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CLASSE   V   -   Sintesi di Filosofia (3)

La Fenomenologia dello Spirito. La Coscienza

 

 

la fenomenologia dello spirito

 

La Ragione diviene speculazione filosofica perché si innalza a se stessa e all'assoluto; per costruire l'assoluto nella coscienza bisogna negare e superare le finitezza della coscienza, ed elevare l'io empirico a Io trascendentale, a Ragione e Spirito.
Tutto questo, però, non può avvenire di colpo.
Hegel è convinto che il passaggio dalla coscienza comune alla coscienza filosofica debba avvenire in modo mediato e non in modo romanticamente immediato. La Fenomenologia dello Spirito è stata concepita e scritta da Hegel proprio allo scopo di purificare la coscienza empirica ed innalzarla mediatamente fino allo Spirito e al Sapere assoluto.

 

La filosofia, per Hegel, è conoscenza dell'Assoluto in due sensi:
a) ha l'Assoluto come oggetto,
b) ha l'Assoluto come soggetto,
in quanto essa è l'Assoluto-che-si-conosce (si autoconosce tramite il filosofo).
L'Assoluto, pertanto, non è solo il fine a cui tende la fenomenologia, ma è anche il motore che eleva la coscienza. Nella Fenomenologia, perciò, l'uomo risulta coinvolto non meno dell'Assoluto medesimo. Nell'orizzonte hegeliano, infatti, non esiste il finito “staccato” dall'infinito, il particolare “separato” dall'universale, e quindi l'uomo non è staccato e separato dall'Assoluto, ma ne è parte strutturale e determinante, perché l'Infinito hegeliano è l'infinito-che-si-fa-mediante-il-finito, e l'Assoluto è l'essere che è eternamente rientrato in sé dall'essere altro.
Dunque, la “fenomenologia dello Spirito” è la via che conduce la coscienza finita all'Assoluto infinito, la quale coincide con la via che l'Assoluto ha percorso e percorre per giungere a Sé medesimo (il rientrare in sé dall'essere-altro).

 

Il termine “fenomenologia” deriva dal greco phainómenon, che significa il manifestarsi o l'apparire, e quindi vuol dire scienza dell'apparire e del manifestarsi. Questo apparire è l'apparire dello Spirito a differenti tappe, che, a partire dalla coscienza empirica, via via sale a livelli sempre più alti. La fenomenologia è la scienza dello Spirito che appare nella forma dell'essere determinato e dell'essere molteplice e che in una serie successiva di “figure”, ossia di momenti dialetticamente collegati fra loro, giunge al Sapere assoluto.

 

Nella Fenomenologia dello Spirito vi sono come due piani che si intersecano e si giustappongono:
1) c'è il piano costituito dalla via percorsa dallo Spirito per giungere a sé attraverso tutte le vicende mondo, che per Hegel è la via attraverso cui lo Spirito si è realizzato e si è conosciuto;
2) c'è anche il piano che è proprio del singolo individuo empirico che deve ripercorrere quella stessa via e appropriarsela.
La storia della Coscienza dell'individuo non può pertanto essere altro che il ripercorrere la Storia dello Spirito, come in un romanzo. Il singolo deve ripercorrere i gradi di formazione dello Spirito universale, che sono le tappe della storia della civiltà che la coscienza individuale deve riconoscere e riguadagnare.

 

La trama e le “figure” della Fenomenologia

 

Lo Spirito che si determina e appare è la coscienza nel senso lato del termine (cioè consapevolezza di qualcosa d'altro, interno o esterno che sia e di qualunque genere sia). Coscienza indica sempre un rapporto determinato di un “io” e di un “oggetto”, una relazione soggetto-oggetto. L'opposizione soggetto-oggetto è, dunque distintiva della coscienza.
L'itinerario della Fenomenologia consiste nella progressiva mediazione di questa opposizione fìno al suo totale superamento. Si può anche dire che lo scopo che Hegel persegue nella Fenomenologia sia il toglimento della scissione di coscienza e oggetto, e la dimostrazione che l'oggetto non è altro che il “sé” della coscienza, cioè autocoscienza.
L'itinerario fenomenologico percorre le seguenti tappe:
1) Coscienza (in senso stretto),
2) Autocoscienza,
3) Ragione,
4) Spirito,
5) Religione,
6) Sapere assoluto.
La tesi di Hegel è che ogni coscienza è auto-coscienza (nel senso che l'autocoscienza è la verità della coscienza); a sua volta che l'autocoscienza si scopre come Ragione (nel senso che la Ragione è la verità dell'auto-coscienza); infine, la Ragione si esprime pienamente come Spirito, che, tramite la Religione, nel Sapere assoluto raggiunge il suo vertice.
Ognuna di queste tappe è costituita di differenti momenti o “figure”, ognuna delle quali è presentata in modo tale da far vedere che la sua de-terminatezza è inadeguata, e che, quindi, costringe al passaggio nel suo opposto; questo, poi, supera il negativo del precedente, ma, a sua volta, sia pure a più alto livello, si mostra esso pure de-terminato, e quindi inadeguato, e costringe a passare oltre, e così via, secondo il ritmo dialettico. Hegel precisa che la molla di questa dialettica fenomenologica sta nell'ineguaglianza o nel dislivello tra la Coscienza o l'Io e il suo oggetto (che è il “negativo”) e nel superamento progressivo di questa ineguaglianza.
Il momento culminante di questo processo coincide con il momento in cui lo Spirito diventa oggetto a se stesso.

 

1) La tappa iniziale è costituita dalla Coscienza, intesa in senso gnoseologico (e quindi nella sua accezione più ristretta) che è quel tipo di coscienza che guarda e conosce il mondo come altro da sé e indipendente da sé.
Essa si dispiega nei tre momenti successivi, che portano ciascuno dialetticamente al seguente.
a) Nel momento della sensazione il particolare appare come verità, ma nel contempo esso appare come autocontradditorio, al punto che, per comprendere il particolare, bisogna passare al generale.
b) Nel momento della percezione l'oggetto parrebbe essere la verità; ma anch'esso è contraddittorio perché risulta uno e molti, ossia un oggetto con molte proprietà ad un tempo.
c) Nel momento dell'intelletto l'oggetto appare come un “fenomeno”, prodotto di forze e di leggi (categorie): e qui il sensibile si risolve nella forza e nella legge, che sono appunto opera dell'intelletto; così, la coscienza giunge a comprendere che l'oggetto dipende da qualcos'altro, ossia dall'intelletto, e dunque (in qualche modo) da sé medesima (l'oggetto si risolve nel soggetto).
In tal modo la coscienza diventa auto-coscienza (sapere di sé).

 

 

Le figure dell'Autocoscienza. La Ragione

 

2) La seconda tappa dell'itinerario fenomenologico è costituita dalla Autocoscienza che, attraverso i singoli momenti, impara a sapere che cosa essa sia propriamente.
L'autocoscienza si manifesta, dapprima, come caratterizzata dall'appetito e dal desiderio, ossia come tendenza ad appropriarsi delle cose e a far dipendere tutto da sé, a togliere l'alterità che si presenta come vita indipendente. Pertanto, l'autocoscienza esclude da sé astrattamente ogni alterità, considerando l'altro come inessenziale e negativo.
Immediatamente, tuttavia, deve uscire da questa posizione perché si scontra con altre autocoscienze, e di conseguenza nasce in maniera necessaria la “lotta per la vita e per la morte”, attraverso la quale soltanto l'autocoscienza si realizza (esce dall'astratta posizione dell'in sé e diviene per sé). Per Hegel, l'individuo che non ha messo a repentaglio la vita, può essere riconosciuto come persona (in astratto), ma non ha raggiunto la verità di questo riconoscimento come riconoscimento di autocoscienza indipendente. In effetti ogni autocoscienza ha bisogno strutturalmente dell'altra e la lotta deve aver come esito non la morte di una delle due, ma il soggiogamento di una all'altra.
a) Nasce, così, la distinzione tra padrone e servo, con la conseguente “dialettica”, che Hegel ha descritto in pagine divenute famosissime, sulle quali soprattutto i marxisti hanno più volte richiamato l'attenzione, fra le più profonde e più belle della Fenomenologia.
Il “padrone” ha rischiato nella lotta il suo essere fisico e nella vittoria è diventato, di conseguenza, padrone. Il “servo” ha avuto timore della morte e, nella sconfitta, per aver salva la vita fisica, ha accettato la condizione di schiavitù ed è diventato come una “cosa” dipendente dal padrone. Il padrone usa il servo e lo fa lavorare per sé, limitandosi a “godere” delle cose che il servo fa per lui. Ma, in questo tipo di rapporto, si sviluppa un movimento dialettico, che finirà col portare al rovesciamento delle parti. Infatti il padrone finisce col diventare “dipendente dalle cose” da indipendente quale era, perché disimpara a fare tutto ciò che fa il servo, mentre il servo finisce per diventare indipendente dalle cose, facendole. Inoltre il padrone non può realizzarsi pienamente come autocoscienza, perché lo schiavo, ridotto a cosa, non può rappresentare il polo dialettico con cui il padrone possa adeguatamente confrontarsi, invece lo schiavo ha nel padrone un polo dialettico tale che gli permette di riconoscere in lui la coscienza, perché la coscienza del padrone è quella che comanda e il servo fa quello che il padrone comanda.
La potenza dialettica del lavoro è, così, perfettamente individuata da Hegel. La coscienza servile, infatti, ritrova se medesima e si avvia a trovare il significato proprio nel lavoro, dove sembrava che essa fosse un significato estraneo.
L'autocoscienza giunge però a piena consapevolezza solo attraverso le tappe successive.
b) Lo Stoicismo rappresenta la libertà della coscienza la quale, riconoscendosi come pensiero, si pone al di sopra della signoria e della schiavitù, che sono per gli Stoici situazioni del tutto “indifferenti” (l'essere un padrone o un servo dal punto di vista morale non fa differenza). La coscienza stoica, quindi, è negativa verso la relazione signoria-schiavitù: il suo operare non è né quello del signore che trova la propria verità nel servo, né quello del servo che trova la propria verità nella volontà del signore e nel servizio resogli; anzi il suo operare è di essere libera sul trono (come Marco Aurelio) o in catene (come Epitteto).
Lo Stoicismo, tuttavia, volendo liberare l'uomo da tutti gli impulsi e da tutte le passioni, lo isola dalla vita e, di conseguenza, la sua libertà resta astratta, si ritrae entro sé e non supera l'alterità.
c) Lo Scetticismo, la tappa successiva, trasforma il distacco dal mondo in un atteggiamento di negazione del mondo. Lo Scetticismo, però, negando tutto ciò che la coscienza prendeva per certo, svuota, per così dire, l'Autocoscienza e la porta all'autocontraddizione e alla scissione tra sé e se stessa: l'autocoscienza scettica nega le cose che è costretta a fare e, negando la validità della percezione, percepisce, negando la validità del pensiero, pensa, negando i valori dell'agire morale, agisce secondo conformità ad essi.
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) La caratteristica della scissione diventa, quindi, esplicita nella Coscienza infelice, che è la coscienza di sé come “duplicata” o “sdoppiata”, ancora del tutto impigliata nella contraddizione. I due lati dello sdoppiamento sono l'aspetto immutabile e l'aspetto mutevole; il primo è fatto coincidere con un Dio trascendente il secondo con l'uomo. La Coscienza infelice (che abita due mondi) è il tratto che, secondo Hegel, caratterizza il Cristianesimo medievale. Questa coscienza ha soltanto una coscienza infranta di se stessa, perché cerca il suo oggetto in ciò che è in un al di là irraggiungibile; essa è sì collocata in questo mondo, ma è tutta rivolta all'altro mondo, con la conseguenza che ogni accostamento alla Divinità trascendente significa (per la Coscienza infelice) una propria mortificazione e un sentire la propria nullità (per questo motivo le pagine sulla Coscienza infelice sono state rese celebri dagli esistenzialisti, che ne hanno fatto oggetto di profonde meditazioni; qualcuno ha addirittura visto in questa “figura” la chiave per leggere l'intera Fenomenologia, in quanto la scissione ne è la caratteristica essenziale).

 

3) Il superamento del negativo che è proprio di questa scissione, cioè, secondo Hegel, il riconoscimento che la trascendenza in cui la Coscienza infelice vedeva la sola e vera realtà è non fuori bensì dentro di lei, porta ad una superiore sintesi, la quale si realizza sul piano della Ragione, la terza grande tappa dell'itinerario fenomenologico.
La Ragione nasce nel momento in cui la Coscienza acquisisce la certezza di essere ogni realtà: questa la posizione propria dell'idealismo.

 

 

La Ragione che osserva e la Ragione che agisce

 

Le tappe fenomenologiche della Ragione (o dello Spirito che si manifesta come Ragione) sono le progressive tappe dialettiche dell'acquisizione di questa certezza di essere ogni cosa, ossia dell'acquisizione dell'unità di pensare ed essere. Queste tappe ripetono, ad un livello più alto, come una spirale che sale in un movimento che ritorna sempre su di sé secondo cerchi sempre più ampi, i tre momenti precedentemente esaminati.
a) La Ragione che osserva la natura è costituita dalla scienza della natura, la quale si muove fin da principio sul piano della consapevolezza che il mondo è penetrabile dalla ragione, ossia è razionale (questa parte della Fenomenologia è oggi assai obsoleta, dato che i parametri che Hegel usa sono quelli della scienza del suo tempo, o addirittura di alcune pseudoscienze come la fisiognomica di Lavater e la frenologia di Gall, che egli confuta, ma senza che per noi tali confutazioni rivestano più alcun interesse). La tesi di fondo di questo momento consiste nel fatto che la ragione assume un interesse universale per il mondo, in quanto è certa di avere nel mondo la propria presenzialità, o è certa che la presenzialità sia razionale. La ragione cerca il suo Altro, sapendo che in ciò essa non possiederà nient'altro che se stessa; essa cerca soltanto la sua propria infinità. Le conclusioni di Hegel sono che la Ragione-che-osserva, dopo aver frugato in tutte le viscere delle cose, dopo averne aperte tutte le vene aspettandosi quasi di veder sgorgare se stessa, non otterrà alcun risultato, vedendosi costretta, eventualmente a ritrovarsi in una realtà fisica.
b) La Ragione, per trovare se stessa nel suo altro deve pertanto superare il momento “osservativo” e agire moralmente, ossia diventare Ragione che agisce, ripetendo ad un più alto livello (cioè al livello della certezza di essere ogni cosa) il momento dell'autocoscienza. L'itinerario della Ragione attiva consiste nell'iniziare a realizzarsi, dapprima, come individuo per elevarsi, alfine, all'universale, superando i limiti dell'individualità e raggiungendo la superiore unione spirituale degli individui. Dapprima, infatti, questa ragione attiva è consapevole di se stessa soltanto come di un individuo, e, come individuo, deve promuovere e produrre la propria effettualità nell'altro; ma poi, elevandosi alla coscienza all'universalità, l'individuo diviene ragione universale. La Ragione deve giungere ad attuarsi come singola autocoscienza, attraverso il riconoscimento dell'indipendenza delle altre autocoscienze e dell'unità con esse.
Le tappe di questo processo sono indicate da Hegel nelle seguenti figure:
 - dell'uomo che ricerca la felicità nel piacere e nel godimento, cioè l'uomo tutto proteso al piacere mondano e all'affermazione di sé, il quale fa esperienza dell'assoluta rigidità della singolarità che si polverizza nell'altrettanto dura ma continua realtà effettuale. L'individuo che vive in questa dimensione è destinato all'inesorabile fallimento, e fa l'amara esperienza, nel voler godersi e prendersi la vita tutta intera fino in fondo, che egli prendeva la vita, ma con ciò afferrava piuttosto la morte, perché in fondo al piacere c'è il nulla;
 - dell'uomo che segue la legge del cuore individuale, che al proprio piacere sostituisce il benessere dell'umanità; tale legge del cuore è singolarità che vuole essere immediatamente universale, ossia che manca del momento della mediazione, e dunque è negativa. Perciò chi si appella alla legge del cuore è destinato a scontrarsi sia con gli altri, che contrappongono leggi altrettanto singole del loro cuore, sia con il corso del mondo, che lo smentisce e gli mostra la negatività della sua posizione;
 - della virtù e dell'uomo di virtù, una virtù che, però, è ancora priva di realtà effettuale e quindi è ancora astratta. Essa pure si oppone al corso del mondo, nel senso che lo vorrebbe riformare, e di conseguenza esperimenta il proprio fallimento e la propria vanità.
c) La Ragione, sintesi dei due momenti precedenti, è data dall'autocoscienza che supera la sua opposizione rispetto agli altri e al corso del mondo, trovando in questi il proprio contenuto. Anche questa fase si realizza in tre momenti successivi:
 - quello rappresentato dall'uomo votato interamente all'opera che compie, che finisce con lo scambiare il fare stesso con la cosa da fare e col perdersi nell'operare puro che niente opera, mancando ancora una finalità;
 - quello della ragione legislatrice sotto forma di imperativi universali assoluti, che, tuttavia, in quanto genericamente universali e assoluti, risultano pure astrazioni;
 - quello della ragione esaminatrice o critica delle leggi, che trova la sua massima espressione nel formalismo etico kantiano, risultato comunque astratto.
Come momento conclusivo l'Autocoscienza scopre che la sostanza etica non è altro se non ciò in cui essa è già immersa, è l'ethos, il costume della società e del popolo in cui vive. Secondo Hegel, in un popolo libero, la ragione è attuata in verità, è spirito presente e vivente, nel quale l'individuo non solo trova espressa e data la sua destinazione (cioè la sua essenza universale e singola), ma è esso stesso questa essenza ed ha anche raggiunto la sua destinazione. Così, infatti, gli uomini più sapienti dell'antichità avevano scoperto che sapienza e virtù consistono nel vivere conformemente ai costumi del proprio popolo.

 

 

La nuova concezione della logica

 

 

LA LOGICA

 

La nuova concezione della logica

 

Sul piano del sapere assoluto è tolta ogni differenza fra “certezza” (che implica sempre un elemento di soggettività) e “verità” (che è sempre oggettività), fra “sapere” come forma e “sapere” come contenuto. Il sapere assoluto è esattamente questa coincidenza assoluta di forma e di contenuto e la Logica inizia e si svolge interamente su questo piano definitivamente guadagnato dalla Fenomenologia.

 

 

La logica dell'essere. Essere, non essere, divenire

 

La logica hegeliana, pertanto, diventa qualcosa di totalmente nuovo rispetto alla logica della tradizione aristotelica; essa non è più un puro organon (strumento) nel senso in cui lo era la logica formale. La logica di Hegel è, invece, lo studio della struttura dell'intero, dell'impalcatura dell'intero.
Tali espressioni vanno però intese in un senso dinamico, vale a dire nel senso che la logica è lo strutturarsi, o, meglio ancora, l'autostrutturarsi dell'impalcatura dell'intero.
La tesi di fondo della logica hegeliana, è infatti che “pensare” e “essere” coincidono e che, pertanto, la logica coincide con l'ontologia (ossia con la metafisica). È il pensiero stesso che, nel suo procedere, realizza se medesimo e il proprio contenuto (realizzando sé, realizza il proprio contenuto).

 

La logica hegeliana è, per così dire, una “filosofia prima” (in senso aristotelico) e quindi una “teologia” o una grandiosa “metafisica”. Le diverse categorie attraverso le quali essa via via si sviluppa, possono essere riguardate come successive definizioni dell'Assoluto.
Dalla prima triade, che esprime l'identità in senso speculativo di identità e non-identità, su su fino alle triadi più elevate, noi non abbiamo altro che definizioni più determinate e più ricche dell'Assoluto medesimo. Ogni categoria che si svolge triadicamente costituisce un anello via via più ampio della spirale.
La logica hegeliana può essere rappresentata come un dire la medesima cosa in maniera progressivamente più ricca (un dire, però, che coincide con un farsi sempre più ricco della cosa stessa che viene detta).
Il termine “teologia” non viene usato a caso o per arbitrio. È Hegel stesso a sostenere chiaramente che la logica è da intendersi come il sistema della ragione pura, come il regno del puro pensiero. Questo regno è la verità, come essa è in sé e per sé senza velo. La logica è l'esposizione di Dio, come egli è nella sua eterna essenza prima della creazione della natura e di uno spirito finito. Il Dio prima della creazione è in qualche modo un Dio minore rispetto allo Spirito dopo la creazione; in quanto rappresenta il momento della “tesi”, mentre il Dio dopo la creazione rappresenta il momento della “sintesi”. Il Dio della Logica è l'elemento puro del pensiero (il Lógos) che deve prima alienarsi nella natura per poi superare questa alienazione (negandola) e diventare Spirito.
Il Lógos, ossia il Dio quale era nella sua “eterna essenza” di cui parla la logica hegeliana non corrisponde quindi ancora al Motore immobile di Aristotele, che è Pensiero di pensiero, o al Nous (Cosmo noetico) plotiniano o agostiniano, perché non è ancora il massimo di realtà: questo sarà solamente lo Spirito. La logica, infatti, studia l'Idea “in sé”, mentre la filosofia dello Spirito studia l'Idea “in sé e per sé”, ossia nel suo “ritornare a sé”, dopo essersi “alienata” nella Natura.

 

Da ultimo resta da osservare che il Lógos della Logica, ossia l'Idea-in-sé, non è da concepirsi come una sorta di realtà unica e compatta, ma è, a sua volta, Sviluppo e Processo dialettico.
L'Idea “logica” è la totalità delle sue determinazioni concettuali nel loro dispiegamento dialettico, ossia la totalità dei concetti determinati e dei nessi che li legano e il loro passare dall'uno all'altro in cerchi sempre più alti fino al disvelamento totale della verità che è appunto l'Idea nel suo complesso.
Le tre principali tappe dell'imponente dispiegamento concettuale della Logica sono quelle che Hegel chiama “essere”, “essenza” e “concetto”.

 

 

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Nella logica dell'essere la dialettica procede in senso orizzontale, mediante passaggi che portano da un termine ad un altro termine che assorbe in sé il precedente; nella logica dell'essenza si ha invece come uno svilupparsi dei vari termini, e come un “riflettersi” reciproco di un termine nell'altro; nella logica del concetto, infine, ciascun termine prosegue nell'altro e in esso continua fino ad identificarsi (dialetticamente) con esso.
Nella logica dell'essere, per così dire, il pensiero procede come su un piano o su una superficie, nella logica dell'essenza il pensiero si approfondisce, ossia cresce secondo la dimensione della profondità, nella logica del concetto il pensiero raggiunge la compiutezza, ossia si attua secondo la dimensione della circolarità.

 

La logica dell'essere

 

La logica dell'essere si distingue in logica della qualità, della quantità e della misura.
a) La qualità è la determinazione concettuale più immediata che coincide con la cosa; infatti, pensando una cosa, la cogliamo immediatamente come “un quale”;
b) nella quantità la qualità viene “negata” e considerata come indifferente (il quanto prescinde dal quale);
c) la misura è la sintesi che toglie e mantiene i due momenti precedenti, in quanto si pone come l'unità del qualitativo e del quantitativo, ossia come “quanto qualitativo”, vale a dire come “regola” di ogni operazione di misura (e la regola della misura è appunto sintesi quali-quantitativa).

 

Il cominciamento assoluto della Logica è costituito dalla prima triade con cui inizia il movimento logico della prima categoria (ossia la categoria della qualità) e costituisce il punto più discusso di tutta la logica hegeliana.
Questa triade è costituita da essere, non essere e divenire.
Per la sua interpretazione bisogna costantemente tenere conto del fatto che in Hegel pensiero e realtà coincidono e che il movimento essere/non-essere/divenire è lo stesso movimento e del reale e del pensiero.
Ecco come avviene questo passaggio triadico.
a) Se penso il puro essere (essere privo di qualunque determinazione),
b) penso, al limite, qualcosa che non è nulla (di determinato). Il vuoto pensare non è ancora un vero pensare.
c) Il pensiero è movimento, e come tale si effettua come divenire, e il divenire suppone appunto continuo passaggio dall'essere al non-essere (e viceversa). Il divenire, pertanto, è la verità del pensare (se immobilizzassimo il pensiero, cesseremmo di pensare), così come è la verità del reale.
Essere e nulla sono, così, “superati” nella loro sintesi, e solo in questa hanno realtà (come già Eraclito, sia pure su un piano puramente oggettivistico, aveva sostenuto: pánta réi).

 

Il divenire (ossia la prima triade dialettica) sfocia nell'esserci, ossia nel a) qualcosa (di determinato), che, come tale (nella misura cioè in cui ogni determinazione è negazione), non è tutte le altre cose (tesi). b) In questo modo il “qualcosa” richiama un qualcos'altro (antitesi). c) Si ha quindi (sintesi) un divenire a un livello più alto rispetto a quello della precedente triade, ossia un divenire determinato e differenziato.
Il “qualcosa” rimanda, per sua stessa natura, consistente nell'essere determinato, a “qualcos'altro”, ossia ad un altro “qualcosa”, e questo ad un altro ancora, e così via, all'infinito.
L'infinito che in tal modo viene a configurarsi non è se non una “fuga del finito”, che progredisce in linea retta senza termine. Questo, secondo Hegel, non è affatto “il vero infinito”, ma solamente “il falso infinito” proprio dell'intelletto, ed è quel tipo di infinito al quale Fichte è rimasto ancorato.
Il “vero infinito”, invece, è l'infinito della ragione, il quale non è come una retta che prosegue senza termine, ma come un circolo, o meglio come un processo circolare che consiste nel giungere a sé nel proprio altro.
Il vero infinito è il processo dialettico, la negazione della negazione, l'affermativo, l'essere che si è di nuovo ristabilito dalla limitatezza.
Un altro falso modo di intendere l'infinito è poi quello della vecchia metafisica che lo concepisce come “al di là” e “al di sopra” del finito, ossia come infinita sostanza trascendente.
Dunque, l'infinito non andrà inteso né come indefinito andare al di là del finito (da finito a finito), né come trascendenza (l'infinito come totalmente altro dal finito), ma come continuo superamento dialettico della finitudine. Per Hegel il finito non ha in se stesso una vera realtà, pertanto il suo destino è quello di farsi (dialetticamente) infinito. Il finito è negativo, è “mesto”, è qualcosa di non-reale; l'Idealismo si fonda per intero su questa consapevolezza:

 

«La proposizione, che il finito è ideale [non ha realtà di sé], costituisce l'idealismo. L'idealismo della filosofia consiste soltanto in questo, nel non riconoscere il finito come un vero essere. Ogni filosofia è essenzialmente idealismo, o per lo meno ha l'idealismo per suo principio, e la questione non è allora se non di sapere fino a che punto cotesto principio vi si trovi effettivamente realizzato. La filosofia è idealismo com'è idealismo la religione. Perocché nemmeno la religione riconosce la finità come un vero essere, come un che di ultimo ed assoluto, o come un che di non posto, d'increato, di eterno. L'opposizione di filosofia idealistica e realistica è quindi priva di significato. Una filosofia che attribuisce all'esistere finito, come tale, un vero essere, un essere definitivo, assoluto, non meriterebbe il nome di filosofia ».

 

La logica dell'essenza

 

La logica dell'essenza procede a scavare in profondità, per trovare le radici dell'essere. Anzi, è l'essere stesso (che coincide con il pensiero che lo pensa) che si ripiega e si approfondisce riflettendo su se medesimo.
In tedesco essenza si dice Wesen, che deriva dal participio passato del verbo essere gewesen e significa in un certo senso l'essersi riflesso e ripiegato su di sé dell'essere medesimo, quasi condensandosi in sé.
La logica dell'essenza studia il pensiero che vuol vedere che cosa c'è sotto la superficie dell'essere, e arrivare al fondo di esso.

 

 

La logica dell'essenza e del concetto.

Attraverso le tre categorie principali:
 - “riflessione”, il ritrovamento della ragione di esistenza nell'essenza (come ragione formale e sufficiente),
 - “fenomeno”, il relativizzarsi dell'esistenza rispetto al divenire,
 - “realtà in atto”, come ciò che man mano diviene,
Hegel studia le tappe nelle quali il fondo dell'essere (l'essenza), progressivamente, prima
 - pare,
 - appare
 - si manifesta pienamente.

 

In questa parte della logica trovano posto le discussioni sul principio di identità e su quello di non-contraddizione, di cui Aristotele aveva fornito la prima trattazione (e conseguentemente anche sul leibniziano principio di ragion sufficiente).
Come sono stati formulati da Aristotele e codificati dalla logica posteriore, secondo Hegel, questi principi rappresentano il punto di vista dell'intelletto, astratto e unilaterale, ma non il punto di vista della ragione, il solo punto di vista della verità. Scrive Hegel:

 

«Il principio di identità suona [ ... ]: tutto è identico a sé: A = A; e, negativamente, A non può essere al tempo stesso A e non A. Questo principio non è una vera legge del pensiero, ma semplicemente la legge dell'intelletto astratto».

 

La vera identità, per Hegel, non deve essere intesa nel modo sopra indicato, ma come identità che include le differenze. La vera identità è quella che dialetticamente si realizza togliendo e mantenendo le differenze, e che pertanto implica l'identità nella distinzione e la distinzione nell'identità.
Per quanto poi riguarda la rilevanza della “contraddizione”, essa è per Hegel la molla della dialettica, ed è, di conseguenza, assolutamente necessaria.

 

«Si dovrebbe dunque dire: tutte le cose sono in se stesse contraddittorie, e ciò propriamente, nel senso che questa proposizione esprima anzi, in confronto delle altre, la verità e l'essenza delle cose. [...] è uno dei pregiudizi fondamentali della vecchia logica e dell'ordinaria rappresentazione, che la contraddizione non sia una determinazione altrettanto essenziale ed immanente quanto l'identità. Invece, quando si dovesse parlare di un ordine di precedenza e si dovessero tener ferme le due determinazioni come separate, bisognerebbe prendere la contraddizione come la più profonda e la più essenziale. Poiché di fronte ad essa l'identità non è che la determinazione del semplice immediato, del morto essere; la contraddizione invece è la radice di ogni movimento e vitalità; qualcosa si muove, ha un istinto e un'attività, solo in quanto ha in se stesso una contraddizione».

 

Tutto questo può essere anche espresso dicendo che solo l'Infinito è l'incontraddittorio, e lo è in quanto perenne superamento della contraddittorietà del finito (l'incontraddittorio è solamente il dialettico “superamento” della contraddizione).

 

In questa parte della logica si trova anche la difesa della prova ontologica (a priori) dell'esistenza di Dio, presentata per la prima volta da S. Anselmo, più volte ripresa da diversi filosofi, e poi criticata da Kant. Secondo Hegel, le critiche di Kant non reggono, visto che, data la coincidenza di pensiero e realtà, pensare Dio senza pensarlo esistente è strutturalmente impossibile.
Altre figure teoretiche trattate da Hegel in questa parte della Logica sono quelle di sostanza-accidente, la cui “verità” Hegel vede rispecchiata nella superiore coppia di concetti di causa-effetto, da cui egli muove per giungere alle conclusioni ultime della logica dell'essenza. Ogni effetto, infatti, è a sua volta causa, all'infinito. Questo infinito, però, cessa di essere semplice progressione rettilinea, ripiegandosi su di sé circolarmente. Si ha, così, l'azione reciproca in cui causa ed effetto, ossia attivo e passivo, si identificano: l'azione reciproca implica l'autocausazione, e quindi la “libertà”, in cui il soggetto coglie se stesso. Si passa, così, dall'essenza al “concetto”.

 

La logica del concetto

 

Con la sezione dedicata alla logica del concetto si passa a quella che Hegel ha chiamato “logica soggettiva”, rispetto alle prime due sezioni di “logica oggettívà”.
”Soggettívo” significa qui in modo altamente positivo, nel senso, cioè, di logica che introduce nella superiore sfera del Soggetto. Come la verità dell'essere è l'essenza, così la verità dell'essenza è la ragione. Il Soggetto, qui, scopre che la realtà è il Soggetto stesso (cosa, questa, già acquisita nella Fenomenologia) e scopre anche il perché di ciò.
La logica hegeliana del concetto è la logica condotta dal punto di vista di quello che Kant aveva intravisto con il suo “Io penso”, già sviluppata da Fichte, e qui non solo ulteriormente approfondita, ma portata alle sue conseguenze estreme.
Tutto viene visto, ora, come un autodíspiegarsí dialettico del Soggetto, che è tutta la realtà.
“Concetto” significa qui, per Hegel, l'intero risultato del movimento logico fin qui raggiunto. Il “concetto” sarebbe l'Io penso che si autocrea, e autocreandosi crea tutte le determinazioni logiche. Non intende, cioè, quello che con “concetto” si intende dal punto di vista dell'intelletto, bensì quello che si intende dal superiore punto di vista della ragione. Siamo, dunque, su un piano nuovo:

 

«Nella logica dell'intelletto si suole considerare il concetto come una semplice forma del pensiero, e, più precisamente, come una rappresentazione universale; a questa concezione subordinata del concetto si riferisce l'affermazione, tanto spesso ripetuta da parte di coloro che si richiamano alla sensazione e al cuore, che i concetti come tali sarebbero qualcosa di morto, di vuoto e di astratto. In effetti è vero proprio il contrario, ed il concetto è piuttosto il principio di ogni vita e quindi, al tempo stesso, l'assolutamente concreto. [...]. Per quanto riguarda poi l'opposizione tra forma e contenuto fatta valere nei confronti del concetto, come qualcosa che si pretende sia soltanto formale, tale opposizione, insieme a tutte le altre opposizioni fissate dalla riflessione, possiamo dire di averle già lasciate indietro in modo dialettico, cioè come superate da se stesse, ed è proprio il concetto che contiene in sé come superate tutte le determinazioni precedenti del pensiero. Certamente il concetto va considerato come forma, ma soltanto come forma infinita, creatrice, che racchiude in sé la ricchezza di ogni contenuto e, al tempo stesso, la licenzia da se stessa. Così pure il concetto può certamente essere chiamato astratto, se per concreto si intende soltanto ciò che è sensibilmente concreto, in generale, ciò che può essere percepito immediatamente; ma il concetto come tale non si lascia prendere con le mani, quando si tratta del concetto, il vedere e il sentire devono ormai esser rimasti indietro. Ugualmente il concetto [...] è, al tempo stesso, l'assolutamente concreto, e, precisamente, lo è in quanto contiene in sé in unità ideale l'essere e l'essenza, e quindi l'intera ricchezza di queste due sfere. [...] l'assoluto è il concetto. Certo in questo caso bisogna intendere il concetto in un senso diverso e più alto di quello proprio della logica dell'intelletto, secondo la quale il concetto viene considerato soltanto come una forma del nostro pensiero soggettivo, in sé priva di contenuto».

 

Il concetto è ciò che forma e crea, è assoluta negatività, nel senso che è negazione di ogni determinazione e di ogni finitudine e superamento delle medesime (è quindi assoluta negatività che si, risolve in assoluta positività), è il nome più ricco e più adeguato (fino a questo momento del processo logico) per esprimere l'Assoluto.
È evidente che, mutando in maniera così radicale il significato del concetto sul piano della Ragione, anche il “giudizio” e il “sillogismo” (strettamente legati al concetto) dovranno acquistare essi pure un senso completamente nuovo.
Nel contesto della logica hegeliana della Ragione, infatti, il “giudizio” coincide con il significato della “proposizione speculativa”, in cui l'è della copula identità dinamica di soggetto e predicato, mentre il termine più importante diventa il predicato (e non più il soggetto) della proposizione, perché esprime l'universale, mentre il soggetto esprime l'individuale. Il giudizio esprime, dunque, l'individuale nel suo farsi universale.
Il sillogismo, poi, rappresenta l'unità dei tre momenti: l'universalità, la particolarità (o specificità) e l'individualità con il preciso nesso che li lega. Il sillogismo (nel nuovo uovo senso hegeliano) è l'universale che, tramite il particolare (la specie), si individualizza, ma anche, viceversa, l'individuo che, tramite il particolare (la specie), si universalizza. Per esempio l'animale (= universale) tramite la specie uomo (= particolare) si individualizza (per esempio in Carlo, in Luigi, ecc.); e, viceversa, ogni singolo uomo (= individuo) attraverso la specie uomo (= particolare) tende all'universale espresso dall'animale.
Hegel, quindi, sostiene la tesi (assolutamente paradossale per la vecchia logica, ma ovvia nel contesto della nuova) secondo cui ogni cosa è un sillogismo. Il suo stesso sistema, d'altronde, è concepito come un gigantesco sillogismo in cui i tre momenti, l'Idea logica, la Natura e lo Spirito, sono i tre termini del sillogismo medesimo, che dinamicamente si mediano.
Grandiosi sillogismi, poi, sono per Hegel i dogmi centrali del Cristianesimo, in cui è espressa l'idea dell'universale che mediatamente si lega all'individuale.

 

A conclusione della logica, dunque, possiamo affermare che l'Idea è il Concetto che si è autorealizzato pienamente e quindi la totalità dei momenti di questa realizzazione, vista come processo e risultato dialettico. L'Idea è la totalità delle categorie della logica e dei loro nessi dispiegati.

 

 

La filosofia della natura

 

 

la filosofia della natura

 

 

La logica è la rappresentazione di Dio, com'egli è nella sua eterna essenza prima della creazione della natura e di uno spirito finito.
Quello che ora manca è, appunto, la "creazione della natura" e poi di uno "spirito finito".
Il passaggio dell'Idea alla Natura può essere considerato il punto più problematico della filosofia di Hegel, visto che nel sistema di Hegel tutto è Idea e nell'Idea, e quindi la creazione della natura non può voler dire il sopravvenire di qualcosa che sia altro dall'Idea stessa e separato dall'Idea.
La ragione di questa difficoltà dipende soprattutto dal fatto che in questa fase del sistema confluiscono una serie di suggestioni teoretiche di diversa provenienza che Hegel fatica a dominare e che mettono capo a numerose aporie, che lo schema dialettico in parte riesce a unificare, ma non riesce a dominare e risolvere.

 

Gioca in primo luogo la suggestione della processione dialettica del Neoplatonismo, come manenza (moné), uscita (próodos) e ritorno (epistrophé). A ciò si aggiungono i dogmi della teologia cristiana della creazione, dell'incarnazione, passione, morte e risurrezione di Cristo, che Hegel intende come verità razionali cosmiche.
Lo Spirito deve affrontare la "morte" per conservare attraverso la morte il suo essere, per cui la Natura sarebbe il momento della "morte" (dell'Idea), che viene poi superato in una vita più alta (1'Idea che "risorge" è lo Spirito).
Infine, incide la concezione tipicamente romantica del farsi estraneo dello Spirito a sé medesimo come una sorta di auto-illusione, allo scopò di prendere consapevolezza di sé e di realizzarsi pienamente.

 

La Natura sarebbe, dunque, il momento della auto-illusione dell'Idea.
Lo schema dialettico cerca di ridurre ad unità queste suggestioni, intendendo l'Idea come tesi, la Natura come antitesi (secondo momento negativo-dialettico, autonegazione dell'Idea), da cui dovrà poi scaturire il terzo momento della sintesi (momento positivo-dialettico o speculativo), ossia lo Spirito, in cui, attraverso la negazione della negazione, si realizza il momento della massima positività.

 

Il superamento della visione rinascimentale e romantica della Natura e i suoi gradi dialettici

 

La natura per Hegel non è da divinizzare; non bisogna considerare sole, luna, animali e piante ecc., quali opere di Dio, a preferenza dei fatti e delle cose umane.
La natura, considerata in sé, nell'idea, è divina, ma nel modo in cui essa è, il suo essere non risponde al suo concetto: essa è, anzi, la contraddizione insoluta. Il suo carattere proprio è di esser posta come negazione, inadeguata a sé stessa; nella natura, infatti, ogni forma manca per sé del concetto di sé stessa.

 

 

 

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Distinguiamo:
 - la "meccanica", che studia la corporeità universale, l'esteriorità spaziale;
 - la "fisica", in cui, soprattutto con la luce, si ha un superamento dei caratteri propri della massa, puramente meccanica, la cui rigidità si scioglie via via nei processi magnetici, elettrici e chimici;
 - la "organica", in cui la natura si interiorizza e nasce la vita.
Hegel dimostra di avere precisa conoscenza delle dottrine scientifiche dei suoi tempi, ma stupisce la dose di arbitrarietà con cui tratta questo materiale, ritornando addirittura a metodi e motivi di indagine pregalíleíani e prenewtoniani.
Comunque sia, la Natura è concepita da lui come un sistema ascensivo di gradi, che sono fissi e stabili, mentre si evolve lo Spirito che sottosta a queste forme.
Hegel nutriva una profonda avversione per le dottrine newtoniane; già nel periodo giovanile, nella dissertazione De orbitis planetarum (Le orbite dei pianeti) con cui aveva conseguito la docenza, ironizzava sulle calamità che la mela aveva procurato all'uomo: il peccato di Adamo ed Eva, la guerra di Troia (col famoso pomo della discordia) e la legge di gravitazione (che, come è noto, si dice che Newton avesse scoperto in conseguenza della caduta di una mela sulla sua testa, mentre sedeva sotto un albero).

 

 

 

Lo Spirito soggettivo e lo Spirito oggettivo: il Diritto

 

 

La filosofia dello Spirito

 

 

Lo Spirito è l'Idea che "ritorna a sé" dalla sua alterítà, è l'idea in sé e per sé.
Nello Spirito soprattutto si rende manifesta la "circolarità" dialettica del sistema. Come momento dialetticamente conclusivo, ossia come risultato del processo (dell'auto-processo) lo Spirito è la più alta manifestazione dell'Assoluto.
L'assoluto è lo Spirito, esso è il corrispettivo filosofico di ciò che nella religione corrisponde a "Dio": è l'autorealizzarsi e l'autoconoscersi di Dio.
Mentre l'Idea è il mero concetto di sapere e quindi la "possibilità logica" dello Spirito, lo Spirito è l'attualizzazione o la realizzazione di questa possibilità. Lo Spirito è la vivente attualizzazione e autoconoscenza dell'Idea.
In tal senso lo Spirito è ultimo solamente per il nostro modo di esprimerci, ma in effetti è il primo, e, in questa ottica, Idea logica e Natura vanno visti come ideali momenti dello Spirito, non separati e non scissi, ma come poli dialettici di cui lo Spirito è la sintesi vivente.

 

Anche la filosofia dello Spirito è strutturata in maniera triadica; distingue infatti tre momenti:
 - un primo in cui lo Spirito è sulla via della propria autorealizzazione e autoconoscenza (Spirito soggettivo),
 - un secondo in cui lo Spirito si attua da sé pienamente come libertà (Spirito oggettivo),
 - un terzo in cui lo Spirito si autoconosce pienamente e si sa come principio e come verità di tutto, ed è come Dio nella sua pienezza di vita e di conoscenza (Spirito Assoluto).

 

 

 

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Lo Spirito soggettivo

 

L'Idea che ritorna in sé è dunque l'emergere dello Spirito, che dapprima si manifesta ancora legato alla finitudine.
Non è, tuttavia, lo Spirito che si manifesta nel finito, ma, viceversa, è la finitudine che appare dentro lo Spirito. Riprendendo in qualche modo Fichte, Hegel sostiene che si tratti di un'apparenza che lo spirito pone davanti a sé come una barriera, per potere, mediante il suo superamento, possedere e sapere per sé la libertà come sua essenza.

 

Le tappe dello Spirito soggettivo sono:
 - l'antropologia, che è studio dell'anima, considerata nella sua fase aurorale come il sonno dello spirito o come l'aristotelico "intelletto potenziale",
 - la fenomenologia, che riprende alcune tematiche dell'opera omonima e che porta dalla coscienza attraverso l'autocoscienza alla ragione (la quale, come consapevolezza di essere tutte le cose, è Spirito, sia pure non ancora dispiegato interamente),
 - la psicologia, che studia lo spirito teoretico (che conosce gli oggetti come altro da sé), lo spirito pratico (come attività che modifica gli oggetti), lo spirito libero come sintesi dei primi due momenti.

 

Lo Spirito soggettivo è la parte che ad Hegel interessa di meno rispetto alle due che seguono. Tuttavia, vale la pena di rilevare che Hegel rivaluta il trattato Sull'anima di Aristotele, affermando che, circa le tematiche concernenti l'anima, esso costituisce ancora l'opera migliore e forse l'unica d'interesse speculativo. Perciò Hegel riprende molti temi di Aristotele inserendoli nella sua trama "speculativa".

 

A proposito della sensazione, che Hegel intende come una interiorizzazione della corporeità, ritiene che l'adagio aristotelico-scolastico tradizionale secondo cui nihil est in intellectu, quod prius non fuerit in sensu (nulla alberga nell'intelletto senza essere stato primariamente nel senso) è vero solo a metà, in quanto la filosofia speculativa (l'idealismo) afferma che, viceversa nihil est in sensu quod prius non fuerit in intellectu (nulla alberga nel senso senza essere stato primariamente nell'intelletto), visto che è lo Spirito la causa del sensibile e della sensazione.

 

Lo Spirito soggettivo, comunque, al di là dell'interesse hegeliano per i suoi momenti, termina con l'emergere della libertà.
Ora, nota lo Hegel, l'idea dell'uomo come realmente libero non c'è stata né in Oriente né in Grecia né a Roma, ma si è venuta manifestando nel mondo per opera del Cristianesimo, per il quale l'individuo come tale ha valore infinito, ed essendo oggetto e scopo dell'amore di Dio, è destinato ad avere relazione assoluta con Dio come Spirito, e far sì che questo spirito dimori in lui, destinato com'è alla somma libertà.
Il Cristiano, però, sa che lo Spirito divino entra nella sfera dell'esistenza mondana. Qui, dunque, si colloca il passaggio Spirito soggettivo a quello oggettivo, che è appunto lo Spirito che entra nel mondo come sostanza del medesimo, e che Hegel interpreta non più in chiave religiosa semplicemente, ma in chiave filosofico-concettuale.

 

Lo Spirito oggettivo

 

Lo Spirito oggettivo si realizza nelle istituzioni della famiglia, nelle consuetudini e nei precetti della società, nelle leggi dello Stato; è l'ethos che alimenta la vita etico-politica, è la storia "che si fa".
Lo Spirito oggettivo è un elemento della vita in cui noi tutti ci troviamo e al di fuori del quale non abbiamo alcuna esistenza, è , per così dire, l'aria spirituale in cui respiriamo.
Si tratta dell'atmosfera in cui nascita, educazione e circostanza storica ci pongono e ci lasciano crescere; è quel qualcosa di universale che nella cultura, nei costumi, nella lingua, nelle forme del pensiero, nei pregiudizi e nelle valutazioni predominanti conosciamo come potenza superindividuale e tuttavia reale, nei cui confronti il singolo si presenta quasi senza potere e senza difesa, poiché penetra, porta e caratterizza la sua essenza come quella di tutti gli altri. Questo qualcosa è un medium attraverso cui vediamo, comprendiamo, giudichiamo, utilizziamo, trattiamo ogni cosa. Tuttavia, ben più che un medium, è qualcosa che dà struttura, forma e guida, esistendo in noi stessi.
Si parla, per esempio, di un "sapere del nostro tempo". A questo sapere il singolo partecipa, imparando vi si orienta, ma tale sapere non si risolve mai nel sapere del singolo. Innumerevoli intelligenze vi collaborano, ma nessuna lo dice certamente suo. Tuttavia è qualcosa di totale, di comprensivo, che si sviluppa unitariamente, una realtà con ordinamento e leggi proprie. Non ha spazio in nessuna coscienza singola; tuttavia si tratta di un elemento specificamente spirituale, essenzialmente differente da ogni dimensione cosale, materiale. E con ciò è assolutamente reale, dotato di tutto quel che appartiene alla realtà: nascita nel tempo, crescita, sviluppo, culmine e decadenza. Gli individui sono i suoi portatori. Ma la sua realtà non è quella degli individui, come la sua vita e la sua durata sono diverse dalla loro vita e durata. Continua a sussistere nell'avvicendarsi degli individui, è una realtà spirituale, un essere sui generis.

 

Lo Spirito oggettivo è il momento della realizzazione della libertà in un ordine intersoggettivo, che via via si allarga in gradi e in momenti dialettici successivi che Hegel indica:
 - nel "Diritto",
 - nella "Moralità",
 - nell"'Eticità".

 

Moralità ed Eticità; lo Stato e la storia

 

La volontà libera (culmine dello Spirito soggettivo), dice Hegel, per non rimanere puramente astratta, deve darsi un'esistenza, ossia concretizzarsi, e la materia più immediata in cui ciò avviene è costituita dalle cose e dagli oggetti esterni.
Nasce in questo modo il diritto e ciò che ad esso è connesso.
Questa prima maniera della libertà è quella che conosciamo come proprietà, la sfera del diritto formale e astratto in cui rientrano non meno la proprietà nel suo aspetto mediato, in quanto contratto, e il diritto nella sua violazione, in quanto delitto e pena.
La libertà, considerata a questo livello, è ciò che chiamiamo persona (in senso giuridico), cioè il soggetto che è libero per sé stesso e che si dà un'esistenza nelle cose.
Questa forma di esistenza immediata, tuttavia, è inadeguata alla libertà, appunto in quanto immediata ed esteriore. Questa immediatezza ed esteriorità va pertanto negata e superata, ossia mediata e interiorizzata

 

A questo punto nasce la moralità, il secondo momento dello Spirito oggettivo.
Nella moralità, spiega Hegel, il soggetto non è più semplicemente libero in una cosa (immediata), ma è tale anche eliminata l'immediatezza (cioè la cosa), cioè è tale in se stesso, nella sfera soggettiva.
In questa sfera le cose esteriori sono poste come indifferenti e ciò che conta è il giudizio morale, la volontà, la forma di universalità cui è ispirata la regola dell'agire. È, questa, la sfera della volontà soggettiva, di cui è esempio paradigmatico l'etica kantiana, alla quale però Hegel rimprovera di essere unilaterale, perché rinchiude l'uomo nel suo "interno". Questa unilateralità va dunque tolta e superata mediante la realizzazione esterna e concreta della volontà.

 

Entriamo, così, nel momento della eticità, che è la sintesi dei due precedenti momenti.
È il momento in cui il volere del soggetto si realizza volendo fini concreti, operando in tal modo la mediazione di soggettivo e di oggettivo.
Occorre notare che, mentre fino ad Hegel i termini morale ed etica sono sinonimi, distinguibili soltanto filologicamente a partire dalle loro radici latina e greca (mos ed éthos che significano "costume"), con Hegel acquisiscono significati differenti, relativi, appunto, alla sfera dell'interiorità virtuosa e alla realizzazione concreta nella realtà.
L'eticità si realizza a sua volta dialetticamente nei tre momenti
 - della "famiglia",
 - della "società"
 - dello "Stato".
L'eticità è l'unità del volere nel suo concetto e del volere del singolo, cioè del soggetto.
La sua prima esistenza è qualcosa di naturale, nella forma dell'amore e del sentimento, vale a dire la famiglia; in essa l'individuo annulla la propria ritrosa personalità, e si trova, con la sua coscienza, in una totalità.
Al grado seguente, però, avviene la perdita dell'eticità particolare, e dell'unità sostanziale: la famiglia si disgrega, e i componenti si comportano l'un verso l'altro come indipendenti, poiché in essa li lega soltanto il bisogno reciproco. È questo il grado della società civile, frequentemente scambiato con lo Stato.
Lo Stato è il livello di eticità nel quale ha luogo la prodigiosa unione dell'autonomia dell'individualità e della sostanzialità universale. Quindi il diritto dello Stato è più alto degli altri gradi, è la libertà nella sua concreta formazione, la quale cede, ancora, soltanto alla suprema assoluta verità dello spirito universale.
I fini che la volontà libera vuole nella fase dell'eticità sono, dunque, i fini concreti che la vivente realtà della famiglia pone, che la società con le sue molteplici esigenze indica, che lo Stato con le sue leggi vuole.

 

Mediante lo Stato e attraverso la dialettica che si istituisce fra gli Stati si realizza la storia, che per Hegel è una vera e propria teofania, ossia la manifestazione-realizzazione dello Spirito oggettivo.
Lo Stato, come sintesi di diritto e di moralità e come inveramento della famiglia e della società è l'Idea stessa che si manifesta nel mondo; è, dice addirittura Hegel, «l'ingresso di Dio nel mondo», un «Dio reale»:

 

Lo Stato, in sé e per sé, è la totalità etica, la realizzazione della libertà; ed è finalità assoluta della ragione che la libertà sia reale. Lo Stato è lo Spirito che sta nel mondo, e si realizza nel medesimo con coscienza, mentre, nella natura, esso si realizza soltanto in quanto altro da sé, in quanto spirito sopito. Solamente in quanto esistente nella coscienza, in quanto consapevole di se stesso, come oggetto che esiste, esso è lo Stato. Nella libertà non deve procedersi dall'individualità, dall'autocoscienza singola, ma soltanto dall'essenza dell'autocoscienza; poiché, ne possa essere consapevole o meno l'uomo, quest'essenza si realizza come potere autonomo, nel quale i singoli individui sono soltanto momenti. L'ingresso di Dio nel mondo è lo Stato; il suo fondamento è la potenza della ragione che si realizza come Volontà. Nell'idea dello Stato, non devono tenersi presenti Stati particolari, istituzioni particolari; anzi, si deve considerare per sé l'idea, questo Dio reale. Ogni Stato, lo si dichiari anche cattivo secondo i principi che si professano, si riconosca in esso questo o quel difetto, – ha sempre in sé, specialmente se appartiene alla nostra epoca civile, i momenti essenziali della sua esistenza. Ma, poiché è molto più facile scoprire un difetto, che intendere l'affermativo, si cade facilmente nell'errore di dimenticare, al disopra dei suoi aspetti singoli, l'organismo interiore dello Stato stesso. Lo Stato non è un'opera d'arte; esso sta nel mondo, e quindi, nella cerchia dell'arbitrio, dell'accidentalità e dell'errore; un comportamento cattivo lo può svisare da molti lati. Ma l'uomo più odioso, il reo, un ammalato e uno storpio, sono sempre ancora uomini viventi; l'affermativo, la vita, esiste, malgrado il difetto; e questo affermativo importa, qui.

 

In questa concezione lo Stato non esiste per il cittadino, ma, al contrario, è il cittadino che esiste per lo Stato: il cittadino esiste solo in quanto membro dello Stato.
Se lo Stato è la Ragione che fa il suo ingresso nel mondo, la Storia, che nasce dalla dialettica degli Stati, è nient'altro che il dispiegarsi di questa stessa Ragione. La storia è il dispiegarsi dello Spirito nel tempo, nello stesso modo in cui la Natura è il dispiegarsi dell'Idea nello spazio.
La Storia è il "giudizio" del mondo e la filosofia della storia è la conoscenza e la rivelazione concettuale di questa razionalità e di questo giudizio.
La filosofia della storia è la visione della storia dal punto di vista della Ragione di contro a quella tradizionale che era la visione propria dell'intelletto. La storia del mondo si svolge secondo un "piano razionale" (che già la religione riconosce col nome di Provvidenza), e la filosofia della storia è la conoscenza scientifica di questo piano.
La filosofia della storia diventa, di conseguenza, una "teodicea", ossia una conoscenza della giustizia divina e una giustificazione di ciò che appare come male di fronte all'assoluto potere della Ragione.
Ciò che appare male, secondo Hegel, è non altro che quel momento negativo che è la molla della dialettica. La morte, come tramonto delle cose particolari, non è che il continuo farsi dell'universale. La stessa guerra è il "momento dell'antitesi" che muove la storia, la quale, senza guerre, registra solo pagine bianche. Anzi:

 

Dalle guerre, risultano non soltanto rafforzati i popoli; ma nazioni, che sono in discordia in sé, acquistano, mediante guerre all'esterno, pace all'interno. Certamente, dalla guerra proviene la malsicurezza nella proprietà, ma questa malsicurezza delle cose è null'altro che il movimento, il quale è necessario.

 

 

 

Lo Spirito assoluto. Schopenhauer: il mondo come mia rappresentazione

 

 

Hegel non si arresta di fronte a nulla.
D'altronde, una volta affermato che la storia è lo spiegarsi della natura di Dio in un determinato elemento particolare, tutto segue di conseguenza. Non a caso, proprio nella Filosofia del diritto si legge l'affermazione «tutto ciò che è reale è razionale, tutto ciò che è razionale è reale».

 

Come nella Natura, per chi afferma l'identità di Dio e Natura (Deus sive natura), ogni cosa è necessaria e ha un senso assoluto, così per Hegel, per chi pensa Deus sive historia (l'identità di Dio e storia) tutto è necessario e ogni evento ha un senso assoluto.

 

Lo Spirito oggettivo si particolarizza nella storia come "Spirito del popolo" (Volksgeist), quale via via si manifesta nei vari popoli. Lo spirito del popolo, tuttavia, è una manifestazione dello "Spirito del mondo" (Weltgeist):

 

Lo spirito del popolo è essenzialmente uno spirito particolare, ma nello stesso tempo è nient'altro che l'assoluto spirito universale – giacché questo è Uno. Il Weltgeist è lo spirito del mondo, come si esplica nella coscienza umana; gli uomini stanno ad esso come le realtà singole stanno alla totalità che li sostanzia. E questo spirito del mondo è conforme allo spirito divino, che è lo spirito assoluto. In quanto Dio è onnipresente, è presso ogni uomo, appare nella coscienza di ognuno; e ciò è lo spirito del mondo. Il particolare spirito di un particolare popolo può perire: ma esso è un anello nella catena costituita dal corso dello spirito del mondo, e questo spirito universale non può perire. Lo spirito di un popolo è così lo spirito universale in una forma particolare.

 

Momenti particolari dello Spirito del mondo sono anche gli "individui cosmico-storici", che sono i grandi eroi, capaci di cogliere ciò di cui è giunta l'ora e di portarlo a compimento. Ciò che essi fanno non lo traggono dal proprio intimo, ma dallo Spirito che attraverso di loro tesse i suoi disegni:

 

Questo è il vero rapporto dell'individuo con la sua sostanza universale. Essa è ciò da cui tutto procede, l'unico fine, l'unica forza: quel che è voluto unicamente da tali individui, quel che in essi cerca la sua soddisfazione e si realizza. Appunto per ciò essi hanno potere nel mondo; e solo in quanto essi son coloro che hanno per fine ciò che è adeguato al fine dello spirito in sé e per sé, sta dalla loro parte il diritto assoluto, che è peraltro un diritto di natura affatto speciale.

 

Tuttavia, figurazioni come queste sembrano grandiose, ma sono meschine. Uomini di tal genere (che un malsano gusto romantico ha idoleggiato) sono piuttosto fantocci dell'Assoluto, che non uomini vivi e veri. Dopo che lo Spirito se ne è servito per i suoi scopi, li abbandona, e allora diventano nulla, come Napoleone che, dopo la sconfitta, sopravvisse solo per languire nella piccola isola d'Elba e per morire nella lontana Sant'Elena.
Le meschine passioni che muovono gli uomini e i loro fini particolari, poi, le accidentalità si giustificano nel fatto che il particolare "si spossa" e si esaurisce già nella sua lotta con l'altro particolare, dato che il particolare è sempre conflittuale. Esso va in rovina, e dalla sua rovina emerge imperturbato l'universale.
L'universale che fa agire a proprio vantaggio le passioni irrazionali e il particolare è "l'astuzia della Ragione":

 

Si può chiamare astuzia della ragione il fatto che quest'ultima faccia agire per sé le passioni, e che quanto le serve di strumento per tradursi in esistenza abbia da ciò scapito e danno. Esso è infatti il fenomeno, di cui una parte è nulla e una parte affermativa. Il particolare è per lo più troppo poco importante a paragone dell'universale: gli individui vengono sacrificati e abbandonati al loro destino. L'idea paga il tributo dell'esistenza e della caducità non di tasca sua, ma con le passioni individui. Cesare doveva compiere quel che era necessario per rovesciare la decrepita libertà; la sua persona perì nella lotta, ma quel che era necessario restò: la libertà secondo l'idea giaceva più profonda dell'accadere esteriore.

 

La storia del mondo passa attraverso tappe dialettiche che segnano un progressivo incremento di razionalità e di libertà dal mondo orientale al mondo greco-romano a quello cristiano-germanico. In quest'ultima fase lo Spirito sembra essersi pienamente realizzato, conservando nelle sue profondità il passato come memoria, e attuando nel presente il concetto di sé. Ma, se così è, la Storia, è destinata a fermarsi nella fase cristiano-germanica? La dialettica storica, ad un certo momento, si arresta? Così parrebbe doversi concludere, contrariamente a quanto i principi della stessa dialettica avrebbero necessariamente richiesto.
Si tratta di un'aporia significativa, che si ripercuoterà anche sulla concezione della storia di Marx.

 

Lo Spirito assoluto: Arte, Religione e Filosofia

 

Dopo essersi realizzata nella storia come libertà, l'Idea conclude il suo "ritorno a sé" nell'auto-conoscersi assoluto.
Lo Spirito assoluto è dunque l'Idea che si autoconosce in maniera assoluta, e questa autoconoscenza è l'autoconoscenza di Dio, in cui l'uomo gioca però un ruolo essenziale.
Hegel ha, ad un tempo, abbassato Dio all'uomo e alzato l'uomo a Dio:

 

Dio è Dio, solo in quanto sa se stesso; il suo sapere sé è, inoltre, la sua autocoscienza nell'uomo e il sapere che l'uomo ha di Dio, che progredisce al sapersi dell'uomo in Dio.

 

Hegel ritiene, in tal modo, di avere conciliato finito e infinito definitivamente. L'auto-sapersi dello Spirito non è un'intuizione mistica, ma è un processo dialettico, perciò un processo triadico, che si realizza
 - nell'Arte,
 - nella Religione,
 - nella Filosofia.
Queste sono, dunque, tre forme attraverso le quali noi conosciamo Dio e Dio si conosce. Esse si realizzano, rispettivamente, attraverso l'intuizione sensibile (estetica), attraverso la rappresentazione della fede e attraverso il concetto puro.

 

L'arte, in quanto si occupa del vero come oggetto assoluto della coscienza, appartiene anch'essa alla sfera assoluta dello spirito, trovandosi perciò per il suo contenuto sul medesimo terreno della religione nel senso specifico del termine, e della filosofia. Infatti, anche la filosofia non ha altro oggetto che Dio ed è così essenzialmente teologia razionale e, in quanto al servizio della verità, culto perenne.
Data questa eguaglianza di contenuto, i tre regni dello spirito assoluto si differenziano solo per le forme in cui essi portano a coscienza il loro oggetto, l'assoluto.

 

La prima forma di questa apprensione, è un sapere immediato e proprio perciò sensibile, un sapere nella forma e figura del sensibile ed oggettivo, in cui l'assoluto viene ad intuizione e sentimento. La seconda forma è la coscienza rappresentante, la terza, infine, il libero pensiero dello spirito assoluto.

 

La forma dell'intuizione sensibile appartiene all'arte, che presenta alla coscienza la verità sotto una forma sensibile che ha in questa sua apparenza un senso ed un significato più alti, più profondi, pur non consentendone l'apprensione nell'universalità del concetto, proprio in quanto mediata nel sensibile. Proprio l'unità del concetto stesso con l'apparenza individuale sensibile, infatti, costituisce l'essenza del bello e della sua produzione ad opera dell'arte. Anche nella poesia, infatti, che è la meno "sensibile" e la più spirituale delle arti, è presente l'unione del significato e della sua configurazione individuale.
Come l'arte ha il suo prima nella natura e nella sfera finita della vita, però, ha pure un dopo, cioè un ambito che a sua volta oltrepassa il suo modo di concepire e manifestare l'assoluto. Infatti l'arte ha ancora in se stessa un limite e passa quindi a forme più alte della coscienza. Il dopo dell'arte consiste nel fatto che è innato allo spirito il bisogno di essere soddisfatto solo del proprio interno, come della vera forma della verità. L'arte ai suoi inizi lascia ancora sussistere un che di misterioso, un presentimento pieno di mistero, uno struggimento, perché le sue produzioni non hanno ancora completamente tratto per l'intuizione immaginativa tutto il loro contenuto. Ma se il contenuto compiuto è compiutamente venuto a rilievo in forme artistiche, lo spirito lungimirante ritorna da questa oggettività, allontanandola da sé, nel suo interno.

 

L'ambito successivo che sorpassa il regno dell'arte è quello della religione. La religione ha come forma della propria coscienza la rappresentazione, in quanto l'assoluto è trasferito dall'oggettività dell'arte nell'interiorità del soggetto, ed ora è dato in modo soggettivo per la rappresentazione, così che cuore ed animo, in generale la soggettività interna, divengono un momento fondamentale.
Per la coscienza religiosa l'arte è solo uno dei lati; mentre, infatti, l'opera d'arte presenta in modo sensibile la verità, lo spirito come oggetto, e concepisce questa forma dell'assoluto come quella conforme, la religione vi aggiunge la devozione dell'interno che si rapporta all'oggetto assoluto. Infatti la devozione non appartiene all'arte come tale. Essa nasce solo dal fatto che ora il soggetto fa penetrare nell'animo proprio ciò che l'arte rende oggettivo come sensibilità esterna, e in ciò si identifica il soggetto, in modo che questa presenza interna nella rappresentazione e intimità del sentimento, diviene l'elemento essenziale per l'esistenza dell'assoluto. La devozione è il culto della comunità nella sua forma più pura, più interiore, più soggettiva; un culto, in cui l'oggettività è per così dire divorata e digerita, e il suo contenuto, privo ora di questa oggettività, è divenuto proprietà del cuore e dell'animo.

 

La terza forma, infine, dello spirito assoluto è la filosofia. Infatti la religione in cui Dio è dapprima per la coscienza un oggetto esterno, poiché si deve prima apprendere che cosa è Dio e come si è rivelato e si rivela, si riversa poi nell'elemento dell'interno, spinge e riempie la comunità; ma l'interiorità della devozione dell'animo e della rappresentazione non è la forma più alta dell'interiorità. È il libero pensiero che va riconosciuto come questa forma purissima del sapere; in esso la scienza porta a coscienza l'identico contenuto, divenendo quindi il culto al massimo spirituale, appropriarsi e sapere concettualmente mediante il pensiero ciò che altrimenti è soltanto contenuto di sentimento o rappresentazione soggettivi.
In tal modo nella filosofia sono unificati i due lati dell'arte e della religione: l'oggettività dell'arte, che qui ha certamente perduto la sensibilità esterna, ma ha trovato il compenso nella forma suprema dell'oggettivo, nella forma del pensiero, e la soggettività della religione, che è purificata a soggettività del pensiero. Infatti il pensiero è da un lato la soggettività più intima, più propria; e il vero pensiero, l'idea, è contemporaneamente la più oggettiva ed effettuale universalità che può cogliersi nella sua propria forma solo nel pensiero.

 

L'Arte è intesa e ricostruita secondo tappe dialettiche: a) arte simbolica, b) arte classica, c) arte romantica.
Nella Religione vengono distinti tre momenti: a) religione orientale, b) religione greca, c) religione cristiana.
La Filosofia (che viene a coincidere con la storia della filosofia) è vista nel suo dispiegarsi nei tre momenti: a) dell'antichità greca, b) della cristianità medievale e c) della modernità germanica.
La storia della filosofia da Talete a Hegel è presentata come un grandioso teorema che si dispiega nel tempo e in cui ogni sistema costituisce un "passaggio" necessario.
Il teorema sembra poi trovare la propria conclusione in Hegel, nella cui filosofia Dio, autoconoscendosi, conosce e attua tutte le cose mentre l'Idea si attua, si produce e gode eternamente.