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CLASSE   III   -   Sintesi di Filosofia (4)


La politica. La logica del concetto

 

LA POLITICA

Lo Stato

Il bene del singolo individuo e il bene dello Stato sono della medesima natura, consistendo ambedue nella virtù, tuttavia il bene dello Stato è più importante, più bello, più perfetto e più divino.
La ragione di ciò è da cercare nella natura dell'uomo, la quale dimostra che egli non è assolutamente capace di vivere isolatamene, e che ha bisogno, proprio per essere se medesimo, di avere rapporti con i suoi simili in ogni momento della sua esistenza.
Per Platone lo Stato nasce dai bisogni dell'uomo, per Aristotele, invece, lo Stato scaturisce dalla stessa natura dell'uomo in quanto tale. L'uomo è naturalmente socievole.

In primo luogo la natura ha distinto gli uomini in maschi e femmine, che si uniscono a formare la prima comunità, vale a dire la famiglia, per la procreazione e per il soddisfacimento dei bisogni elementari.
Poiché, tuttavia, le famiglie non bastano a se stesse, sorge il villaggio, che è una comunità più ampia fatta per soddisfare in modo più completo e organico ai bisogni della vita.
Ciò è sufficiente a soddisfare i bisogni della vita in generale, ma non basta a garantire le condizioni della vita perfetta, cioè della vita morale secondo virtù. Nello Stato, pertanto, l'individuo trova le leggi, le magistrature e in genere tutte le istituzioni che lo portano a uscire dal proprio egoismo (autoreferenzialità esclusiva) e a vivere secondo ciò che è oggettivamente buono.

L'uomo è più socievole di ogni altro animale che viva in greggi: l'uomo è l'unico animale dotato di parola, che serve a indicare l'utile e il dannoso, il giusto e l'ingiusto. Pertanto, chi non possa entrare a far parte di una comunità, e chi non abbia bisogno di nulla, bastando a se stesso, non è parte di una città, ma o è una belva o è un dio.

La famiglia

È costituita da quattro elementi:
 - il rapporto marito-moglie;
 - i rapporti padre-figli;
 - il rapporto padrone-servi;
 - l'arte di procacciarsi le ricchezze (crematistica).

Circa il terzo elemento, Aristotele ritiene che, al fine di acquisire proprietà e ricchezze, la famiglia debba disporre degli idonei strumenti, tra i quali egli considera indispensabili gli schiavi, che egli ritiene per natura portati esclusivamente a servire.

Per quanto concerne il quarto punto, invece, Aristotele distingue tre modi per procurarsi beni e ricchezze:
. tramite caccia, pastorizia e agricoltura;
. tramite il baratto, cioè lo scambio di beni equivalenti;
. tramite un innaturale commercio in denaro, che fa uso di tutti gli strumenti idonei ad aumentare senza limiti la ricchezza.
Quest'ultimo modo, detto crematistica, viene considerato pericoloso da Aristotele, in quanto per esso è facile essere portati a scambiare ciò che è un semplice mezzo di arricchimento (il denaro) con il fine dell'arricchimento stesso.

Una sana economia è quella che si limita ai primi due modi di arricchimento e che tende a procurare quanto basta a soddisfare i bisogni naturali che hanno un limite fissato dalla natura stessa.

Il cittadino

Per essere cittadino nel vero senso del termine (polítes) occorre la partecipazione ai tribunali o alle magistrature, occorre cioè prendere parte all'amministrazione della Città.
Per Aristotele, pertanto, il numero dei cittadini all'interno della comunità statale, è ristretto, mentre tutti gli altri uomini rientrano nello Stato a titolo più che altro di mezzi per soddisfare ai bisogni dei primi.


Le forme costituzionali

Il problema politico consiste nello stabilire in che modo lo Stato possa costituirsi.
La costituzione è la struttura che dà ordine alla città, stabilisce le cariche e il loro funzionamento e soprattutto definisce l'autorità sovrana.
Il potere sovrano può essere esercitato:
 - da un solo uomo;
 - da pochi uomini;
 - dalla maggioranza degli uomini.
In tutti questi tre casi, poi, l'autorità può essere esercitata in modo corretto o in modo scorretto; si hanno di conseguenza tre forme di costituzioni rette (monarchia, aristocrazia, politía) e altrettante forme di costituzioni degenerate (tirannide, oligarchia, democrazia [demagogia]).
Tutte e tre le forme di governo, quando sono rette, sono naturali e quindi buone, perché il bene dello Stato consiste nel mirare al bene comune, tuttavia, in linea di diritto, Aristotele non fa mistero che sarebbe la monarchia la forma migliore di governo, benché, per forte senso realistico, sia poi portato a considerare la politía la più conveniente tra le forme di governo, in quanto è via di mezzo tra democrazia e oligarchia e valorizza il ceto medio, garanzia di stabilità (secondo il criterio della medietà della virtù).


La poetica

Il terzo genere delle scienze è quello delle scienze produttive o poietiche. Esse insegnano a fare e a produrre cose, oggetti, strumenti, secondo regole e conoscenze precise. Costituiscono un sapere che non è né fine a se stesso e nemmeno un sapere voltò a beneficio di che agisce, bensì volto a beneficio dell'oggetto prodotto.
Le scienze poietiche, nel loro complesso, non interessano se non indirettamente, la ricerca filosofica, eccezion fatta per le “arti belle”, cioè le arti che imitano la natura e che, prive di utilità pragmatica, ne riproducono o ricreano taluni aspetti, con materiale plasmabile, con colori, suoni o parole.
Aristotele si limita peraltro alla trattazione della sola poesia e, in particolare della poesia tragica e di quella epica.

Platone aveva fortemente biasimato l'arte, appunto perché la intendeva come imitazione di cose materiali e quindi come imitazione di imitazioni, copia di copie, parvenza di parvenze. Aristotele, per contro, a partire dal suo punto di vista più aperto al fenomeno sensibile, interpreta l'imitazione come un'attività che, per così dire ricrea le cose secondo una nuova dimensione essenziale.
Per Aristotele, il poeta (al contrario dello storico) descrive e rappresenta l'universale, trasfigura le cose, facendole assurgere ad un'altitudine universalizzata, anche utilizzando il paradossale e l'impossibile a patto che il tutto risulti verosimile.
L'universalità della rappresentazione della poesia nasce dalla sua capacità di riprodurre gli eventi secondo la legge della verosimiglianza e della necessità; d'altronde la poesia non è tout court filosofia in quanto il suo universale non è l'universale logico, ma qualcosa a sé stante, che gode di un valore autonomo.
I canoni del fare artistico si sintetizzano nel rispetto dell'oggetto e nel rispetto della convenienza del modo espressivo all'oggetto; nella tragedia nell'unità di luogo, di tempo e di azione.

A proposito della tragedia, che costituisce l'asse portante della sua poetica, Aristotele dice che essa è imitazione di un'azione seria e compiuta in se stessa, con una certa estensione, la quale, mediante una serie di casi che suscitano pietà e terrore, ha per effetto di sollevare e purificare l'animo da siffatte passioni.
In tal senso si potrebbe interpretare che Aristotele accordi alla tragedia (e con essa all'arte) una funzione pedagogico-politica, quale strumento di stimolo alla virtù per il cittadino che ne fruisce; ma la spiegazione della catarsi non è concorde tra gli interpreti.



la logica

 

All'interno del corpo delle opere di Aristotele gli scritti di logica sono raccolti nell'Organon, che in greco significa “strumento”.
Ciò segnala un problema che deve essere analizzato prima di addentrarsi nell'indagine delle diverse parti della logica stessa, vale a dire se la logica sia o non sia una scienza.
Aristotele sembra propendere per la seconda ipotesi, che ritiene che la logica si costituisca come strumento di conduzione del discorso di qualsiasi disciplina scientifica che a sua volta se ne serva.
La logica, cioè, appare come un impianto tecnico, come un corredo di attrezzature, che trovano la loro applicazione all'interno dello sviluppo delle discipline scientifiche, non un metodo, quindi, ma un criterio di correttezza e di completezza dei sistemi scientifici applicato durante lo svolgimento della ricerca.
La logica, però, può anche considerarsi scienza nell'accezione di “epistemologia”, cioè di disciplina che studia la scientificità delle scienze, la disciplina che descrive e prescrive i canoni della scientificità di un discorso.
Il termine “logica”, comunque, non è di uso aristotelico, ma risale alla più tarda filosofia stoica (età ellenistica); quando parlava di logica, Aristotele intendeva l'analitica.

Nel sistema aristotelico la logica mantiene una relazione strettissima con la metafisica, dal momento che, per Aristotele, le strutture del pensiero e le strutture dell'essere si sovrappongono per identificarsi, vista la profondissima similarità tra essere e pensiero.
L'intelligibilità delle sostanze, infatti, coincide con la loro formalità essenziale, e le dinamiche dell'essere corrispondono alle dinamiche del vero.

I libri di logica dell'Organo aristotelico sono:
 - Categorie
 - (trattato) Sull'interpretazione
 - Analitici primi
 - Analitici secondi
 - Topici
 - Elenchi (significa “confutazioni”) sofistici.
I “capitoli” della logica sono: il concetto, la proposizione, il ragionamento.


Il concetto (e la definizione)

Come si è già avuto modo di vedere, una tradizione manualistica consolidata assegna la scoperta del concetto a Socrate.
In realtà, Socrate e Platone hanno rispettivamente posto le basi ed elaborato la dialettica per codificare il significato del concetto, servendosene abbondantemente all'interno della loro dialettica, ma non ne sono stati i consapevoli scopritori.
Per avere una speculazione matura sul concetto, infatti, bisogna rivolgersi ad Aristotele, il primo consapevole teorizzatore della logica.
Nel contesto dell'ironia, Socrate stringeva l'avversario a dichiarare senza equivoci la propria posizione sul “che cos'è” delle problematiche in questione, e certamente, l'interrogativo “che cos'è” presuppone come risposta l'individuazione del concetto, ma soltanto con Aristotele il primo elemento logico, il concetto, appunto, riceve un'adeguata attenzione come oggetto di studio.

Il concetto è il primo elemento del discorso, è la conoscenza elementare (nel senso che è l'elemento primario di ogni conoscenza); è una nozione (notizia, nota interiore) universale e necessaria.
Universale significa “che si dice, si predica di molti”, il che implica l'astrattezza, la non-individualità, e la pura intelligibilità, slegata da qualsiasi concretezza materiale; necessario significa “strutturale, strutturalmente costituente, irrinunciabile” (necessario, in filosofia, non comporta nessuna relazione di bisogno, né alcuna forma di relazione con la figura del destino).
Un concetto, date tali caratteristiche, non contiene alcunché di “visibile”, di “palpabile”, ecc.; è una pura astrazione che si costituisce come possibilità di riconoscimento di una determinata natura all'interno della complessità del reale.
Il concetto di ruota, per esempio, non è certo dotato di pneumatico né di mozzo, né di raggio; corrisponde semplicemente all'intuizione della possibilità del rotolamento. È il concetto, infatti, che permette la scoperta e l'invenzione (del fuoco, della ruota, dello scaldabagno, ecc.).

Il concetto non è né vero né falso, dal momento che si tratta di un pura intuizione.

Il concetto si esprime nella definizione, che, ancora, non è né vera né falsa, ma può essere “buona” o “non buona”.
Una buona definizione contiene in sé stessa soltanto due elementi, il genere prossimo (cioè il più vicino nella scala dei generi) e la differenza specifica, cioè la causa formale della propria specificità. Ad esempio: uomo è il concetto che si esprime nella definizione “animale ragionevole”; se si dicesse diversamente, per esempio, che uomo è “ente ragionevole”, la definizione sarebbe meno soddisfacente della prima perché il genere ente non è nella prossimità della specie razionale, ma di diversi gradi a monte, talché ci si potrebbe domandare a buon diritto se l'uomo sia anche vegetale, visto che una specie dell'ente vivente è anche quella vegetale, oltre che quella animale.

I cinque concetti predicabili sono:
 - sostanza (ad es.: uomo);
 - genere (ad es.: animale);
 - specie (ad es.: razionale);
 - proprietà (ad es.: educabile);
 - accidente (ad es.: musico).
I generi della predicazione sono le dieci categorie già considerate in metafisica.

Dei concetti possiamo considerare le caratteristiche di estensione e di comprensione, tra loro in relazione di proporzionalità inversa.
L'estensione consiste in quella caratteristica di generalità per cui un concetto è capace di raccogliere in sé una vasta gamma orizzontale di specie a sé subordinate; la comprensione, al contrario, consiste nell'opposta caratteristica di peculiarità, per la quale un concetto significa con molta precisione, senza ovviamente poter raccogliere in se che una ristrettissima gamma di realtà.



La proposizione e l'argomentazione

 

La proposizione

Esprime in forma logica il giudizio, cioè l'atto con cui la nostra mente afferma o nega qualcosa.
La proposizione congiunge o disgiunge un soggetto e un predicato, cioè afferma qualcosa di qualcosa o lo nega.
Della proposizione prendiamo in considerazione la qualità e la quantità.
Qualitativamente le proposizioni sono o affermative o negative. Quantitativamente sono universali, particolari e singolari; la quantità proposizionale è determinata dal quantificatore, cioè dall'operatore di quantità:
 - universale: tutti, ogni, nessuno;
 - particolare: qualche, alcuni, qualche ... non, alcuni ... non;
 - singolare: questo, quel, nome proprio (non).

Le relazioni verofunzionali tra proposizioni sono regolate secondo il seguente schema quadratico:

Le contrarie possono essere entrambe false o l'una vera e l'altra falsa.
Le contraddittorie sono necessariamente l'una falsa e l'altra vera, in quanto interpretano il principio di non contraddizione.
Le subcontrarie possono essere entrambe vere o l'una vera e l'altra falsa.
Per quanto riguarda le subalterne, è rilevante il fatto che dalla verità dell'universale è deducibile la verità della particolare, ma non viceversa, mentre dalla falsità dell'universale non è deducibile la falsità della particolare, ma viceversa dalla falsità della particolare è deducibile la falsità dell'universale.

Alla proposizione assertoria si affianca la proposizione modale.
La modalità di una proposizione dipende dall'operatore modale, che interviene sul significato del “detto” assertivo, condizionandolo con le connotazioni di necessità e possibilità (e contingenza).
La proposizione modale, dunque, è introdotta da:
 - è necessario che,
 - è possibile che,
 - è contingente che.
È ovvio che l'operatore modale condiziona la verofalsità della proposizione.


L'argomentazione

L'argomentazione è una sequenza di proposizioni concatenate.
L'argomentazione, formulazione logica del ragionamento, può essere deduttiva o induttiva.

Nell'argomentazione deduttiva si procede da premesse (conoscenze) universali per ottenere conseguenze (conoscenze) particolari.

Il sillogismo è la forma più significativa di ragionamento deduttivo.
Il sillogismo è quel ragionamento in cui, poste alcune (due) premesse, segue di necessità una conclusione in quanto le premesse sono date.
Esso si compone, dunque, di tre proposizioni che associano o dissociano in tutto tre termini:
 - una premessa maggiore (perché contiene il termine detto estremo maggiore),
 - una premessa minore (perché contiene il termine detto estremo minore),
 - una conclusione, che associa o dissocia i due estremi grazie al terzo termine presente in entrambe le premesse che viene detto termine medio.
Il sillogismo, come del resto qualsiasi argomentazione, può dirsi “buono” (o corretto) o “cattivo” (o nullo) più che vero o falso. È questione di struttura formale: un sillogismo può essere corretto, pur presentando una conclusione falsa; la bontà dell'argomentazione, infatti, è indipendente dalla verità delle proposizioni che la compongono.
A partire da premesse di ordine necessario si otterranno sillogismo scientifici, dimostrativi in senso pieno (apodittici); a partire da premesse di ordine probabile si otterranno sillogismi dialettici (cioè probabili), a partire da premesse apparentemente probabili si otterranno sillogismi eristici.

Nell'argomentazione induttiva si parte da premesse particolari per ottenere una conseguenza di ordine generale, non universale. “Universale”, in questo caso, significa valido di molti, che si può dire di molti; “generale” significa valido statisticamente per tutti, ma aperto all'eccezione.

Occorre prestare attenzione al fatto che Aristotele usa l'appellativo induzione (epagoghé) per significare:
 - il procedimento argomentativo mediante il quale, a partire da una collezione di casi particolari, estesa quanto più è possibile, si giunge a una conclusione di ordine generale, statisticamente valida per tutti i casi;
 - l'intuizione intellettuale (altrimenti detta noûs) dei principi primi, che costituiscono le trame della logica e gli assiomi delle scienze.
È ovvio che, quando si parla di intuizione, non si intende alcun ragionamento, ma un semplice atto della mente per il quale essa è “condotta” alla conoscenza dei primi principi.