì dalla metafisica con Copernico, Keplero e Galileo e raggiunse lo stato positivo grazie alle opere di Huygens, Pascal, Papin e Newton; la chimica esce dal suo limbo metafisico con Lavoisier; la biologia con Bichat e Blainville. Rimane la sociologia che, come scienza positiva, è ancora allo stato programmatico;
 - pedagogico, dato dal fatto che si dovrebbero insegnare le scienze nello stesso ordine della loro genesi storica.
Nella gerarchia individuata da Comte le scienze più complesse presuppongono quelle meno complesse: la sociologia presuppone la biologia la quale presuppone la chimica che, a sua volta, presuppone la fisica. Ciò non significa, tuttavia, che le scienze superiori siano riducibili a quelle inferiori. Ognuna di esse ha la sua autonomia, le sue leggi autonome; la sociologia, pertanto, non può ridursi né alla biologia né alla psicologia; la società, infatti, ha una realtà naturale e originaria, gli uomini vivono in società perché questo fa parte della loro natura sociale, sono sociali sin dall'inizio e non c'è bisogno di nessun "contratto sociale" per associarli.

 

Nella classificazione delle scienze di Comte non è nominata la filosofia. Per Comte, infatti, la filosofia non è l'insieme di tutte le scienze. Egli vede il compito della filosofia nel determinare esattamente lo spirito di ciascuna di esse, nello scoprire le loro relazioni e connessioni, nel riassumere, se è possibile, tutti i loro principi propri in un minimo numero di principi comuni, in conformità col metodo positivo.
La filosofia, quindi, si riduce alla metodologia delle scienze:

 

è il solo vero mezzo razionale per mettere in evidenza le leggi logiche dello spirito umano.

 

La religione dell'umanità

 

Nell'ultima grande opera di Comte, il Sistema di politica positiva (1851-54), l'intenzione di rigenerare la società, sulla base della conoscenza delle leggi sociali, assume le forme di una religione, dove si sostituisce all'amore di Dio quello dell'Umanità.
L'Umanità è un essere che trascende gli individui. Essa è composta da tutti gli individui viventi, da quelli morti e da quelli non ancora nati. I singoli individui si ricambiano, all'interno di essa, come le cellule di un organismo. Gli individui sono il prodotto dell'Umanità, la quale deve essere venerata come una volta lo erano gli dèi pagani.
Affascinato dal Cattolicesimo, a motivo del suo universalismo e della sua capacità di convogliare in sé l'intera vita umana, Comte sostiene che la religione dell'Umanità deve essere l'esatta copia del sistema ecclesiastico.
I dogmi della nuova fede sono già pronti: essi sono la filosofia positiva e le leggi scientifiche. I riti, i sacramenti, il calendario, il sacerdozio sono necessari alla diffusione dei nuovi dogmi. Ci sarà un battesimo secolare, una cresima secolare e una estrema unzione secolare. L'angelo custode positivo sarà la donna. I mesi prenderanno i nomi significativi (per es. Prometeo) della religione positiva, e i giorni della settimana saranno consacrati ognuno ad una delle sette scienze. Si costruiranno templi laici (istituti scientifici). Un Papa positivo eserciterà la sua autorità sulle autorità positive che si occuperanno dello sviluppo delle industrie e dell'utilizzazione pratica delle scoperte. Nella società positiva i giovani saranno sottoposti agli anziani e il divorzio sarà proibito. La donna diventerà la custode e la fonte della vita sentimentale dell'Umanità.
L'Umanità è il "Grande Essere"; lo spazio il "Grand'Ambiente" e la terra il "Gran Feticcio": questa è la trinità della religione positiva.

 

 

 

FRIEDRICH NIETZSCHE

 

 

Critico spietato del passato e "inattuale" profeta del futuro, dissacratore dei valori tradizionali e propugnatore dell'uomo che deve ancora venire, Friedrich Nietzsche (1844-1900) fu ben consapevole del suo destino:

 

Io conosco la mia sorte. Si legherà un giorno al mio nome il ricordo di una crisi, come non ce ne fu un'altra simile sulla terra, al più profondo conflitto di coscienza, ad una decisione proclamata contro tutto ciò che sinora era stato creduto, richiesto, consacrato. Io non sono un uomo, sono una dinamite... io contraddico come mai è stato contraddetto, e malgrado ciò sono l'antitesi di uno spirito negatore... Con tutto ciò sono necessariamente pure un uomo del destino. E infatti, se la verità entra in lotta con la menzogna di millenni, avremo tali scuotimenti, tali convulsioni di terremoto che mai erano state neppure sognate. Il concetto di politica è ora entrato completamente in una guerra tra spiriti, tutte le forme di dominio della vecchia società sono saltate in aria; esse riposano tutte sulla menzogna; ci saranno guerre come non ce ne sono state mai sulla terra. Solo da me comincia sulla terra la grande politica.

 

Nietzsche contraddice il Positivismo e la sua fede nel fatto; lo contraddice per la semplice ragione che

 

il fatto è sempre stupido e in ogni tempo è sempre somigliato più a un vitello che a un Dio.

 

Contraddice l'entusiasmo degli Idealisti e degli Storicisti per un senso evidente e progressivo vo della storia:

 

Il "progresso" è semplicemente un'idea moderna, cioè un'idea falsa.

 

Esso mina le pretese della verità delle scienze esatte.
Contro tutti gli Spiritualismi proclama la morte di Dio. Dice che il Cristianesimo "è un vizio", in quanto

 

nulla è più malsano, in mezzo alla nostra malsana umanità, della compassione cristiana. [...] Paolo è stato il più grande di tutti gli apostoli della vendetta.

 

Contro la "morale degli schiavi", egli esalta "la morale degli aristocratici": mentre tutta la morale aristocratica sorge da un trionfante dir di "sì" a se stessi, la morale degli schiavi dice fin dall'inizio "sì" ad un altro, sostiene Nietzsche, cioè a un "non se stesso". Quindi:

 

trasvalutazione di tutti i valori!

 

Nietzsche, è uno spirito che contraddice perché pensa di avere qualcosa di grande e di nuovo da annunciare:

 

Ve ne scongiuro, fratelli miei, rimanete fedeli alla terra e non prestate fede a coloro che vi parlano di speranze soprannaturali! Sono avvelenatori, coscienti o incoscienti. Sono spregiatori della vita, morituri, avvelenati essi stessi: la terra ne è stanca; ebbene, cacciateli per sempre!

 

Connesso a quello della fedeltà alla terra Nietzsche offre un altro insegnamento:

 

Non cacciate più la testa nella sabbia delle cose celesti, ma portatela liberamente: una testa terrestre, che crea, essa, il senso della terra [...]; [...] il superuomo è il senso della terra! La vostra volontà proclami: il superuomo sia il senso della terra.

 

Profeta del nazismo?

 

La filosofia di Nietzsche si pone, dunque, come inversione delle idee filosofiche e dei valori morali tradizionali.
La natura dei temi trattati, la forte volontà provocatoria che si irradia dalla sua opera nelle direzioni più disparate, lo stile aforismatico e, infine, alcune vicissitudini legate alla pubblicazione della Volontà di potenza e dell'Epistolario, hanno fatto sì che le interpretazioni di Nietzsche fossero le più disparate e controverse.
Così, di volta in volta, si è visto in Nietzsche l'antipositivista che demolisce la fiducia nella scienza, o l'antidemocratico che disprezza il popolo, la "plebe" e la nuova classe emergente; lo si è interpretato come il rappresentante più persuasivo dell'irrazionalismo e del vitalismo; ne è stata offerta, agli inizi del secolo, l'immagine di artista aristocratico e decadente (nel senso di D'Annunzio o di Gide); è stato presentato come deciso materialista; di lui si è detto che è stato il primo vero esistenzialista; è certo che ha anticipato, in più di un importante punto, Freud; si è analizzato il suo influsso sulle avanguardie artistiche degli anni Venti (Espressionismo tedesco e Surrealismo francese) a motivo della sua critica alla cultura borghese; e fuor di dubbio è che egli abbia influito su uomini come Rilke e Thomas Mann. Come se non bastasse, poi, c'è tutto un filone interpretativo che ha visto in Nietzsche il profeta del nazismo, della violenza militaristica e della superiorità della razza ariana.
Lasciamo qui queste ed altre interpretazioni.
Tuttavia, mentre occorre dire che l'interpretazione decadentistica di Nietzsche sembra scorretta per la ragione che Nietzsche vide nella vita una profonda e crudele tragedia, non possiamo non fermarci un istante sulle vicende che hanno portato (per es. nel lavoro di A. Baeumler, Nietzsche, il filosofo e il politico, Lipsia, 1931) all'interpretazione di Nietzsche come "profeta del nazismo", interpretazione che, tra altri, G. Lukàcs ancora nel 1954 accetta nel suo libro La distruzione della ragione.
In realtà, quel che è accaduto è che la sorella di Nietzsche, Elizabeth Förster-Nietzsche, custode gelosa dei manoscritti del fratello, spinta dall'idea di una palingenesi universale da affidare alla nazione tedesca, volle fare del fratello una guida spirituale di tale palingenesi. Perciò, con interventi arbitrari e tendenziosi sulle pagine manoscritte del fratello, pubblicò la Volontà di potenza, dove idee quali quella di "superuomo", di "volontà di potenza", ecc., che nel contesto globale del pensiero di Nietzsche hanno ben altro significato, appaiono come negazione di ogni umanitarismo e della democrazia, e come i fondamenti teorici della politica più violenta ed aggressiva, dello stato totalitario e della razza "pura dei superuomini".
Sennonché (e questo è confermato anche dall'edizione autentica dei suoi scritti), una siffatta interpretazione del "superuomo" di Nietzsche come profeta del nazismo è esclusa dal contesto della sua filosofia: il super-uomo non è il nazista, ma è il filosofo che annunzia una nuova umanità, una umanità che, liberandosi da antiche catene, va "al-di-là del bene e del male". Tra queste antiche catene, poi, Nietzsche annoverava anche l'idolatria dello Stato:

 

"Stato" si chiama il più freddo di tutti i mostri. È freddo anche nel mentire; e la menzogna ch'esce dalla sua bocca è questa: "Io, lo Stato, sono il popolo!". [...] Sulla terra nulla è di me più grande; io sono il dito di Dio — così ruggisce il mostro [...]. Lo Stato è là dove tutti, buoni e cattivi, si ubriacano di veleno: là dove tutti perdono se stessi: là dove il lento suicidio di tutti si chiama "vita".

 

Lo Stato è un idolo che puzza:

 

Il loro idolo male odora — il freddo mostro — e tutti puzzano, questi adoratori dell'idolo [...]. Fuggite il cattivo odore! Fuggite l'idolatria degli uomini inutili [...]. Solo là dove lo Stato cessa di esistere incomincia l'uomo non inutile.

 

Queste cose fa dire Nietzsche a Zarathustra. Nel saggio Schopenhauer come educatore, poi, si legge:

 

Quindi subiamo [...] le conseguenze di quella dottrina predicata di recente da tutti i tetti, secondo cui il fine supremo dell'umanità sarebbe lo Stato e per un uomo non ci sarebbe più alto dovere del servire lo Stato: in ciò io non vedo una ricaduta nel paganesimo ma nella stupidità. [...] Lo Stato desidera che gli uomini possano idolatrarlo.

 

Nel Crepuscolo degli idoli, inoltre, Nietzsche sostiene che la cultura e lo Stato sono antagonisti.

 

La vita e le opere

 

Friedrich Nietzsche nasce il 15 ottobre 1844 a Röcken presso Lutzen.
Studia filologia classica a Bonn e a Lipsia dove ha modo di leggere Il mondo come volontà e rappresentazione di Schopenhauer, una lettura destinata a lasciare nel pensiero di Nietzsche una impronta decisiva.
A soli 24 anni, Nietzsche viene chiamato a ricoprire la cattedra di filologia classica all'Università di Basilea. Qui stringe amicizia con il famoso storico Jakob Burckhardt ed è di questo periodo il suo incontro con Richard Wagner, che viveva a Triebschen sul Lago dei Quattro Cantoni.
Nietzsche si converte alla causa di Wagner che sente come il suo insigne precursore sul campo di lotta, e collabora con lui all'organizzazione del teatro di Bayreuth.
Nel 1872 esce La nascita della tragedia. Il libro suscita violente polemiche e viene ferocemente attaccato da Wilamowitz-Moellendorf.
Tra il 1873 e il 1876 Nietzsche scrive le quattro Considerazioni inattuali. Nel frattempo, per motivi personali (Wagner è "un istrione" assetato di successo mondano) e per ragioni teoretiche (Wagner è tutt'altro che un rigeneratore della cultura), egli rompe con Wagner.
La testimonianza di tale rottura la troviamo in Umano, troppo umano (1878), dove l'autore prende ormai le distanze anche dalla filosofia di Schopenhauer.
L'anno appresso, nel 1879, Nietzsche, per ragioni di salute ma anche per motivi più profondi (la filologia non era il suo "destino") si dimette dall'insegnamento ed inizia il suo irrequieto pellegrinaggio da pensione a pensione, tra la Svizzera, l'Italia e la Francia meridionale.
Nel 1881 pubblica l'Aurora: qui già prendono corpo le fondamentali tesi di Nietzsche.
Del 1882 è la Gaia scienza: e qui il filosofo promette un nuovo destino per l'umanità. Questi due libri egli li scrive a Genova, dove ha anche l'occasione di ascoltare la Carmen di Bizet, di cui si entusiasma:

 

Qui parla un'altra sensualità, un'altra sensibilità, un'altra serenità. Questa musica è serena [ ... ] , essa ha su di sé la fatalità, la sua felicità è breve, improvvisa, senza remissione [ ... ]. Anche quest'opera redime [ ... ], con essa si prende congedo dall'umido Nord, da tutti i vapori dell'ideale wagneriano.

 

Sempre nel 1882 Nietzsche conosce Lou Salomé, una giovane russa di 24 anni. Egli crede in lei e vuole sposarla, ma Lou Salomé lo rifiuta e si unisce a Paul Rée, amico e discepolo dello stesso Nietzsche. Al fallimento del rapporto tra il filosofo e la giovane russa non fu estranea la sorella di Nietzsche, Elizabeth.
Nel 1883, a Rapallo, egli concepisce il suo capolavoro: Così parlò Zaratbustra. Quest'opera fu ultimata, tra Roma e Nizza, due anni dopo.
Nel 1886 dà alle stampe Al di là del bene e del male. La Genealogia della morale è del 1887 e l'anno successivo Nietzsche compone: Il caso Wagner, Il crepuscolo degli idoli, L'Anticristo, Ecce homo (= Ecco l'uomo). Dello stesso periodo è lo scritto Nietzsche contro Wagner.
Legge Dostojewskij e intanto gli pare di aver trovato una dimora soddisfacente a Torino. Quivi lavora alla sua ultima opera, la Volontà di potenza, che non riesce però a portare a compimento.
Infatti, il 3 di gennaio del 1889 cade preda della pazzia, gettandosi al collo di un cavallo che il padrone stava bastonando davanti alla sua abitazione torinese.
Dapprima viene affidato alla madre e, morta costei, alla sorella.
Muore a Weimar, immerso nelle tenebre della follia, il 25 agosto del 1900, senza potersi render conto del successo che ormai stavano avendo quei libri che egli aveva fatto stampare a sue spese.

 

Il dionisiaco, l'apollineo e il "problema Socrate"

 

A Lipsia Nietzsche legge Il mondo come volontà e rappresentazione di Schopenhauer e ne rimane affascinato.
Più tardi scriverà:

 

Trovai il libro nell'antiquariato del vecchio Rohn [...] a casa mi gettai sul sofà [...] e lasciai che quel genio energico e tenebroso cominciasse ad agire su di me. Ad ogni pagina: rinuncia, rifiuto, rassegnazione levavano alta la voce: avevo davanti a me uno specchio nel quale vidi [...] il mondo, la vita e il mio stesso animo. Qui, simile al sole, mi fissava il grande occhio dell'arte, staccato da tutto; qui io vedevo malattia e guarigione, esilio e rifugio, inferno e paradiso.

 

La vita, pensa Nietzsche sulla scia di Schopenhauer, è crudele e cieca irrazionalità, dolore e distruzione. Solo l'arte può offrire all'individuo la forza e la capacità di fronteggiare il dolore della vita, dicendo "sì" alla vita.
Ne La nascita della tragedia, che è del 1872, Nietzsche mostra come la civiltà greca presocratica esploda in un vigoroso senso tragico che è accettazione ebbra della vita, coraggio dinanzi al fato, esaltazione dei valori vitali ("tragico" si dice del momento, della situazione, del contesto che presenta una lacerazione interna impossibile da colmare, stridente, ma molto reale: ad esempio la contraddizione esistente tra legge positiva e legge di natura nel caso in cui due fratelli di sangue si ritrovino l'uno di fronte all'altro schierati tra le file di eserciti opposti. Prevarrà il sangue o la lealtà nei confronti della legge? La situazione tragica è priva di soluzioni). L'arte tragica è, a suo parere, un coraggioso e sublime dire "sì" alla vita.
Con ciò Nietzsche rovescia l'immagine romantica della civiltà greca. Tuttavia, la Grecia di cui parla Nietzsche non è la Grecia della scultura classica e della filosofia di Socrate, Platone ed Aristotele, ma è la Grecia dei Presocratici (VI sec. a.C), quella della tragedia antica in cui il coro era la parte essenziale.
Il segreto di questo mondo greco, Nietzsche lo individua nello spirito di Dioniso.
Dioniso è l'immagine della forza istintiva e della salute, è ebbrezza creativa e passione sensuale, è il simbolo di un'umanità in pieno accordo con la natura.

 

Accanto al dionisiaco, lo sviluppo dell'arte greca è legato, dice Nietzsche, all'apollineo che è visione di sogno, tentativo di esprimere il senso delle cose nella misura e nella moderazione e che si esplicita in figure equilibrate e limpide.

 

Lo sviluppo dell'arte è legato alla dicotomia dell'apollineo e del dionisiaco, nel modo medesimo come la generazione viene dalla dualità dei sensi in continua contesa tra loro e in riconciliazione meramente periodica [...]. Sulle loro [dei Greci] due divinità artistiche, Apollo e Dioniso, è fondata la nostra teoria, che nel mondo greco esiste un enorme contrasto, enorme per l'origine e pel fine, tra l'arte figurativa, quella di Apollo, e l'arte non figurativa della musica, che è propriamente quella di Dioniso. I due istinti, tanto diversi tra loro, vanno l'uno accanto all'altro, per lo più in aperta discordia [...] fino a quando, in virtù di un miracolo metafisico della "volontà" ellenica, compaiono in ultimo accoppiati l'uno con l'altro, e in questo accoppiamento finale generano l'opera d'arte, altrettanto dionisiaca che apollinea, che è la tragedia attica.

 

Tuttavia, allorquando con Euripide si tenta di eliminare dalla tragedia l'elemento dionisiaco a favore degli elementi morali ed intellettualistici, allora la chiara luminosità nei confronti della vita si trasforma in superficialità sillogistica: sorge allora Socrate, con la sua folle presunzione di capire e dominare la vita con la ragione e, con ciò si innesca la decadenza.
Socrate e Platone sono sintomi del decadimento, gli strumenti della dissoluzione greca, gli "pseudogreci", gli antigreci. La dialettica, scrive Nietzsche,

 

può essere soltanto un'estrema risorsa nelle mani di chi non ha più armi [...]. Quel che si limita a lasciarsi dimostrare ha poco valore. [...] i filosofi e i moralisti ingannano se stessi, credendo di uscire dalla décadence per il semplice fatto che muovono guerra contro di essa [...] quel che essi scelgono come rimedio, come ancora di salvezza, è esso stesso nient'altro che una nuova espressione della décadence; essi trasformano la sua espressione, ma non la eliminano. Socrate fu un equivoco: tutta quanta la morale del perfezionamento, anche quella cristiana, è stata un equivoco... La più cruda luce diurna, la razionalità ad ogni costo, la vita chiara, prudente, cosciente, senza istinti, in contrasto agli istinti, era essa stessa soltanto una malattia diversa — e in nessun modo un ritorno alla "virtù", alla "salute", alla felicità. [...] Socrate fu semplicemente a lungo malato. [...] volle morire.

 

Socrate disse "no" alla vita; egli ha aperto un'epoca di decadenza che schiaccia anche noi. Egli combatté il fascino dionisiaco, ma esso

 

non ripristina solamente i vincoli tra uomo e uomo: anche la natura, straniata o ostica o soggiogata, celebra la festa di riconciliazione col suo figliol prodigo, l'uomo. La terra getta di buon grado i suoi doni, e le belve rapaci delle rupi e dei deserti si avvicinano in pace. Il carro di Dioniso è coperto di fiori e ghirlande; la pantera e la tigre avanzano sotto il suo giogo. Si tramuti l'inno alla gioia di Beethoven in un quadro dipinto, e non si ponga freno alla propria immaginazione quando milioni di esseri vadano fremendo nella polvere, percossi dal prodigio: solo così possiamo approssimarci a ciò che è la fascinazione dionisiaca. Ecco che lo schiavo è libero, ecco che tutti infrangono le rigide, nemiche barriere, che il bisogno, l'arbitrio o "la moda insolente" hanno piantato tra gli uomini. Ecco che nel Vangelo dell'armonia universale ognuno si sente non solo riunito, riconciliato, fuso col suo prossimo, ma si sente fatto uno con lui, quasi che il velo di Maia fosse squarciato e svolazzato non più che in brandelli davanti al mistero dell'uno primigenio.

 

 

I fatti e la storia. I pessimismi

 

 

I "fatti" sono stupidi e la "saturazione di storia" è un pericolo

 

La Nascita della tragedia fu scritta sotto l'influsso delle idee di Schopenhauer, ma anche sotto quello delle idee di Wagner. In Wagner, infatti, Nietzsche scorgeva il prototipo dell'artista tragico, destinato a rinnovare la cultura contemporanea. A Wagner egli dedica la Nascita della tragedia, e alla fine della dedica scrive:

 

Io considero l'arte come il compito supremo e come l'attività metafisica propria della nostra vita, secondo il pensiero dell'uomo, al quale intendo dedicare quest'opera come al mio insigne precursore sul campo di lotta.

 

In ogni caso, appena uscita, l'opera di Nietzsche, benché difesa dallo stesso Wagner e da Erwin Rohde, fu violentemente attaccata, in nome della serietà della scienza filologica, dal filologo Ulrich von Wilamowitz-Möllendorff, il quale accusò Nietzsche di ignoranza e scarso amor di verità.

 

Contro l'esaltazione della scienza e della storia, invece, Nietzsche scrive, tra il '73 e il '76, le Considerazioni inattuali.
Qui il vecchio hegeliano D. F. Strauss, insieme a Feuerbach e a Comte, passa per l'incarnazione della mediocrità. Simultaneamente viene esaltato Schopenhauer come precorritore della nuova cultura "dionisiaca". Nietzsche combatte qui anche quella che chiama la saturazione di storia.
Non che Nietzsche neghi l'importanza della storia. Egli piuttosto combatte l'idolatria del fatto, da una parte, e le illusioni storicistiche, dall'altra, con le implicazioni politiche che queste comportano. Innanzi tutto, ad avviso di Nietzsche, i fatti sono sempre stupidi: essi hanno bisogno dell'interprete, e per questo sono solo le teorie ad essere intelligenti. In secondo luogo, chi crede nella potenza della storia sarà esitante e insicuro, e non potrà credere in sé. Non credendo in sé, costui sarà quindi succube dell'esistente, sia esso un governo, un'opinione pubblica o una maggioranza numerica.
Sono tre gli atteggiamenti che Nietzsche distingue di fronte alla storia:
 - la storia monumentale, che è la storia di chi cerca nel passato modelli e maestri in grado di soddisfare le sue aspirazioni.
 - la storia antiquaria, che è la storia di chi comprende il passato della propria città (i muri, le feste, le ordinanze municipali, ecc.) come fondamento della vita presente; la storia antiquaria cerca e conserva i valori costitutivi stabili su cui si radica la vita presente.
 - la storia critica, e questa è la storia di chi guarda al passato con gli intenti del giudice che abbatte e condanna tutti quegli elementi che sono di ostacolo per la realizzazione dei propri valori. Quest'ultimo è stato l'atteggiamento di Nietzsche di fronte alla storia. Questa è la ragione per cui egli combatte l'eccesso o "saturazione di storia":

 

da questo eccesso gli istinti del popolo vengono turbati, e al singolo non meno che alla totalità viene impedito di maturare; da questo eccesso viene istillata la credenza sempre dannosa nella vecchiaia dell'umanità, la credenza di essere frutti tardivi ed epigoni; per questo eccesso un'epoca cade nel pericoloso stato d'animo dell'ironia su se stessa, e da esso in quello più pericoloso ancora del cinismo.

 

Il distacco da Schopenhauer e da Wagner

 

Nel frattempo, però, Nietzsche veniva maturando il suo distacco da Schopenhauer e ancor più da Wagner.
Tale distacco è testimoniato da opere come Umano, troppo umano, l'Aurora e la Gaia scienza.
Due sono i tipi di pessimismo:
 - quello romantico, cioè il pessimismo dei rinunciatari, dei falliti e dei vinti;
 - quello di chi accetta la vita pur conoscendone la dolorosa tragicità.
In nome di quest'ultimo pessimismo Nietzsche rifiuta il primo, quello di Schopenhauer, che da ogni parte gronda rassegnazione e rinuncia, che è fuga dalla vita piuttosto che "volontà di tragicità". Schopenhauer è soltanto l'erede dell'interpretazione cristiana.
D'altro canto, il distacco da Wagner fu, per Nietzsche, un evento ancor più significativo e doloroso. Nell'arte di Wagner egli aveva visto lo strumento della rigenerazione, ma presto dovette ammettere di essersi illuso; Wagner — si legge ne Il caso Wagner

 

lusinga ogni istinto nichilistico (buddhistico) e lo camuffa con la musica, blandisce ogni cristianità, ogni forma di espressione religiosa della décadence [...]. Tutto quanto sia mai allignato sul terreno della vita immiserita, tutta quanta la coniazione di monete false della trascendenza e del mondo ultraterreno ha nell'arte di Wagner la sua più sublime difesa.

 

Wagner è una malattia; ammala tutto ciò che tocca, ha ammalato la musica. Wagner è un genio istrionico; egli est une névrose (= è una nevrosi).
L'allontanamento di Nietzsche dai suoi due grandi maestri ha significato l'allontanamento e il distacco critico dal Romanticismo con il suo falso pessimismo, con la rassegnazione e l'ascesi quasi-cristiana di Schopenhauer e con la retorica da romantico disperato e divenuto marcio quale è Wagner. Tale allontanamento ha voluto dire distacco e critica di quelle pseudo-giustificazioni e camuffamenti metafisici dell'uomo e della sua storia che sono l'Idealismo (che crea un "antimondo"), il Positivismo (la cui pretesa di ingabbiare in modo saldo la tanto vasta realtà nelle sue povere reti teoriche è ridicola e assurda), i redentorismi socialisti delle masse o attraverso le masse, ed anche l'Evoluzionismo

 

più asserito che provato [...]. Le specie non crescono nella perfezione: i deboli tornano sempre di nuovo a soverchiare i forti [...]. Darwin ha dimenticato — questo è inglese — lo spirito, i deboli hanno più spirito.

 

In questo modo, Nietzsche pare innestare le proprie riflessioni su radici illuministiche, ed in effetti è così.
La sfiducia nelle metafisiche, l'apertura nei riguardi delle possibili "infinite" interpretazioni del mondo e della storia e quindi l'eliminazione dell'atteggiamento dogmatico, il riconoscimento del limite e della finitezza umana, la critica alla religione sono tutti elementi che fanno ritenere possibile a Nietzsche in Umano, troppo umano di portare avanti di nuovo la bandiera dell'illuminismo. Ovviamente, quest'Illuminismo di Nietzsche che viene dopo il Romanticismo sarà meno entusiastico e superficiale del vecchio Illuminismo; sarà, piuttosto, la lucida consapevolezza di una tragedia a cui si va incontro con un grido di sfida.
Non si tratterà più, quindi, di quell'ottimismo superficiale che, nei confronti della vita, ha spesso caratterizzato gl'Illuministi; ma non si tratterà nemmeno della rassegnazione di Schopenhauer o dei falsi rimedi di Wagner.

 

 

 

La morte di Dio

 

L'annuncio della "morte di Dio"

 

La critica all'Idealismo, all'Evoluzionismo, al Positivismo e al Romanticismo non si arresta. Queste teorie sono cose "umane, troppo umane" che si presentano come verità eterne ed assolute che occorre smascherare.
In nome dell'istinto dionisiaco, in nome di quel sano uomo greco del VI sec. a.C. "che ama la vita" e che è totalmente terrestre, Nietzsche annuncia "la morte di Dio", da una parte, mentre dall'altra conduce un attacco a fondo contro il Cristianesimo, la cui vittoria sul mondo antico e sulla concezione greca dell'uomo ha avvelenato l'umanità; infine, ancora, va alla radice della morale tradizionale, ne fa la genealogia, e scopre che essa è la morale degli schiavi, dei deboli e dei vinti risentiti contro tutto ciò che è nobile, bello e aristocratico.
Nella Gaia scienza l'uomo pazzo annuncia agli uomini che Dio è morto.

 

Che ne è di Dio? Io ve lo dirò. Noi l'abbiamo ucciso — io e voi. Noi siamo i suoi assassini!.

 

La civiltà occidentale si è venuta via via, e per diverse ragioni, staccando da Dio: è così che l'ha ucciso. "Uccidendo" Dio, però, si eliminano tutti quei valori che sono stati a fondamento della vita, e si perde di conseguenza ogni punto di riferimento:

 

Che facemmo sciogliendo la terra dal suo sole? Dove va essa, ora? Dove andiamo noi, lontani da ogni sole? Non continuiamo a precipitare: e indietro e dai lati e in avanti? C'è ancora un alto e un basso? Non andiamo forse errando in un infinito nulla? [ ... ]. Dio è morto! Dio resta morto! E noi l'abbiamo ucciso!

 

Abbiamo eliminato il mondo del Soprannaturale, ma ciò facendo abbiamo infranto anche la tavola dei valori e degli ideali ad esso connessi.
Ci si ritrova, così, senza un punto di riferimento: ucciso Dio, con lui è scomparso l'uomo vecchio, ma l'uomo nuovo non è ancora apparso. Il pazzo della Gaia scienza dice ancora:

 

vengo troppo presto, non è ancora il mio tempo. Questo evento mostruoso è tuttora in corso e non è ancor giunto alle orecchie degli uomini.

 

La morte di Dio è un fatto del quale non ci fu più grande. È un evento che divide la storia dell'umanità. Non la nascita di Cristo, ma la morte di Dio divide la storia dell'umanità:

 

chiunque nascerà dopo di noi apparterrà per ciò stesso a una storia più alta di ogni altra trascorsa.

 

Questo evento, la morte di Dio, annunzia innanzi tutto Zarathustra, il quale, poi, sulle ceneri di Dio innalzerà l'idea del super-uomo, dell'uomo nuovo, impastato dell'ideale dionisiaco che "ama la vita" e che, voltando le spalle alle chimere del "cielo", tornerà alla sanità della "terra".

 

Oh, fratelli miei, quel Dio che io creai era folle opera d'un uomo, come sono tutti gli dei [...] la stanchezza, che d'un sol balzo — con un salto mortale — vorrebbe raggiungere il culmine, la povera stanchezza ignorante, che più non sa nemmeno volere: essa creò tutti gli dei e il soprannaturale.

 

Coloro che predicano mondi soprannaturali sono predicatori della morte, perché morti son tutti gli dei.

 

L'Anticristo, ovvero il Cristianesimo come "vizio"

 

La morte di Dio è un evento cosmico, di cui gli uomini sono responsabili, e che li libera dalle catene di quel soprannaturale che essi stessi avevano creato.
Parlando dei preti, Zarathustra afferma:

 

Mi fanno pena questi preti [...] per me essi sono dei prigionieri e dei marchiati. Colui che essi chiamano redentore li caricò di ceppi. Di ceppi di falsi valori e di folli parole! Ah, se qualcuno potesse redimerli dal loro redentore!.

 

Questo è lo scopo che Nietzsche vuol raggiungere con l'Anticristo che è una "maledizione del Cristianesimo".
Per Nietzsche, pervertito è un animale, una specie, un individuo quando perde i suoi istinti, quando sceglie, quando preferisce quel che gli è nocivo. Il Cristianesimo non ha che difeso tutto ciò che è nocivo all'uomo. Il Cristianesimo ha considerato peccato tutti i valori e i piaceri della terra. Esso

 

ha preso le parti di tutto quanto è debole, abietto, malriuscito; della contraddizione contro gli istinti di conservazione della vita forte ha fatto un ideale; ha guastato persino la ragione delle nature intellettualmente più forti, insegnando a sentire i supremi valori dell'intellettualità come peccaminosi, come fonti di traviamento, come tentazioni.

 

Il Cristianesimo è la religione della compassione.

 

Ma si perde forza quando si ha compassione [...]; la compassione intralcia in blocco la legge dello sviluppo che è la legge della selezione. Essa conserva ciò che è maturo per il tramonto, oppone resistenza in favore dei diseredati e dei condannati dalla vita.

 

La realtà, dice Nietzsche, è che la compassione è la praxis del nichilismo e che nulla è più malsano, in mezzo alla nostra malsana umanità, della compassione cristiana.
Nel Dio cristiano Nietzsche scorge la divinità degli infermi; un Dio degenerato fino a contraddire la vita, invece di esserne la trasfigurazione e l'eterno "sì". In Dio è dichiarata inimicizia alla vita, alla natura, alla volontà di vivere; Dio è la formula di ogni calunnia dell'al di qua e di ogni menzogna dell'al di là. In Dio è divinizzato il nulla, è consacrata la volontà del nulla.
Anche il Buddhismo è una religione della decadenza, e tuttavia Nietzsche lo trova più realistico del Cristianesimo: il Buddhismo, infatti, non lotta contro il peccato bensì contro il dolore. Inoltre, i presupposti del Buddhismo sono un clima molto mite, una grande pacatezza e liberalità di costumi, nessun militarismo.
Nonostante tutto ciò, Nietzsche è catturato dalla figura del Cristo («Cristo è l'uomo più nobile»; «il simbolo della croce è il più sublime che sia mai esistito») e distingue fra Gesù e il Cristianesimo («il Cristianesimo è qualche cosa di profondamente diverso da quello che il suo fondatore volle e fece»).
Cristo è morto per indicare come si deve vivere:

 

La pratica della vita è ciò che egli ha lasciato in eredità agli uomini: il suo contegno dinanzi ai giudici, agli sgherri, agli accusatori e a ogni specie di calunnia e di scherno, il suo contegno sulla croce [...]. Le parole rivolte al ladrone sulla croce racchiudono in sé l'intero Vangelo.

 

Cristo fu un "libero spirito", ma con Cristo morì il Vangelo: anche il Vangelo restò sospeso alla "croce", o, meglio, si trasformò in Chiesa, in Cristianesimo, cioè in odio e risentimento contro tutto ciò che è nobile ed aristocratico: Paolo è stato il più grande fra tutti gli apostoli della vendetta.
Il Cristiano, dal primo all'ultimo è, secondo Nietzsche, per profondissimo istinto un ribelle contro tutto quanto è privilegiato; egli vive e combatte sempre per "diritti uguali". Nel Nuovo Testamento, allora, Nietzsche trova un personaggio solo degno di venir onorato, Ponzio Pilato a motivo del suo sarcasmo nei confronti della "verità".
Più tardi, nella storia della civiltà, il Rinascimento tentò la trasvalutazione dei valori cristiani, cercò di portare alla vittoria i valori aristocratici, i nobili istinti terrestri. Cesare Borgia, se fosse divenuto papa, sarebbe stato una grande speranza per l'umanità. Accadde, però, che

 

un monaco tedesco, Lutero, venne a Roma. Questo monaco, con dentro il petto tutti gli istinti di vendetta d'un prete malriuscito, a Roma si indignò contro il Rinascimento [...]. Lutero vide la corruzione del papato, mentre si poteva toccare con mano esattamente il contrario: sul seggio papale non stava più l'antica corruzione, il peccatum originale, il Cristianesimo! Sibbene la vita! Sibbene il trionfo della vita! Sibbene il grande sì a ogni cosa elevata, bella, temeraria!... E Lutero restaurò nuovamente la Chiesa [...]. Ah, questi Tedeschi, quanto ci sono costati!.

 

Pertanto, la Chiesa cristiana non lasciò nulla d'intatto nel suo pervertimento, essa ha fatto di ogni valore un disvalore, di ogni verità una menzogna, di ogni onestà un'abiezione dell'anima. La Chiesa, con il suo ideale cloridrico della "santità" va bevendo fino all'ultima goccia ogni sangue, ogni amore, ogni speranza di vita.
L'al di là è la negazione di ogni realtà e la croce è una congiura contro salute, bellezza, costituzione ben riuscita, valentia di spirito, bontà dell'anima, contro la vita stessa. È augurabile, quindi, che questo sia l'ultimo giorno del Cristianesimo.

 

da oggi? Da oggi, risponde Nietzsche, trasvalutazione di tutti i valori.

 

 

 

Genealogia della morale, nichilismo e super-uomo

 

La genealogia della morale

 

Insieme con il Cristianesimo, anzi condannando il Cristianesimo, Nietzsche sottopone ad una critica serrata la morale.
Questa è la guerra che Nietzsche ingaggia in nome della "trasformazione dei valori che hanno dominato fino ad oggi".
Tale rivolta contro "il sentimento consueto dei valori" egli la esplicita specialmente in quei due volumi che sono Al di là del bene e del male e Genealogia della morale.

 

Fino ad oggi non si è neppure avuto il minimo dubbio o la minima esitazione nello stabilire il "buono" come superiore, in valore, al "malvagio " [...]. Come? e se la verità fosse il contrario? Come? e se nel bene fosse insito anche un sintomo di regresso, come pure un pericolo, una seduzione, un veleno?.

 

Questo è il problema della Genealogia della morale. Qui Nietzsche va ad indagare i meccanismi psicologici che illuminano la genesi dei valori: la comprensione della genesi psicologica dei valori sarà di per sé sufficiente a metterne in dubbio la loro pretesa assolutezza ed indubitabilità.
Innanzitutto, la morale è una macchina che viene costruita per dominare gli altri, e, in secondo luogo, dobbiamo subito distinguere tra la morale aristocratica dei forti e quella degli schiavi. Questi ultimi sono i deboli, i malriusciti.
Come dice il proverbio, coloro che non possono dare cattivi esempi danno buoni consigli. È così che i deboli per costituzione agiscono per soggiogare i forti.

 

Mentre ogni morale aristocratica cresce da una trionfale affermazione di sé, la morale degli schiavi oppone sin dal principio un no a ciò che non fa parte di se stessa, a ciò che è differente da sé ed è il suo non-io; ed è il suo atto creatore. Questo capovolgimento [...] appartiene in proprio al risentimento.

 

È il risentimento contro la forza, la salute, l'amore alla vita che fa diventare dovere e virtù ed eleva al rango di bene comportamenti come il disinteresse, il sacrificio di sé, la sottomissione. Così, se per esempio esaminiamo la psicologia dell'asceta, all'apparenza questi mostrerà un profondo disinteresse per le cose e i successi di questo mondo, tuttavia, una analisi appena più approfondita paleserà in lui una forte volontà di dominio sugli altri. La sua morale è l'unico modo e il solo strumento con cui egli può soggiogare gli altri. È frutto del risentimento.
La morale dei forti o dei signori è la morale della fierezza, della generosità e dell'individualismo; la morale degli schiavi è, invece, la morale dei "filistei" risentiti, è la morale della democrazia e del socialismo. E questa morale degli schiavi è legittimata da metafisiche che la sopportano con basi presunte "oggettive", senza che ci si avveda che esse metafisiche non sono null'altro che "mondi superiori" inventati per poter calunniare e insudiciare questo mondo che esse vogliono ridurre a mera apparenza.

 

Guardateli i buoni e i giusti! Chi odiano essi più di ogni altro? Colui che spezza le tavole dei valori, il violatore, il corruttore. Ma questi è colui che crea. Guardateli i credenti di tutte le religioni! Chi odiano essi più di ogni altro? Colui che spezza le loro tavole dei valori, il violatore, il corruttore. Ma questi è colui che crea.

 

Quest'odio che ha proibito gli istinti più sani, gli istinti cioè che legano l'uomo alla terra (la gioia, la salute, l'amore, l'intellettualità superiore, ecc.), ha fatto sì che questi istinti si volgessero a ritroso, contro l'uomo stesso.
Fu così che l'uomo, invece di svilupparsi all'esterno e creare un mondo di bellezza e di opere grandi, si sviluppò all'interno e "nacque l'anima", malata della malattia più grave e oscura.

 

Nichilismo, eterno ritorno ed amor fati

 

Il Nichilismo (dal latino nihil, che significa "nulla"), dice Nietzsche, è la conseguenza necessaria del Cristianesimo, della morale e del concetto di verità della filosofia.
Quando tali illusioni perdono la maschera, allora ciò che resta è niente: l'abisso del nulla.

 

Il nichilismo come stato psicologico subentra di necessità, in primo luogo, quando abbiamo cercato in tutto l'accadere un "senso" che in esso non c'è, sicché alla fine a chi cerca viene a mancare il coraggio.

 

Quel "senso" poteva essere la realizzazione o l'accrescimento di un valore morale (amore, armonia nei rapporti, felicità, ecc.).
Coraggiosamente, invece, si deve constatare che la delusione su questo preteso fine è causa del nichilismo. Se poi si è postulata una totalità, una sistematizzazione e addirittura un'organizzazione in tutto l'accadere, si è visto che questo universale, che l'uomo aveva costruito per poter credere nel proprio valore, non c'è.
Si raggiunge il sentimento della mancanza di valore, quando si comprende che non è lecito interpretare il carattere generale dell'esistenza né col concetto di "fine", né col concetto di "unità", né col concetto di "verità". Allora cadono le menzogne di vari millenni e l'uomo resta sì senza gli inganni delle illusioni, ma resta solo.
Non ci sono valori assoluti, anzi i valori sono disvalori; non esiste nessuna struttura razionale e universale che possa sostenere l'impegno dell'uomo; non c'è nessuna provvidenza; nessun ordine cosmico.

 

La condizione generale del mondo è, per tutta l'eternità, il caos, non come assenza di necessità, ma nel senso di una mancanza di ordine, o di struttura, di forma, di bellezza, di saggezza.

 

Il mondo non ha un senso; non c'è un ordine, non c'è un senso, ma c'è una necessità. Il mondo ha in sé la necessità della volontà.
Il mondo, sin dall'eternità, è dominato dalla volontà di accettare se stesso e di ripetersi. Questa è la dottrina dell'eterno ritorno che Nietzsche riprende dalla Grecia e dall'Oriente.
Il mondo non procede in maniera rettilinea verso un fine (come crede il Cristianesimo) né il suo divenire è progresso (come pretende lo Storicismo hegeliano e post-hegeliano), ma

 

tutte le cose eternamente ritornano e noi con esse, e noi fummo già eterne volte e tutte le cose con noi.

 

Ogni dolore e ogni piacere, ogni pensiero e ogni sospiro e ogni cosa indicibilmente piccola e grande ritornerà:

 

tornerà anche questa tela di ragno e questo chiaro di luna tra gli alberi, ed anche questo identico momento, ed io stesso.

 

Questa la dottrina cosmologica di Nietzsche.
Ad essa, poi, Nietzsche collega l'altra sua dottrina dell'amor fati: amare il necessario, accettare questo mondo e amarlo.
L'uomo scopre che l'essenza del mondo è volontà, vede che esso è eterno ritorno, e si riconcilia volontariamente con il mondo: riconosce nella propria volontà di accettazione del mondo la stessa volontà che accetta se stessa. Egli segue volontariamente la via che gli altri uomini hanno seguito ciecamente, approva questa via e non cerca più di fuggirla come fanno i malati e i decrepiti.
Questo insegna Zarathustra:

 

Tutto ciò che fu è frammento, enigma, caso spaventevole, finché la volontà creatrice aggiunge: così io volevo che fosse, così io voglio che sia, così io vorrò che sia.

 

Il superuomo è il senso della terra

 

L'amor fati è accettazione dell'eterno ritorno, è accettazione della vita. Ma in esso non è da vedere l'accettazione dell'uomo.
Il messaggio fondamentale di Zarathustra sta, infatti, nell'insegnare il superuomo.

 

Il superuomo è il senso della terra! La vostra volontà proclami: il superuomo sia il senso della terra. Ve ne scongiuro, fratelli miei, rimanete fedeli alla terra e non prestate fede a coloro che vi parlano di speranze soprannaturali! [...] Altre volte il delitto contro Dio era il maggiore dei malefici, ma Dio è morto. La cosa più triste è ora peccare contro il senso della terra!.

 

L'uomo nuovo deve creare un senso nuovo della terra, abbandonare le vecchie catene e infrangere gli antichi ceppi.
L'uomo deve inventare l'uomo nuovo, cioè il super-uomo, l'uomo che va oltre l'uomo e che è l'uomo che ama la terra e i cui valori sono la salute, la volontà forte, l'amore, l'ebbrezza dionisiaca e un nuovo orgoglio. Dice Zarathustra:

 

Un nuovo orgoglio mi insegnò il mio Io, e io l'insegno agli uomini: non cacciate più la testa nella sabbia delle cose celesti, ma portatela liberamente: una testa terrestre, che crea essa stessa il senso della terra.

 

Ai vecchi doveri il superuomo sostituisce la propria volontà. C'è ancora

 

un drago immane che lo spirito non vuole più oltre chiamar suo padrone e suo Dio? Si chiama egli: "Tu devi". Ma contro di lui lo spirito del leone avventa le parole "lo voglio".

 

Ci sono i predicatori della morte che sono poi i predicatori della vita eterna: costoro predicano mondi soprannaturali, ma Zarathustra vuol essere la voce del corpo ridonato alla salute, la voce del coraggio e della fierezza: si vuole l'amore del prossimo, ma non è la compassione, bensì il valore che finora ha potuto salvare chi era in pericolo.

 

L'uomo è una corda tesa, tesa tra il bruto e il superuomo, una corda tesa su di una voragine.

 

Non lontano è il momento del trapasso dal vecchio uomo abbrutito dai suoi disvalori e con la testa nella sabbia delle cose celesti, all'uomo che crea il senso della terra, cioè nuovi valori tutti terrestri:

 

E il grande meriggio della vita risplenderà quando l'uomo si troverà nel mezzo del suo cammino tra il bruto e il superuomo e celebrerà il suo tramonto quale la sua maggior speranza; giacché il suo tramonto sarà l'annuncio di una nuova aurora. Il perituro benedirà allora se stesso, lieto d'esser uno che passa oltre: il sole della sua conoscenza splenderà di luce meridiana. "Morti son tutti gli dei: ora vogliamo che il superuomo viva".

 

È ben vero che il popolo e la gloria girano intorno ai commedianti, ma è altrettanto vero che il mondo gira intorno agli inventori dei nuovi valori. Come per Protagora, anche per Nietzsche l'uomo ha da essere misura di tutte le cose; ha da creare nuovi valori, porli in essere. L'uomo abbrutito ha la schiena piegata dinanzi alle illusioni crudeli del soprannaturale. Il superuomo "ama la vita" e "crea il senso della terra" e a questo è fedele.
Qui sta la sua volontà di potenza.

 

Oramai Dio è morto! O uomini superiori, quel Dio era il vostro pericolo più grave. Soltanto ora che egli giace nel suo sepolcro, voi potete dirvi resuscitati. Ora è vicino il grande meriggio: ora soltanto l'uomo superiore diventa padrone! Comprendete voi queste parole, o fratelli? Voi siete atterriti: v'incolse forse la vertigine? L'abisso vi si apre forse dinanzi spalancato? Forse il cane infernale abbaia contro di voi? Ebbene! Orsù! O uomini superiori! Ora soltanto la montagna dell'avvenire umano s'agita nelle doglie del parto. Dio morì: ora noi vogliamo che viva il superuomo.

 

 

 

Emile Durkheim

 

 

Émile Durkheim

 

 

Le "regole del metodo sociologico"

 

La sociologia dell'Ottocento è la «sociologia dei filosofi sistematici».
Essa è la figlia delle speranze o dei timori suscitati dallo sviluppo della società industriale della quale Saint-Simon aveva indicate le caratteristiche essenziali nell'organizzazione razionale, nella depersonalizzazione funzionale, nell'interdipendenza delle funzioni, nella pianificazione e divisione del lavoro, nella programmazione centralizzata della produzione.
Comte teorizza un sistema autoritario; Spencer un sistema sociologico in evoluzione, nel segnò però di un radicale individualismo; Proudhon vede nella giustizia la molla del progresso; Marx prevede una giustizia che si realizzerà in forza di leggi inesorabili che, mutando la struttura materiale, sconvolgeranno gli attuali ingiusti rapporti sociali.

 

Con Émile Durkheim (1855-1917) la sociologia "sistematica" entra in crisi.
Secondo Durkheim, la sociologia non è e non ha da essere una filosofia della storia la quale presuma di scoprire le leggi generali che guidano la marcia, del "progresso" dell'intera umanità. Essa non è e non deve essere una metafisica che si reputi capace di determinare la natura della società; la sociologia non è né psicologia né filosofia. La sociologia non può pretendere di atteggiarsi a Scientia scientiarum.
Peraltro, la sociologia è, per Durkheim, una scienza, una scienza autonoma e diversa dalle altre scienze.

 

Perché la sociologia possa qualificarsi come scienza autonoma, se ne debbono specificare oggetto e regole di metodo, come spiegato ne Le regole del metodo sociologico (1895).
Innanzi tutto, mentre Comte si era preoccupato di specificare le leggi della "fisica sociale" e mentre Spencer pensa di avere individuato le leggi che determinano l'evoluzione di tipo organico delle forme sociali, Durkheim si impegna nella specificazione dell'oggetto tipico della sociologia, cioè dei "fatti sociali".

 

Essi consistono in maniere di agire, pensare e sentire, esteriori all'individuo, e dotate di un potere di coercizione in virtù del quale gli si impongono. Di conseguenza, non possono venire confusi con i fenomeni organici, perché consistono in rappresentazioni e in azioni, né con i fenomeni psichici, i quali non hanno altra esistenza che nella coscienza individuale e per mezzo di essa.

 

I fatti sociali sono irriducibili alla vita biologica e, siccome non hanno l'individuo come substrato, essi hanno come base la società.
Il "fatto sociale", come tale, non si riduce al fatto psichico del singolo individuo, e ciò risulta evidente dalla "coercizione" che esso esercita dall'esterno sull'individuo, sia attraverso sanzioni sia attraverso la resistenza che esso oppone ai tentativi individuali di modificazione di una qualche istituzione o credenza o uso.

 

Le nature individuali non sono che la materia indeterminata che il fattore sociale determina e trasforma. Certi stati psichici, quali la religiosità, la gelosia sessuale, la pietà filiale, l'amore paterno, lungi dall'essere inclinazioni inerenti alla natura umana, derivano dall'organizzazione collettiva [...]. Quasi tutto ciò che si trova nelle coscienze individuali viene dalla società.

 

La sociologia si potrà occupare di due grandi categorie di fatti: di quelli "normali" e di quelli "patologici".

 

Esistono, dunque, i fatti sociali che questi possono venir distinti, senza che li si valuti, in fatti normali e fatti patologici; e la sociologia è quella scienza che, considerando i fatti sociali come delle cose, ne cerca la causa determinante fra i fatti sociali antecedenti e non tra fatti della coscienza individuale.

 

Il "suicidio" e la "anomia"

 

Le riflessioni metodologiche non furono per Durkheim una esercitazione in vacuo. Esse, piuttosto, scaturirono dal vivo delle sue ricerche concrete.

 

Tra esse, il primo lavoro importante tratta Della divisione del lavoro sociale (1893), dove si cerca di offrire una spiegazione della divisione del lavoro, ma dove soprattutto si cerca di indagare sulla solidarietà sociale nella società moderna.
Durkheim distingue tra una società semplice (basata sui vincoli della consanguineità) e una società o tipo sociale secondario, reso tipico dalla divisione e dalla specializzazione delle funzioni.
Nelle società semplici o primitive Durkheim vede un comune patrimonio di idee, di valutazioni, di esperienze che cementa i membri della comunità ingenerando tra essi un solo cuore e una sola mente. In questo tipo di società si ha una solidarietà meccanica.
Tale solidarietà meccanica non è invece riscontrabile nel secondo tipo di società, la moderna società industriale, dove i soggetti si distinguono per professione, per ambiente familiare e sociale, per l'educazione ricevuta, cioè in base alla divisone del lavoro. La divisione del lavoro avrebbe proprio la funzione di fornire un fattore coesivo in grado di unire, in una solidarietà organica, membri non più omogenei e con differenti interessi, e Durkheim approva il fenomeno della divisione organica del lavoro, vi vede uno sviluppo normale e , in definitiva, felice, delle società umane. Giudica buona la differenziazione dei mestieri e degli individui, il ridursi dell'autorità della tradizione, il crescente dominio della ragione, lo sviluppo della parte lasciata all'iniziativa personale; tuttavia, rileva anche elementi di insoddisfazione e accenna di sfuggita all'aumento del numero dei suicidi.

 

Su quest'ultimo tema Durkheim nel 1897 pubblica Il suicidio.
Dopo aver discusso della predisposizione psicologica e della determinazione sociale del suicidio, egli distingue, basandosi su comparazioni statistiche, tre tipi di suicidio in corrispondenza di tre tipi di solidarietà sociale:
 - il suicidio altruistico: questo è il suicidio provocato da motivi sociali, come quando un uomo si uccide per evitare l'obbrobrio del disonore, o come quando una persona anziana di una tribù nomade si toglie la vita per evitare di essere di peso al gruppo. Il suicidio altruistico si ha all'interno di gruppi fortemente coesi, dove i fini collettivi sono vissuti e considerati come superiori a quelli individuali, e dove l'individuo conta unicamente in funzione del gruppo;
 - il suicidio egoistico: che si dà in persone pochissimo legate al gruppo. Il suicidio egoistico, in altri termini, è tipico di una situazione sociale in cui prevalgono la responsabilità, l'iniziativa individuale e la libera scelta personale, e in cui la crisi deve essere fronteggiata con mezzi e risorse personali piuttosto che istituzionali;
 - il suicidio anomico: l'anomia (dal greco a-nómos = privo di legge) è una situazione sociale in cui non esistono leggi e regole, oppure, qualora esistano, sono confuse, contraddittorie o inefficaci. In tale situazione, anche se il gruppo sociale resta, non c'è in esso solidarietà alcuna e l'individuo non ha né sistemi di appoggio né punti di riferimento. L'anomia è quindi uno stato di disordine e per l'appunto Durkheim si è reso conto che la percentuale dei suicidi aumenta nelle epoche di forte depressione economica e di dissesto sociale; Durkheim ha tuttavia anche rilevato che la percentuale dei suicidi cresce pure nei periodi di prosperità inattesa e improvvisa: la depressione e la prosperità infatti porterebbero, secondo Durkheim, al crollo delle aspettative e, con ciò, all'aumento dei suicidi.
D'altro canto, anche per i suicidi altruistici e per quelli egoistici Durkheim adduce molte esemplificazioni a conferma delle sue idee. Così, per esempio, veniamo a sapere che il numero di suicidi è molto alto tra i liberi pensatori, come anche tra i Protestanti, mentre tra i Cattolici la percentuale è bassa, e ancor più bassa tra gli Ebrei, a motivo della integrazione sociale prodotta dalle loro rispettive fedi. Durkheim ci dice anche che si registrano più suicidi tra gli scapoli, i divorziati e i vedovi che tra gli sposati; tra le persone sposate senza figli che tra quelle sposate con figli.

 

 

Weber: metodologia delle scienze sociali

 

 

max weber

 

 

L'opera di Max Weber, complessa e profonda, costituisce un monumento della comprensione dei fenomeni storici e sociali e al medesimo tempo della riflessione sul metodo delle scienze storico-sociali.
I lavori di Weber possono venire classificati in quattro gruppi:
 - studi storici: a) Sulle società mercantili del Medioevo (1889), b) Storia agraria romana nel suo significato per il diritto pubblico e privato (1891), c) Le condizioni dei contadini nella Germania orientale dell'Elba (1892), d) I rapporti agrari nell'antichità (1909);
 - studi di sociologia della teligione: a) L'etica protestante e lo spirito del capitalismo (1004/5), b) Scritti di sociologia della religione (3 voll., 1920-1921);
 - un trattato di sociologia generale: Economia e società (1922);
 - scritti di metodologia delle scienze storico-sociali: a) L'"oggettività" conoscitiva della scienza sociali e della Politica sociale (1904), b) Studi critici intorno alla logica delle scienze sociali (1906), c) Alcune categorie della sociologia comprendente (1913), d) Il significato della "avalutatività" delle scienze sociologiche ed economiche (1917), e) Il lavoro intellettuale come professione (1919).

 

Critico della "Scuola storica" dell'economia (Roscher, Knies e Hildebrandt), Weber rivendica contro di essa l'autonomia logica e teorica della scienza, la quale non può sottostare ad entità metafisiche come uno "spirito del popolo" creatore di diritto, di sistemi economici, di linguaggio. Per Weber lo "spirito del popolo" è piuttosto un prodotto di innumerevoli variabili culturali e non il fondamento reale di tutti i fenomeni culturali di un popolo.
Su altro fronte, il pensiero di Weber è caratterizzato dalla critica al materialismo storico che dogmatizza e pietrifica il rapporto tra le forme di lavoro (la- cosiddetta "struttura") e le altre manifestazioni culturali della società (la cosiddetta "sovrastruttura"), mentre si tratta di un rapporto che di volta in volta va chiarito secondo il suo effettivo configurarsi. Ciò significa che lo scienziato sociale deve essere pronto al riconoscimento dell'influenza che possono avere le forme culturali, ad esempio la religione, sulla stessa struttura economica.

 

La "dottrina della scienza": scopo e oggetto delle scienze storico-sociali

 

Lo scopo della scienza, per Weber, è quello di dire la verità, di descrivere e spiegare. Questo è anche lo scopo della storiografia, il cui interesse è puntato sulla configurazione reale, quindi individuale, della vita sociale; è, infine, anche lo scopo delle scienze sociali in genere, il cui interesse è rivolto alle uniformità riscontrabili nell'agire umano in quanto agire sociale, che è un agire determinato dal costante riferimento all'atteggiamento degli altri.
In Economia e società Weber distingue quattro tipi di agire sociale:
 - atteggiamento razionale in rapporto a un fine; quello, per esempio, dell'ingegnere che costruisce un ponte, o del generale che intende riportare la vittoria;
 - azione razionale rispetto ad un valore; quando il soggetto agisce razionalmente non per conseguire un risultato estrinseco, ma per rimanere fedele ad un valore, come nel caso del capitano della nave il quale cola a picco con la nave che affonda invece di abbandonarla;
 - azione affettiva; quella immediatamente dettata dallo stato d'animo o dall'umore del soggetto;
 - azione tradizionale; quella dettata da abitudini, costumi, credenze, diventate come una seconda natura.
Questi tipi di azione si ritrovano più o meno mescolati nella vita sociale, ma la loro classificazione è necessaria per potere interpretare a vita socíale.

 

Le scienze storico-sociali hanno lo scopo di descrivere e spiegare conformazioni storiche individuali e regolarità dell'agire sociale. Pertanto la quantificazione e la misura non sono scopi della scienza, ma procedimenti metodologici opportuni ma non costitutivi del sapere scientifico, il cui scopo è e resta la verità.
A fondamento delle scienze storico-sociali, poi, non si può porre (come hanno fatto in genere gli Storicisti) l'intuizione, vale a dire la penetrazione simpatetica (Einfühlung) e la possibilità di rivivere (Nacherleben) le esperienze (Erlebnisse) degli altri. Contro tale concezione, infatti, Weber fa notare:
 - che l'intuizione appartiene all'ambito del sentimento e non a quello della scienza controllata;
 - che l'esperienza vissuta non può sostituire i concetti, in quanto personale e refrattaria alle prove;
 - che, attraverso l'esperienza vissuta, non solo non possiamo riprodurre nella sua completezza un evento (in quanto l'Erlebnis opera sempre una selezione), ma nel tentativo di farlo, noi in realtà non faremmo altro che realizzare una nuova esperienza;
 - che l'esperienza vissuta, benché qua talis non sia una conoscenza scientifica, può tuttavia diventare scienza solo a patto che asserzioni o ipotesi prodotte vengano sottoposte alle regole consuete del metodo scientifico e superino le debite prove

 

Il "riferimento ai valori"

 

Abbiamo una "sola" scienza perché "unico" è il criterio di scientificità delle diverse scienze: si ha conoscenza scientifica — sia nelle scienze naturali che in quelle storico-sociali — quando riusciamo a produrre spiegazioni causali.
Però, non è difficile vedere che qualsiasi spiegazione causale non è altro che una visione frammentaria e parziale della realtà indagata (ad esempio le cause economiche della prima guerra mondiale). Siccome, inoltre, la realtà è infinita, sia estensivamente che intensivamente, è ovvio che la regressione causale dovrebbe andare dare all'infinito: gli effetti, per una conoscenza esauriente dell'oggetto sarebbero stabiliti "fin dall'eternità".
Noi, tuttavia, ci accontentiamo di certi aspetti del divenire, studiamo precisi fenomeni e non tutti i fenomeni, operiamo insomma una selezione sia dei fenomeni sia dei punti di vista attraverso cui li studiamo sia, di conseguenza, delle cause di tali fenomeni. Su tutto questo non possono esserci dubbi. Secondo Weber, che si avvale di una espressione presa a prestito da Rickert, tale selezione avviene in riferimento ai valori.
Il riferimento ai valori (Wertbeziebung) non ha nulla a che fare con un giudizio di valore, cioè con un apprezzamento di natura etica. Il giudizio che glorifica o che condanna, che approva o che disapprova, non ha posto nella scienza, proprio per la ragione che esso è soggettivo. D'altra parte, il riferimento ai valori non ha in Weber nulla da spartire con un qualche sistema obiettivo e universale di valori, un sistema in grado di esprimere una gerarchia di valori univoca, definitiva, valida sub specie aeternitatis.
Dilthey prende in considerazione la moderna "anarchia di valori" e accetta tale relativismo:

 

Chi vive nel mondo non può sperimentare in sé una lotta tra una pluralità di valori, valori dei quali ciascuno, preso per sé, appare impegnativo: dovrà scegliere quale di questi dèi vuole servire, ma sempre si troverà in conflitto con qualcuno degli altri dèi del mondo.

 

Weber, in campo etica propende per un "politeismo" dei valori.
Il riferimento ai valori, dunque, non equivale a pronunciare giudizi di valore ("questo è bene", "questo è giusto", "quello è sacrosanto"), né implica il riconoscimento di valori assoluti e incondizionati. È un principio di scelta, serve a stabilire quali siano i problemi, gli aspetti dei fenomeni, cioè il campo di ricerca in cui successivamente l'indagine procederà in maniera scientificamente oggettiva in vista della spiegazione causale dei fenomeni.
La realtà è sconfinata, anzi infinita, e i sociologo o lo storico trovano interessanti soltanto certi fenomeni e aspetti di questi fenomeni. Essi sono interessanti non per una loro qualità intrinseca ma solo in riferimento ai valori del ricercatore.

 

Senza le idee di valore del ricercatore non vi sarebbe alcun principio per la scelta della materia e alcuna conoscenza significativa del reale nella sua individualità. [...] la prostituzione è un fenomeno culturale, al pari della religione o del denaro; e tutti e tre lo sono in quanto e solamente in quanto, e nella misura in cui, la loro esistenza e la loro forma che storicamente assumono tocchino direttamente o indirettamente i nostri interessi culturali, ed in quanto essi suscitano il nostro impulso conoscitivo sotto punti di vista orientati in base a idee di valore, le quali rendono per noi significativo il settore di realtà che è pensato in quei concetti.

 

Da tutto ciò segue che spiegare causalmente un avvenimento nella sua individualità non significa riprodurlo tale e quale o spiegarlo causalmente nella totalità delle sue qualità individuali, il che sarebbe un compito non soltanto impossibile, ma anche in linea di principio privo di senso.
Allo storico spetta esclusivamente la spiegazione di elementi e di aspetti dell'avvenimento inquadrabile in un determinato punto di vista (o teoria). I punti di vista, poi, non sono dati una volta per tutte, infatti la variazione dei valori condiziona il variare dei punti di vista, suscita nuovi problemi, propone accostamenti inediti, scopre nuovi aspetti. Il fascio del maggior numero di punti di vista accertati e comprovati consente di farsi l'idea più esatta possibile di un problema.
Tutto questo, ancora una volta, mostra l'assurdità della pretesa per cui le scienze della a cultura potrebbero e dovrebbero elaborare un sistema chiuso dai concetti definitivi.

 

I punti di partenza delle scienze della cultura si protendono mutevoli nel più lontano futuro, finché nessun irrigidimento della vita spirituale non farà desistere l'umanità dal porre nuove questioni alla vita sempre parimenti inesauribile.

 

La teoria del "tipo ideale"

 

Spesso, ad avviso di Weber, il linguaggio dello storico o del sociologo funziona, diversamente da quello delle scienze naturali, più per suggestione che per esattezza.
Allo scopo di dare sufficiente rigore a tutta una gamma di concetti utilizzati nelle indagini storico-sociali, Weber ha proposto la teoria del "tipo ideale".

 

Il tipo ideale è ottenuto mediante l'accentuazione unilaterale di uno o di alcuni punti di vista, e mediante la connessione di una quantità di fenomeni particolari diffusi e discreti, esistenti qui in maggiore e là in minore misura, e talvolta anche assenti, corrispondenti a quei punti di vista unilateralmente posti in luce, in un quadro concettuale in sé unitario. Nella sua purezza concettuale questo quadro non può mai essere rintracciato empiricamente nella realtà; esso è un'utopia e al lavoro storico si presenta il compito di constatare in ogni caso singolo la maggiore o minore distanza della realtà da quel quadro ideale, stabilendo ad es. in quale misura il carattere economico dei rapporti di una determinata città possa venir qualificato concettualmente come proprio dell'economia cittadina.

 

Il "tipo ideale" è uno strumento metodologico o, se si vuole, un espediente euristico (=dí ricerca). In esso noi costruiamo un quadro ideale (per esempio di Cristianesimo, di economia cittadina, di capitalismo, dí Chiesa, di setta, ecc.) per poi misurarvi o compararvi la realtà effettiva controllando l'avvicinamento (Annäherung) o la deviazione di questa dal modello.
I concetti ideali-tipici sono uniformità limite.

 

La possibilità oggettiva; il peso delle cause in un avvenimento storico

 

La ricerca storica è individualizzante, riguarda cioè individualità storiche (la politica agraria romana, il diritto commerciale nel Medioevo, la nascita del capitalismo, le condizioni dei contadini nella Germania orientale dell'Elba, ecc.). Lo storico intende descrivere e rendere conto di tali individualità, spiegarle. Per spiegarle c'è bisogno di concetti universali e di regolarità generali appartenenti alle scienze nomologiche. Tra queste, viste come strumenti della spiegazione storica, Weber ha considerato in modo speciale la sociologia.
Per spiegare i fatti storici c'è bisogno di leggi, che lo storico prende soprattutto dalla sociologia che scopre "connessioni e regolarità" negli atteggiamenti umani.
Quando uno storico spiega un fatto, lo fa riferendosi in genere ad una costellazione di cause, ma non tutte hanno, ai suoi occhi, uguale peso.
A tale proposito Weber riporta ad alcuni giudizi dello storico Eduard Meyer, per il quale lo scoppio della seconda guerra punica è la conseguenza di una decisione volontaria di Annibale, come lo scoppio della guerra dei sette anni o della guerra del 1866 sono conseguenze rispettivamente di una decisione di Federico il Grande e di Bismarck; Mayer aveva anche asserito che la battaglia di Maratona fu di grandissima importanza storica per la sopravvivenza della cultura greca; e che, d'altra parte, le fucilate che nella notte del marzo 1848 diedero l'avvio alla rivoluzione a Berlino non furono determinanti per il fatto che, data la situazione nella capitale prussiana, qualunque incidente avrebbe potuto far scoppiare la lotta.
Giudizi del genere attribuiscono a certe cause un'importanza maggiore che ad altre. Tale disuguaglianza di significato tra i vari antecedenti del fenomeno è reperibile, per Weber, nella misura in cui lo storico, sulla base delle conoscenze e delle fonti a disposizione, costruisce o immagina uno sviluppo possibile, escludendo una causa al fine di determinarne il peso e l'importanza nel divenire effettivo della storia.
Lo storico, dunque, si pone almeno implicitamente delle domande sui risvolti possibili delle situazioni a seconda del peso attribuibile alle varie cause in esse implicate. Analogamente a un penalista, lo storico isola mentalmente una causa, escludendola dalla costellazione degli antecedenti per domandarsi successivamente se, senza di essa, il corso degli avvenimenti sarebbe stato uguale o diverso.
Si costruiscono, pertanto, possibilità oggettive cioè giudizi (fondati sul sapere a disposizione) su come le cose avrebbero potuto svilupparsi, per capire meglio come sono andate.

 

 

La "avalutatività"

 

La disputa sulla "avalutatività"

 

Weber distingue nettamente tra conoscere e valutare, tra giudizi di fatto e giudizi di valore, tra ciò che e ciò che deve essere. . Per lui la scienza sociale è avalutativa, nel senso che cerca la verità, ossia cerca di appurare come andarono i fatti e perché andarono così e non diversamente. La scienza spiega, non valuta.
Tale presa di posizione ha, all'interno del lavoro di Weber, due significati: uno epistemologico, consistente nella difesa della libertà della scienza da valutazioni etico-politico-religiose (una teoria scientifica non è né cattolica né protestante, né liberale né marxista); l'altro etico-pedagogico, consistente nella difesa della scienza dalle storture demagogiche dei cosiddetti "socialisti della cattedra", i quali subordinavano il valore della verità a valori etico-politici, subordinavano cioè la cattedra ad ideali politici.

 

Sulla questione della avalutatività Weber offre una lunga serie di valutazioni, così riassumibili:
 - il professore deve aver chiaro quando fa scienza e quando invece fa politica;
 - dato che lo studente — almeno a quei tempi — non è un interlocutore, Weber si chiede se l'inculcare dalla cattedra (giocando sul fatto di essere uno scienziato) le proprie idee politiche — senza che ci sia la possibilità del contraddittorio — non nasconda effettivamente un sopruso;
 - ammessa la distinzione tra scienza e politica, Weber afferma che ad esempio un anarchico, il quale nega per principio la validità delle convenzioni e del diritto, può essere un eccellente professore di diritto, proprio perché la sua intuizione può problematizzare concezioni che passano per "evidenti" agli occhi dei giuristi. E per questo Weber si oppose ai colleghi che rifiutavano di affidare una cattedra universitaria a professori socialisti o marxisti;
 - ciò che Weber non tollera è che si spaccino per verità scientifiche quelle che invece sono nulla più che opinioni personali o soggettive;
 - ammessa la specializzazione universitaria e la libertà di opinione, Weber non comprende come uno studioso provi il bisogno di inculcare in aula negli studenti, oltre la materia specifica che costituisce l'oggetto del suo insegnamento, anche una concezione del mondo, visto che non esiste specializzazione in profezia pedagogica;
 - il professore che mette nello stesso sacco analisi rigorosa e giudizio di valore personale acquista successo mortificando l'uditorio; infatti è facile giocare al riformatore laddove uno non deve fare i conti con le forze e le tensioni effettive da riformare;
 - allorché gli studenti sono costretti al silenzio (o al semi-silenzio per la paura dell'esame) si manca loro di riguardo e di lealtà, ostentando le proprie qualità e preferenze personali;
 - dato che la cattedra non permette parità agli interlocutori, la semplice onestà esige che il professore che vuole propagare i suoi ideali si serva dei mezzi che sono a disposizione di tutti i cittadini: riunioni pubbliche (dove non si è al riparo dal contradditorio), adesione ad una organizzazione, ad un circolo, ad un partito, uso della stampa, manifestazioni di piazza, ecc.;
 - il professore, una volta in cattedra, deve essere a servizio della verità e non dei gruppi di potere o dei gruppi di pressione;
 - qualora si pensasse che l'aula è luogo di dibattito ideologico, allora bisognerebbe concedere lo stesso diritto agli avversari; l'aula non è l'arengo per un solo interlocutore;
 - se il professore, durante una lezione, non potesse trattenersi dal produrre delle valutazioni, allora dovrebbe avere il coraggio e la probità di indicare agli allievi ciò che è puro ragionamento logico o spiegazione empirica e ciò che ha a che fare con apprezzamenti personali e convinzioni soggettive;
 - in sostanza, il professore non deve approfittare della sua posizione di professore per propagandare i suoi valori; i doveri del professore sono due: primo, di essere scienziato e d'insegnare agli altri a diventarlo; secondo, di avere il coraggio di mettere in discussione i suoi valori personali e di metterli in discussione là dove si può effettivamente discuterli e non dove si può facilmente contrabbandarli. Weber disdegnò nella sua vita di professore la facile formazione di gruppetti di amici di un professore, gruppetti d'amicizia che vanno a scapito della formazione scientifica degli allievi e della discussione critica dei valori del professore;
 - la scienza è distinta dai valori, ma da questi non separata: la scienza, una volta fissato lo scopo, può darci i mezzi più appropriati per raggiungerlo, può predire quali saranno le probabili conseguenze dell'impresa, può dirci quale è o sarà il "costo" della realizzazione del fine che ci siamo proposti, potrà mostrarci che certi fini, data una certa situazione di fatto, sono irrealizzabili o momentaneamente irrealizzabili, e ci potrà anche dire che il fine desiderato cozza contro altri valori, ma, in ogni caso, la scienza non ci dirà mai cosa dobbiamo fare. Ponendo questo interrogativo alla scienza, non avremo mai nessuna risposta perché abbiamo bussato alla porta sbagliata. La risposta dobbiamo cercarla ognuno in noi stessi, seguendo la nostra ispirazione o la nostra debolezza. Il medico può anche guarirci, ma non sta a lui, in quanto medico, stabilire se valga o meno la pena di vivere.